venerdì 3 ottobre 2014

UE : QUANDO TUTTI HANNO TORTO LE SOLUZIONI SONO DIFFICILI



La Borsa ha subito fatto capire che non apprezza affatto quanto sta accadendo in Europa, tanto più se Draghi non dà seguito alle iniziative annunciate (oddio, mica sarà stato contagiato dalla renzite ??), facendo piuttosto discorsi cupi e purtroppo rispondenti alla realtà.
E questo ci riporta ad un problema grande che sintetizzo in una domanda agli esperti : se noi italiani,   che NON abbiamo più una Banca centrale nazionale, dovessimo vedere i creditori esteri, quelli che per oltre un terzo detengono titoli corrispondenti ad oltre un terzo del debito pubblico nostrano, NON rinnovarli e pretenderne il pagamento, cosa facciamo ?   Noi che ogni volta che dobbiamo recuperare i 4/5 (ma diciamo anche 10 o 20) miliardi per questa o quella riforma, come faremmo mai a restituire 700 miliardi (gli altri 1400, quelli in mano a banche italiane e dei cittadini, si fa presto : non si pagano e chissene...) ??  Ho fatto l'ipotesi estrema, ma va da sé che anche un 10% di quella massa costituirebbe un meteorite distruttivo. Pertanto, quando leggo di ribellarci all' "egoismo" e alla "prepotenza" tedesca, d'impeto, con orgoglio nazionale, mi viene da dire "si facciamolo !". Poi però rifletto e dico, ok, ma poi i soldi per le politiche "espansive" chi ce li dà ? Stampare moneta non possiamo, svalutare nemmeno, dunque ?
Quindi bisogna fare pressing sulla Germania perché accetti di cambiare rotta.... Sono tre anni che lo leggo (pure prima, ma allora a dirlo era Satana, e quindi non conta) eppure siamo ancora qui.
La Reichlin, nell'editoriale che segue, che, a differenza di molti scritti dell'economista, ha il pregio di una inedita (per lei) semplicità, a favore della chiarezza, ricorda opportunamente che la Germania ha un bel parlare di regole e di patti, ma anche loro non sono immuni dal difetto consueto di guardare solo alle pagine dei Trattati che gli fanno comodo.  A parte il notissimo sforamento, che ormai conoscono tutti, del 2003 e 2004 dove non solo la Francia ma anche la Germania chiesero - ed ottennero - di poter sforare il limite di deficit consentito, per poter finanziare a debito le riforme (che poi però i tedeschi fecero e la Francia no...anche questo bisogna ricordate), Berlino da tempo ha un surplus commerciale dal quale, molto blandamente, Bruxelles gli chiede di rientrare, e tra i compiti della BCE c'è quello di tenere sotto controllo l'inflazione NON solo se cresce, ma anche se è troppo bassa (segnale a quanto pare inequivocabile di recessione), e quindi sotto al 2% come è ora. In realtà, come hanno scritto ormai in tanti, la casa europea sta venendo su male, anche perché congegnata in tempi in cui i poveri facevano il piacere di restare poveri, non c'era la globalizzazione, con paesi non gravati dall'elefantiaco welfare europeo e che da un po' ci fanno una concorrenza imbattibile sul piano dei prezzi, favoriti da un costo del lavoro non so quante volte inferiore mediamente al nostro. Si salvano i settori di grande qualità, gli altri sono tutti morti o moribondi. 
Insomma, l'euro andava bene quando anvamo BENE, noi europei, mentre ora si rivela una palla di piombo, per tutte le lacune dell'unione sul piano politico. 
Se un po' tutti violano le regole, su diversi piani ed in diversa misura, è palese che queste ultime non vanno bene.
Certo, mai avrei pensato, anche da "europrudente" ( quindi non scettico ma nemmeno ciecoentusiasta), che sarebbero arrivati tempi così duri per i sognatori degli "Stati Uniti d'Europa".
 


La cosa giusta che non facciamo
di Lucrezia Reichlin

 
La tragedia era annunciata ma nonostante in molti l’avessimo vista arrivare, il treno è andato dritto contro il muro. La Francia ha dichiarato che non rientrerà nei limiti del deficit del 3% fino al 2017, l’Italia è vicina a sforarlo anche se continua ad affermare che lo rispetterà. La Banca centrale europea è da tempo ben sotto all’obiettivo dell’inflazione al 2% a cui è vincolata dal suo mandato. La Germania è in surplus commerciale eccessivo. Tutte le parti coinvolte sono in evidente difetto rispetto alle regole che si sono collettivamente e consensualmente date.
Come in un film al rallentatore, tra accuse reciproche, in un gioco in cui l’attribuzione della responsabilità della crisi è sempre e regolarmente dell’«altro», si è finiti sull’orlo di un suicidio collettivo. Le voci sono ormai cacofoniche, si ha l’impressione che manchi il direttore di orchestra. La Bce bacchetta i governi del Sud e del Nord: i primi per le mancate riforme, i secondi, in particolare la Germania, perché non si fanno motore di una ripresa della domanda attraverso un’espansione di bilancio. I governi francese e italiano si lamentano di un rallentamento inaspettato (inaspettato?) dell’economia.
I tedeschi accusano i Paesi che non hanno seguito la via del rigore e delle riforme di non rispettare i patti. Ma, per una ragione o per l’altra, tutti, alla fine, hanno infranto qualche regola.
Un sistema in cui nessuno riesce a rispettare le regole va ripensato. 

Le misure da attuare subito per rilanciare la domanda, al livello dell’Unione, sono chiare e se non ci fossero vincoli politici si andrebbe dritti per quella strada. C’è un largo consenso tra gli studiosi sul fatto che quando un’economia è in pericolo di deflazione e appesantita dal debito bisogna attuare politiche di bilancio espansive (attraverso un taglio delle tasse o tramite un aumento della spesa) finanziate dalla Banca centrale.
I vincoli politici per seguire questo percorso ci sono e sono comprensibili. Il tema posto dai tedeschi sulla necessità di darsi istituzioni in cui gli interessi dei creditori siano protetti e dove non si creino incentivi per i debitori ad allentare i vincoli di bilancio nei tempi buoni, è un tema chiave e non può che rimanere centrale in una Unione monetaria senza integrazione delle politiche di bilancio. Il nostro Paese in particolare manca, per buone ragioni, di credibilità. Il Trattato e il patto di Stabilità sono stati costruiti in modo da rispondere a questa esigenza. Ora però, nella loro interpretazione più conservatrice, impediscono all’Unione nel suo insieme di fare la cosa giusta.

I trattati non si cambiano in cinque minuti e sono il frutto di un compromesso faticoso, ma, o all’interno delle vecchie regole o dandosene delle nuove, dobbiamo uscire dall’eccezionalità di un’Unione in cui la politica della banca centrale è limitata da vincoli dettati da interpretazioni di parte del Trattato. E questo mentre l’approccio alle politiche di bilancio è sordo alla congiuntura economica e si basa su regole eccessivamente punitive e quindi poco credibili. È il legame tra l’eccessivo rigore dei vincoli e la loro mancanza di plausibilità a renderci, tutti, inadempienti.

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