Oggi il Consiglio dei Ministri dovrebbe partorire la Legge di Stabilità, e si potrà tentare di ragionare in concreto sulla manovra economica del governo, i suoi obiettivi, la sua fattibilità.
Finora ha avuto la meglio la propaganda, che è componente ineliminabile della politica, per cui non ci si può alterare più di tanto.
All'immediata vigilia, due dei miei osservatori preferiti di cose politiche ed economiche, Ricolfi e Giacalone, fanno delle considerazioni interessanti. In questo post diamo spazio al primo.
In buona sostanza, Ricolfi condivide gli obiettivi (stavolta Renzino dà più spazio alle imprese, tagliando l'Irap, cosa fatta anche lo scorso anni ma in modo inadeguato, preferendo la mancia degli 80 euro ai dipendenti, propedeutica alle elezioni europee, che comunque conserva, con costi elevati), mostrando perplessità sui saldi.
Nell'articolo, si fa riferimento ad una proposta elaborata dallo stesso Ricolfi congiuntamente ad altri centri studi, denominata JOB ITALIA e di cui abbiamo dato resoconto nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/10/il-job-italia-lo-studio-di-ricolfi-per.html .
Buona Lettura
Il vero peso delle misure in arrivo
Ma in che cosa consiste la manovra?
Se dovessi spiegarla ai miei studenti la metterei così. Cari ragazzi, quando un governo fa una manovra ci sono sempre un lato propagandistico e un lato effettivo.
Sono importanti entrambi, ma vanno tenuti ben distinti.
Il lato propagandistico è rilevante perché serve a comunicare le priorità del governo. Con la manovra annunciata ieri, Renzi ci dice tre cose tutte e tre sacrosante e condivisibili.
Primo: che vuole ridurre drasticamente gli sprechi della Pubblica amministrazione, con una spending review di 13,3 miliardi.
Secondo: che vuole ridurre drasticamente le tasse, con sgravi pari a 18 miliardi di euro (di cui 10 per il rinnovo del bonus da 80 euro).
Terzo: che vuole azzerare i contributi per i nuovi assunti a tempo indeterminato.
Fin qui tutto bene, il messaggio è chiaro, anche se in conflitto con quanto annunciato in precedenti occasioni e documenti ufficiali (nell’ultima intervista sulla spending review, ad esempio, i miliardi risparmiati non erano 13,3 ma 20, dopo essere stati 17 fino al giorno prima).
Adesso però guardiamo il lato effettivo, ossia la sostanza della manovra. Che cosa contiene effettivamente la manovra da 30 miliardi di cui si sta parlando in questi giorni?
Per capirlo dobbiamo dimenticare completamente la parte propagandistica e rispondere a tre domande: di quanto diminuiscono le spese totali della Pubblica amministrazione? Di quanto diminuiscono le entrate? E’ realistica la promessa di azzerare i contributi sociali ai nuovi assunti a tempo determinato?
Ed ecco le risposte, o meglio quel che si riesce a capire in attesa di un documento ufficiale.
Le spese della Pubblica amministrazione non si riducono affatto di 13,3 miliardi ma solo di 4,1 miliardi, perché accanto ai 13,3 miliardi di tagli programmati ve ne sono 9,2 di nuove spese, come il finanziamento degli ammortizzatori sociali, gli obblighi contratti dal governo Letta, o le cosiddette spese inderogabili.
Le tasse pagate dagli italiani non si riducono affatto di 18,3 miliardi, perché gli sgravi promessi sono bilanciati da 5,2 miliardi di nuove entrate, e quindi la riduzione effettiva della pressione fiscale scende a 13,1 miliardi di euro (che comunque non è poco). Va da sé che la differenza fra minori tasse (13 miliardi di sgravi) e minori spese (4 miliardi di riduzione della spesa pubblica) verrà coperta in deficit, ovvero messa in conto alle generazioni future.
Quanto alle assunzioni a zero contributi bastano alcuni semplici calcoli per scoprire che potranno riguardare al massimo 1 caso su 10, ossia 100-150 mila persone su oltre 1 milione e mezzo di assunzioni a tempo indeterminato.
Fin qui i conti nudi e crudi. Ma, al di là delle cifre, che giudizio si può dare della manovra?
