Non mi convince, a dispetto del mio a volte noioso garantismo, la nuova piega che sembrano aver preso la vicenda delle due ragazzine di Udine, che uccisero Mirco Sacher, prendendogli soldi e auto (ce ne siamo occupati a lungo : http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/07/le-due-quindicenni-che-uccisero-mirko.html ).
I periti del Tribunale dei minori, secondo l'articolo su La Stampa che trovate di seguito, descrivono le due giovani minorenni come due vittime, un po' per la loro storia familiare, un po' per l'approfittare del loro sbando emotivo da parte del Sacher, un uomo di oltre 60 anni.
Che l'ucciso sfruttasse la situazione, e quindi due ragazze senza controllo familiare, facili al fumo e al bere, facilmente tentabili per pochi euro a spogliarsi davanti all'uomo e farsi toccare da questi, lo trovo verosimile. Ma su questo esiste solo ed esclusivamente la parola delle due giovani, così come per la descrizione dell'omicidio. Oggi leggo di un morso sul seno di una delle due ragazze, ma da nessuna parte ho mai visto scritto, nelle cronache passate, di segni sui corpi delle giovani che testimoniassero un tentativo di violenza da parte del Sacher.
Insomma, l'ucciso non può più difendersi, e tutta la condotta delle due, prima e post il delitto, non depone a favore di Thelma e Louise.
Anche l'episodio narrato, di un altro uomo lasciato coi pantaloni calati per poter meglio fuggire dopo avergli preso i soldi promessi per essere compiacenti con lui, delinea un ritratto affatto lusinghiero delle due.
Capiamoci. Questi adulti sono da condannare, non c'è dubbio, ma Sacher è morto, è stato ucciso e alla legittima difesa continuo a non credere, come del resto non ha creduto il Giudice investito della vicenda, che ha escluso la volontarietà ma anche che le due ragazze abbiano agito per difendersi.
Dopodiché, trattandosi di due minorenni, ci può stare la valutazione globale del loro vissuto, della loro immaturità, grado di consapevolezza, ecc. ecc. , e decidere in base a tutto questo di evitare loro la punizione del carcere (come invece accadde, per fare un esempio, a Erika e Omar ), scegliendo l'affidamento in prova. Ma queste due ragazze sono "storte", molto, e il fatto che questo dipenda dalla vita non facile che hanno vissuto non cambia che siano pericolose per la disinvoltura nel fare ciò che è sbagliato e che traspare dalle loro narrazioni. Devono essere recuperate, per sé e anche per la sicurezza degli altri. Vediamo alla fine del trienno di prova.
Da carnefici a vittime. Le assassine 15enni “riabilitate” dai periti
Udine, il pensionato ucciso abusava di loro
I rilievi della scientifica sul luogo del delitto, il 7 aprile 2013
udine
Il primo lancio di agenzia aveva fatto sobbalzare tutti: «Ragazzine strangolano sessantenne. “Voleva violentarci”». Il secondo, già sollevava dubbi: «Racconto delle quindicenni. Un puzzle che non torna». Fermate, arrestate, accusate di omicidio e rapina. Diciotto mesi dopo, «le ragazzine terribili» sono libere. Il 28 ottobre saranno messe in prova per tre anni. Quello che è successo a Udine, nel tranquillo Nord Est italiano, ora è chiaro. Due perizie del gip del Tribunale dei minorenni di Trieste. Ed è una storia che fa paura.
«Io e Y andavamo spesso a casa di Mirco per fumare le canne. Era una persona normale anche se... Posso dire una parolaccia? Era un coglione. Si comportava come se avesse 30 anni. Secondo lui era normale fumare, bere e fare quelle cose».
Il cadavere del ferroviere in pensione Mirco Sacher, 67 anni, viene ritrovato il 7 aprile 2013 alle tre di pomeriggio, «nella zona campestre nei pressi di via Buttrio». È stramazzato a faccia in su. Ha i pantaloni leggermente abbassati. La prima ipotesi è che si tratti di una messa in scena. Ecco come l’hanno ucciso: «Saltandogli entrambe addosso, l’una sul torace, l’altro sull’addome, afferrandolo per il collo e poi stringendolo, fino a provocarne il decesso per strozzamento. Con l’aggravante di aver commesso il fatto per eseguire il reato di rapina». Le ragazzine scappano sulla sua Fiat Punto, vorrebbero andare a Venezia, ma imboccano l’autostrada in senso inverso. Lasciano l’auto alla stazione di servizio Liminella, direzione Padova-Milano. Hanno in tasca il bancomat dell’ex ferroviere.
