sabato 20 settembre 2014

DARIO DI VICO : CHE IL CONFRONTO SCONTRO DI RENZI COL SINDACATO NON SIA STAVOLTA SOLO MEDIATICO

La voix militante de citoyens d'ici et d'ailleurs
Ho già scritto ieri ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/09/lo-scontro-tra-renzi-camusso-e-sinistra.html ), come lo scontro iniziale, e non imprevedibile, tra Renzi e Camusso sul Jobs Act, con tanto di marginalizzazione, se non abrogazione, del famoso (famigerato ?) art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, potrebbe significare molto, mostrando finalmente un VERO cambiamento di "verso", ma anche rivelarsi semplice "ammuina". Già in passato tra il segretario del PD, nonché oggi premier, e quello della CGIL non sono corse parole d'amore, ed è un fatto che la CGIL a suo tempo si mobilitò per Cuperlo. Perdendo, il che la dice lunga su come i numeri del sindacato non siano alla resa dei conti così decisivi. 
Dario Di Vico, che segue questi argomenti sul Corsera, mostra di paventare un po'  lo stesso timore da me espresso, e che lo scontro con il conservatorismo sindacale (e della sinistra massimalista presente nel PD) alla fine sia più di facciata che reale.
Vengono citati i nomi di Blair e Schroder, due grandi esponenti della sinistra Liberal e socialdemocratica, che non esitarono a combattere contro i sindacati (in particolare le Unions, che, come oggi la Camusso, scomodarono il fantasma della Thatcher per attaccare chi osava promuovere un cambiamento realistico del mondo del lavoro, cercando di ridurre la parte assistenziale e slegata da qualsiasi criterio di produttività imprenditoriale) per realizzare VERE riforme. 
Insomma, col consenso a tutti i costi, con il consociativismo e la tanto lodata concertazione, non si riforma seriamente un Paese, specie come il nostro, dove privilegi, favoritismi, clientele e corporativismi sono granitici. 
Di Vico lo scrive benissimo : la parte "destruens" di Renzi ormai la conosciamo a memoria, è quella "costruens" che vorremmo iniziare a vedere. 



I Tanti Scontri e la Spallata Finale
Ma non basta l’innovazione della «flexsecurity»
Il governo spieghi cosa vuole fare



Quella che si è aperta tra il premier e la Cgil è una battaglia che cova da lungo tempo all’interno della sinistra italiana. I protagonisti di oggi sono in qualche modo nuovi, Matteo Renzi e Susanna Camusso ma i rispettivi ruoli sono stati già interpretati da altri attori nel recente passato. La disfida che viene in mente per prima, se non altro per l’analogia con l’iniziativa governativa di abolire l’articolo 18, è quella tra Massimo D’Alema e Sergio Cofferati. Un duello per certi versi epico, condotto in un tempo — la seconda metà degli anni 90 — nel quale ci si confrontava ancora davanti a platee in carne e ossa e non negli studi di qualche talk show. Un tempo nel quale contavano gli applausi dei compagni e la capacità di convincerli — verrebbe da dire — uno a uno. Il match alla fine fu risolto non da un referendum, né da un congresso ma da una fiumana, quella che riempì il Circo Massimo e fu conteggiata dagli amanti del genere in tre milioni di persone convenute per applaudire un segretario generale della Cgil capello al vento, vagamente alla Mao. Ma prima ancora che in Italia lo scontro tra partito e sindacato si era pienamente dispiegato in Gran Bretagna. Tony Blair, schernito come nient’altro che una variante del thatcherismo, sfidò le Unions e le travolse creando i presupposti di un lungo ciclo politico durante il quale la sinistra inglese cambiò totalmente sangue. Non altrettanto epico fu lo scontro tra Gerhard Schröder e i potenti sindacati tedeschi ma in quel caso la posta in gioco era comunque altissima e alla fine i risultati non solo hanno dato ragione al cancelliere ma hanno contribuito a dare un vantaggio competitivo alla Germania e a farne quella potenza economico-sociale che è oggi. Insomma guai a banalizzare un conflitto di questo tipo, la storia recente dell’Europa (e non della sola sinistra) ne è stata sempre fortemente influenzata. Certo questa volta non siamo più nel Novecento, siamo nell’era dello smartphone e insieme della Grande Crisi per cui non è detto che il copione sia lo stesso. La fedeltà al partito e al sindacato ha lasciato il posto allo zapping, il sindacato per molti è una struttura di servizio (fisco e patronato) e le sezioni di partito fanno già parte del modernariato. Ma soprattutto né Blair né Schröder erano degli osservati speciali da parte degli organismi sovranazionali e invece il duello Renzi-Camusso avviene in una zona intermedia tra piena sovranità nazionale e commissariamento. Sul piano dei contenuti il giovane Matteo in fondo non sta inventando niente e guarda caso a primeggiare sono le idee di Pietro Ichino, uno che le cose di oggi le scriveva già negli anni 90 e i big del centrosinistra lo attaccavano in pubblico mentre in privato gli mandavano messaggi di piena condivisione. Anche la Cgil in fondo recita il copione conservatore di tutti i sindacati che hanno paura di cosa c’è dietro l’angolo ma non possiamo dimenticare che quella tradizione ha prodotto in passato due giganti come Giuseppe Di Vittorio e Luciano Lama, che ai loro tempi erano più pragmatici e responsabili dei loro segretari di partito.
Dunque per Renzi il dado è tratto e non ci resta che vedere l’andamento della battaglia. Una cosa però gli va chiesta: eviti di farne solo un conflitto nel campo della comunicazione, terreno che predilige. La vittoria del Pd alle europee si deve a molte scelte azzeccate inclusa, al Nord, la contrapposizione con la Cgil. Stavolta però non c’è da convincere l’elettore di centrodestra a tradire il suo campo, in ballo ci sono assetti di medio periodo della società italiana. Ci sono da riperimetrare i rapporti di forza tra insider e outsider, tra i lavoratori rappresentati da Cgil-Cisl-Uil e i giovani precari a vita, persino tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. E ci vuole, dunque, una cassetta degli attrezzi che non sia limitata alla pur importante innovazione della flexsecurity. Insomma se la pars destruens del premier (non a caso chiamato ancora «il rottamatore») è tutto sommato chiara, è quella construens che ancora è indistinta. Sembra più elaborata dagli spin doctor che devono conquistare i titoli dei tg che da qualcuno che ne capisca davvero di sviluppo, lavoro e imprese.

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