Difficile fare valutazioni senza un testo ufficiale. Per quel che riesco a capire, l’idea del governo è che aumentando il deficit di circa 10 miliardi e ritoccando la struttura del bilancio pubblico si possa dare una spinta significativa alla domanda interna. E’ una linea di keynesismo debole (facciamo deficit, ma non troppo) che mi auguro possa funzionare, ma che si espone ad almeno un paio di obiezioni.
La prima è che aumentare il deficit di «soli» 10 miliardi, e ridurre la pressione fiscale di soli 13 miliardi, potrebbe non bastare a far ripartire i consumi ma potrebbe essere più che sufficiente a far ripartire lo spread, con conseguente ulteriore aggravio dei conti pubblici. Non so perché così pochi osservatori lo facciano notare, ma è da circa un mese che la tendenza dello spread dei titoli di Stato italiani è all’aumento, ossia al peggioramento. Ed è da sei mesi che i mercati hanno ricominciato a differenziare i rendimenti richiesti ai vari Paesi dell’euro, un comportamento che nel 2011 ha preceduto e annunciato la bufera finanziaria che portò alla caduta di Berlusconi e all’insediamento di Monti. In questo senso la mossa di Renzi di aumentare il deficit anziché ridurlo potrebbe rivelarsi un azzardo.
La seconda obiezione è che il meccanismo previsto per stimolare le assunzioni, ossia la cancellazione dei contributi sociali per gli assunti a tempo determinato, ha tre difetti abbastanza gravi: riguarda pochissimi lavoratori (perché con 1 miliardo non si può fare molto), non si finanzia da sé (perché non aumenta in modo apprezzabile il Pil), ha effetti occupazionali trascurabili (perché non è vincolato al requisito di aumentare gli occupati).
E’ proprio per evitare simili inconvenienti che, nei giorni scorsi, su questo giornale abbiamo provato ad aprire una discussione su una proposta alternativa, quella di un contratto a decontribuzione totale ma riservato alle imprese che incrementano l’occupazione (il job-Italia). Un contratto che, secondo le stime della fondazione David Hume, creerebbe almeno 300 mila nuovi posti di lavoro all’anno, e non costerebbe nulla allo Stato.
Non so se la nostra proposta sia la più efficace possibile, ma resto convinto che creare nuovi posti di lavoro, tanti nuovi posti di lavoro, sia una priorità assoluta per il nostro Paese, perché è la mancanza di lavoro l’elemento che più differenzia noi (e la Grecia) da tutte le altre economie avanzate. E’ questo, a mio parere, il terreno più importante su cui la manovra andrebbe giudicata: perché è questo il terreno su cui si gioca il futuro dell’Italia.
ROBERTO TUTINO
RispondiEliminaRicolfi, una delle voci che vale la pena di ascoltare in Italia, qui manca d'inserire un capoverso. Infatti qualsiasi aumento delle assunzioni deve partire da un fatto: che io possa tornare a comprare.
Con la manovre previste non credo che i cittadini - oltretutto vessati senza difesa da un fisco presuntivo - aumentino in maniera sensibile la loro propensione agli acquisti. Perché, allora, le aziende dovrebbero assumere?
LUIGI DESIDERATO
RispondiEliminaQED: gli obiettivi sono sempre buoni, ma quello che conta e' il loro raggiungimento. Esempio banalissimo: se propongo la pace nel mondo, e' un obiettivo ottimo. Poi se non riesco a realizzarlo, ho fallito. Qui andiamo dietro a delle BUGIE MACROSCOPICHE come la detassazione di 18 e rotti mld: spostando la tassazione sulle entita' decentrate, si fa in fretta a dire taglio delle tasse. Semplicemente NON e' VERO e i conti si fanno complessivamente.
La dimostrazione e' data dal continuo dietro-front che fa Confindustria: un giorno prende a male parole il governo e il giorno dopo gli regge il moccolo perche' questo ha fatto finta di fare qualcosa pro-Confindustria. Avanti di questo passo che il baratro si avvicina. Dov' e' la troika? Anzi LE TROIKE, perche' in Italia ce ne vogliono due: la prima e' facile che venga intrallazzata dallo status quo e fallisca ancora prima di cominciare. Siamo dei buffoni conclamati (ed infatti cosi' ci considerano in giro per il mondo, basta andare all' estero).
Una chicca / provocazione: ma a cosa davvero serve l' accordo con la Cina? Tanto per cambiare siamo il ventre molle e ne vedremo delle belle.... Ma non meravigliamoci poi se gli stranieri non hanno la minima fiducia in noi come paese!