X ha 16 anni, figlia unica di genitori divorziati quando era molto piccola. Abita in un quartiere difficile. Sta quasi sempre con la nonna. Frequenta il secondo anno di un istituto: «Brava come parrucchiera, meno in matematica». Per stare in forma fa uno specie di sport che si chiama Gag: «Gambe addominali glutei». «Quando sto male - dice - mangio tanto, quando sono triste e nervosa...». Fuma fino a venti sigarette al giorno. La prima birra a 12 anni, poi vino e cocktail quando va a ballare il sabato: «Ero allegra e più sciolta, mai malessere, solo effetti positivi...». Fino a cinque canne al giorno. «Era una specie di pensiero fisso. Se fumavi prima di entrare a scuola, in classe non capivi molto». Fa l’amore per la prima volta a 12 anni. «È stato bello, ma se tornassi indietro non lo rifarei. Ero piccola, mi sono fatta trascinare. Lui aveva tre anni in più di me. Una volta ha fatto un video mentre stavamo insieme e poi lo ha fatto girare nel quartiere. Per questo ci siamo lasciati..».
La madre di Y è morta quando lei aveva tre anni. Vive con il padre, in una famiglia ricostruita. Riceva circa 60 euro al mese per le sue spese. È fragile, cagionevole, molto affascinata da X, compagna di classe: «Abita in un quartiere non tanto buono - dice - ha sempre frequentato quella gente delle case popolari. Dicevano: quelli fumano, picchiano, rubano. Ma io li ho visti solo fumare le canne.». La prima «tiratina» in terza media: «Poi, più spesso alle superiori. Mi divertivo, non pensavo a niente. Fumare le canne era un modo per farmi accettare. Io mi sono sempre sentita inferiore agli altri, mai bella».
Sono queste due ragazzine ad incrociare il ferroviere in pensione Mirco Sacher. È un amico di famiglia. Spesso a casa di X. «Ci dava 5-7-10 euro -spiegano - a volte ci facevamo dare i soldi e poi andavamo via. Altre volte, restavamo a casa sua. Quando le canne ci facevano effetto, lui ci provava. Ci portava in camera e ci spogliava solo nei pantaloni, tutte e due insieme...».
Avanti così per un anno. «Le ultime volte Mirco comprava delle bottiglie di vino. Beveva, ci dava i soldi per le canne e per le ricariche. Ci diceva di non dire niente, altrimenti succedeva qualcosa di brutto». Questo è il mondo spietato delle quindicenni X e Y. Spietato e normale.
Al punto che agli atti c’è una storia collaterale considerata indicativa. È domenica. Y sta girando dalle parti della stazione di Udine con un’altra compagna di classe. Vengono avvicinate da un uomo, poi identificato. Offre pranzo da McDonald’s e chiede di stare con loro. L’albergo è chiuso, vanno in un campo: «Abbiamo preso i soldi, 60 euro. Gli abbiamo detto di abbassarsi i pantaloni per avere più tempo per scappare». E sono scappate.
X di Mirco Sacher dice: «Non è tanto per i soldi, è più per costrizione. Quando eri di persona era difficile dire no. Lui continuava ad insistere. Provavo vergogna. Non l’ho detto a nessuno perché mi sentivo in colpa. Mirco era odio, timore e ribrezzo». Y dice: «Fra noi non ne parlavamo mai seriamente. Tipo: “Dobbiamo finirla qui. È un deficiente...”». E ancora: «Se lo faceva X dovevo farlo anche io. A casa non ho detto nulla. Sono così brava a raccontare bugie che ormai mi vengono bene...». Per i periti del gip all’epoca dei fatti erano entrambe di «un grado di immaturità assoluta», «con una sofferenza priva di rappresentazione», «incapaci di intendere e volere». L’avvocato Federica Tosel difende una ragazzina: «Sono vittime. Non carnefici».
Il giorno prima dell’omicidio X e Y vanno in discoteca, tornano all’una. Dormono insieme.
Domenica Mirco Sacher le passa a prende in centro. Vanno a fare colazione. Lui beve due bicchieri di vino alle dieci di mattino. Le invita a pranzo a casa: pasto in bianco, altre due bottiglie di vino rosso. Ci prova in cucina, poi ancora in auto, quando le sta riaccompagnando. Si ferma nella «zona campestre» di via Buttrio. «Si è abbassato i pantaloni. Ha incominciato a toccare le gambe di Y. Insisteva. Io ero dietro. In quel momento mi ha scritto un sms mio padre: “Come va?”. “Ok”, gli ho risposto». Poi è successo: «Mirco ha dato un morso sul seno di Y. Ci ha strattonate. Gli siamo saltate addosso, le mani al collo. Ha smesso di gridare, ma non abbiamo capito che era proprio morto».
Io non ci credo...
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