martedì 26 agosto 2014

POLITO E LA LEZIONE DELLA CRISI DELL'ESECUTIVO FRANCESE


Molta attenzione i giornali danno oggi al "licenziamento" dei ministri francesi anti rigore, tra cui quel Montebourg che proprio qualche giorno fa aveva plaudito Renzi indicato come modello di utile flessibilità economica. Ne abbiamo parlato nei post 
Interviene sul tema del giorno Antonio Polito del Corriere, che spiega ai nostri Fassina come sperare nel saldarsi di un asse italo-francese in funzione antirigore sia illusorio. Nemmeno i paesi pure economicamente nei guai come noi (oggi però convalescenti, mentre la febbre italica resta alta), come Portogallo e Spagna, non sposano l'idea di un fronte anti Merkel. Meglio prenderne atto.
Quanto invece alla seconda regola non scritta citata dall'opinionista, a me piacerebbe molto che fosse vera, e che veramente la sinistra del "tassa e spendi" sia perdente. Ma non mi sembra che sia esattamente così. In realtà l'Europa ha largamente abusato di questa prassi, per decenni, e solo i conti ormai ingovernabili del debito e dei suoi costi, da un lato, e l'economia non più in grado, causa la concorrenza globale di paesi assai più forti (grazie anche all'assenza del welfare occidentale), di crescere in modo da sostenere l'enorme spesa sociale, dall'altro, hanno posto in seria crisi un modello che alla sinistra sembrava perfetto e di cui comunque molti, anche a destra, hanno ampiamente fruito.
Ora il gioco dell'indebitamento infinito pare non si possa più fare, e allora sono c...amarissimi.


Due regole non scritte
di ANTONIO POLITO
 


Appena sabato scorso Arnaud Montebourg aveva detto a Le Monde che «l’Europa deve fare come Matteo Renzi» e liberarsi dell’«ossessione tedesca per l’austerità». Non gli ha portato bene. Tre giorni dopo è stato licenziato da François Hollande, aprendo a Parigi una crisi di governo di inusitata gravità, solo cinque mesi dopo la nascita dell’esecutivo guidato da Manuel Valls (un altro che è stato spesso paragonato a Renzi).
Naturalmente il ministro dell’Economia francese non è stato punito perché troppo renziano. Anzi, se si vuol stare al paragone con l’Italia, il Don Chisciotte della sinistra d’Oltralpe assomiglia più a un Fassina o a un Bertinotti vecchia maniera. Ma la sua cacciata conferma due leggi della politica europea da cui neanche la Francia si è mai allontanata, e che faremmo bene a tenere sempre a mente anche noi italiani.
La prima è che delle «due sinistre» quella che non fa i conti con la realtà, che si illude e illude gli elettori di poter tornare all’età dell’oro socialdemocratica facendo deficit e mettendo tasse, è destinata a perdere. Seppure su scala minore, la crisi di Parigi ricorda lo scontro con cui alla fine degli anni Novanta il Cancelliere Schröder si liberò del ministro Lafontaine a Berlino. La rottura della Spd con la sinistra interna diede il via alla stagione di riforme che salvarono la Germania dal declino economico, e aprirono la strada all’era Merkel. Hollande, allo stesso modo, vuole riaffermare la sua autorità sul partito e sul governo proprio mentre è impegnato in un programma di riforme liberali della stagnante economia francese.
La seconda legge che esce confermata dalla punizione di Montebourg è che Parigi, chiunque sia al governo, non guiderà mai un fronte di opposizione alla Germania. La Francia non ha alcun interesse a diventare il capofila dei deboli. Sia perché la sua missione politica è quella di stare nel cuore dell’Europa, sia perché i mercati la premiano finché resta attaccata a Berlino, con tassi di interesse bassi quando non addirittura negativi, nonostante deficit alti e crescita zero. Perché mai Hollande dovrebbe dunque trasformare la sua retorica anti-austerità in un vero e proprio scontro con la Merkel, come il ministro ribelle lo invitava a fare?
È bene dunque non farsi troppe illusioni su presunti assi mediterranei tra Parigi e Roma per piegare Berlino. Ogni Paese deve contare sulla sua credibilità prima di ogni altra cosa. La Spagna, per esempio, ha fatto riforme efficaci dell’economia che le hanno consentito a giugno, insieme al Portogallo, di dire di no alla richiesta italiana di maggiore flessibilità nei conti, e che probabilmente le varranno la nomina di Luis de Guindos alla presidenza dell’Eurogruppo (con il francese Moscovici che conquista l’Economia e la nostra Mogherini piazzata alla Politica estera).
Non abbiamo dunque altra strada che trasformare le promesse e gli annunci della stagione Renzi in realtà. Il nostro governo ha ancora un grande capitale di fiducia da spendere in Europa. Ma deve agire. Riforme radicali della giustizia e del mercato del lavoro sono, nelle prossime settimane, l’unica vera arma di cui dispone. E, come i fatti francesi hanno dimostrato, valgono molto più degli applausi di un Montebourg.

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