domenica 14 settembre 2014

"NON SI FIDANO DI NOI ITALIANI". BE', UN PO' SI PUò CAPIRE...

 

Nell'editoriale odierno del Corsera, Sergio Romano spiega i perché della scarsa fiducia che i partner europei ripongono nell'Italia. Francamente la nostra interpretazione del Machiavelli, fin dai tempi delle guerre risorgimentali ma in particolare in occasione delle due guerre mondiali (imbarazzante leggere dell'"ASTA" messa su dai nostri ministri nel 1914-15 per decidere con chi entrare in guerra...) ha costituito dei precedenti solidi, non facili da superare. Con il progredire dell'unione economica europea, e la conseguente marcia verso la moneta unica, siamo tornati a mostrarci non troppo affidabili, avendo palesato molte difficoltà per restare nel serpente monetario europeo (lo SME), poi per entrare subito nell'era Euro. Dal 2010, con la crisi del credito che non riusciva più a finanziare una crescita da tempo languente, è stata notte fonda. La lettera nell'agosto 2011 di Trichet, predecessore di Draghi alla BCE, fu uno schiaffone inedito per uno Stato sovrano, che ci tenemmo, facendo finta di adeguarci. Ottenuti i "denari" (in realtà il sostegno sul mercato dei titoli di stato), Berlusconi e TRemonti smisero di mantenere le promesse ( l'aumento dell'IVA però lo avevavo fatto), e si scatenò la tempesta dello spread. Gli ultimi anni li conosciamo : nonostante l'alternanza di tre premier sessualmente sobri (che dovrebbe c'entrare poco con la politica, però si è diffusa la vulgata che Berlusconi non era attendibile NON per le riforme non fatte, quanto per il suo sexual addict) l'Italia continua a fare solo i compiti che gli pare. A parte la riforma previdenziale, tenere a bada il deficit a colpi di tasse. Non proprio il massimo per la crescita, che infatti non riparte, mentre in compenso aumentano il debito, la disoccupazione...Renzi ricorda spesso che l'Italia ha la metà della disoccupazione spagnola, cosa vera. Però dimentica - fa finta - che da noi i cassaintegrati sono considerati "occupati", e che in questi tre anni da loro il trend occupazionale sta migliorando, da noi peggiora. Sono cose che per gli osservatori internazionali contano. 
Sergio Romano indica nella classe politica il responsabile principale della resistenza alle riforme, ma io non penso che noi cittadini si sia innocenti,anzi. In realtà i politici hanno il torto di lisciare il pelo a noi elettori, e quindi le riforme più significative e dolorose (quelle che comportano, per intenderci, tagli al welfare e alla spesa pubblica in generale) non vengono mai veramente affrontate.
Alla fine, perché dolerci se ci chiedono di sottoscrivere impegni concreti sui piani di investimento per i quali chiediamo nuove risorse all'Europa ? In fondo Alesina e Giavazzi lo scrivono da anni che è quello che dobiamo fare : ridurre le tasse in maniera netta e presentare un piano DETTAGLIATO degli investimenti e dei tagli che ci impegnamo a fare.
Siccome i consigli non piacciono (li definiamo gufaggi), ecco che ci tocca subire gli educati diktat di chi ha il cordone della borsa perché ci mette i soldi !).


Il sospetto ricorrente 
 di SERGIO ROMANO
 


Fra i dati sull’Italia, elaborati periodicamente dall’Istat e da Eurostat, manca quello sulla fiducia. Se esistesse, scopriremmo che i nostri partner, indipendentemente dalle pubbliche dichiarazioni dei loro governi e dai comunicati ufficiali alla fine di un incontro bilaterale, non credono nel nostro Paese. Alcune ragioni sono storiche: le guerre fatte a metà, i cambiamenti di campo, il continuo divario fra il Nord e il Sud, gli impegni non rispettati, il familismo amorale, la giungla burocratica, la democrazia clientelare, il peso della criminalità organizzata sulla vita politica e sociale. Altre sono più recenti e più importanti. Come tutti i membri dell’Unione europea, l’Italia è passata attraverso le crisi della modernità, da quella sociale e generazionale del ’68 a quella delle nuove tecnologie, dal ritorno ai mercati dopo il declino dello Stato assistenziale negli anni Ottanta alla crisi del credito nel primo decennio del nuovo secolo.
Gli italiani, a tutta prima, sembrano consapevoli della necessità di cambiare, ma il loro sistema politico, a differenza di quelli dei partner maggiori, ritarda i mutamenti o finisce per annegarli in un diluvio di norme insufficienti e contraddittorie. Le Commissioni bicamerali per una nuova Costituzione muoiono senza avere prodotto alcun risultato. Berlusconi fa promesse che non verranno mantenute. Ogni riforma, da quella del lavoro a quella della giustizia, trova sulla sua strada un partito della contro-riforma, composto da corporazioni che difendono i loro privilegi chiamandoli ampollosamente «diritti acquisiti». Le leggi, quando vengono approvate, sono redatte in modo da produrre risultati parziali e mediocri. Da Tangentopoli a oggi sono passati ventidue anni: una generazione perduta.
Vi sono momenti in cui i nostri partner sarebbero felici di credere nell’Italia. Mario Monti è stato accolto entusiasticamente. Enrico Letta, agli inizi del suo governo, godeva di molte simpatie e di grande comprensione. Ma la rapidità con cui entrambi sono stati espulsi dal sistema politico trasforma il credito iniziale in nuovo pessimismo e in più radicale sfiducia. Matteo Renzi ha acceso qualche nuova speranza, ma il modo in cui saltella da un annuncio all’altro e sembra essere continuamente alla ricerca di un nuovo obiettivo, a maggiore portata di mano, comincia a creare diffidenza e scetticismo anche negli ambienti che lo avevano salutato come il Tony Blair italiano.
Niente è irreparabile. In un libro recente, apparso in Italia presso il Mulino e in Inghilterra presso la Oxford University Press, un economista, Gianni Toniolo, dimostra che l’Italia è quasi costantemente cresciuta dagli anni Novanta dell’Ottocento agli anni Novanta del Novecento. Ma non si cresce, nel mondo d’oggi, senza la fiducia dei mercati internazionali e i capitali degli investitori stranieri. E non si crea fiducia se il governo non riesce a sconfiggere con qualche cambiamento reale e immediatamente visibile, quei partiti della contro-riforma che sono da troppo tempo i veri padroni dell’Italia.

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