giovedì 23 ottobre 2014

CALA IL PREZZO DEL PETROLIO. DOVREBBE ESSERE UNA BUONA NOTIZIA, MA NON DEL TUTTO.


Diciamocelo, (incipit irresistibile di Fiorello - La Russa ), i nostri nonni erano migliori di noi ( i miei, quelli paterni, sicuramente migliori di me) però vivevano pure in un mondo meno complicato.
Limitiamoci all'aspetto economico. Ai tempi, se il prezzo del petrolio saliva, era un problema, e quando salì troppo si arrivò alla prima austerity, con le domeniche a piedi e le vie illuminate a lampioni alternati (uno acceso e uno spento).  Ma se scendeva, era una cosa buona, perbacco !
Oggi non è più così. Da giugno il prezzo del greggio è sceso a poco più di 80 dollari, 30 in meno rispetto a giugno. Evviva, dovremmo dire, visto che soprattutto noi italiani l'energia la compriamo soltanto.
Ma a parte il fatto che di queste discese ci accorgiamo fino ad un certo punto perché TUTTI i governi italiani storicamente racimolano soldi tassando la benzina ( e si sa, una tassa è come la mamma : per sempre ! ), gli osservatori economici ci spiegano che non è tutto oro quello che luccica. Perché le imprese i risparmi non li destineranno ad investimenti ma a pagare un po' di  debiti e i paesi produttori dovranno comunque rialzare i prezzi, ancorché la domanda sia in flessione, per cercare di equilibrare il rapporto tra entrate e minore richiesta.
Insomma, non dobbiamo farci illusioni.
Per carità, non facciamocele ! Però ammetterete che un tempo era più semplice !


Risparmi senza crescita e tensioni internazionali 
I lati negativi del petrolio a ottanta dollari
 

Dai 115 dollari dello scorso giugno agli 82-85 di questi giorni. A prima vista per un Paese come l’Italia che importa più del 90% del petrolio che le serve, e per l’Europa che ne è storicamente dipendente, il calo del prezzo del barile dovrebbe essere una buona notizia. Più o meno velocemente la discesa si rifletterà anche sul prezzo di benzina e gasolio pagato da consumatori e aziende. La bolletta energetica nazionale scenderà, il sistema delle imprese ne beneficerà riguadagnando competitività. Come ha ricordato l’ Economist , una caduta di 10 dollari del barile trasferisce all’incirca mezzo punto del Pil mondiale dai Paesi produttori a quelli consumatori. Tutto facile? Non proprio. In un contesto come l’attuale ci sono parecchi dubbi che questo spostamento avvenga senza intoppi. Nel suo ultimo bollettino l’Agenzia internazionale dell’energia ha dovuto abbassare le stime sulla domanda mondiale di petrolio per il 2014. La revisione era a sua volta motivata dal taglio della crescita delle maggiori economie del pianeta. Non è scontato che imprese e consumatori in difficoltà destinino a spesa e investimenti risparmi che potrebbero magari servire a ripagare debiti. Quando il barile «strappa» con questa violenza, infine, non è solo l’economia a subirne i contraccolpi. Tensioni e instabilità reali si potrebbero avvertire proprio sul fronte dei Paesi produttori, i cui budget interni sono a rischio. Non è un mistero che negli ultimi anni i prezzi di break-even del petrolio dei produttori (il prezzo che serve a coprire gli impegni statali, a iniziare dagli stipendi) siano lievitati. L’Iran sarebbe addirittura a 150 dollari al barile, l’Algeria sopra i 120 dollari, la Russia (il 50% del budget statale russo viene dall’energia) poco sotto. Anche l’Arabia Saudita sarebbe al limite, intorno a 80 dollari. E tra i tanti focolai di incertezza internazionale non si sente proprio il bisogno di una nuova preoccupazione legata ai prezzi del barile.

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