martedì 11 novembre 2014

CASO MARO' : SE MILLE GIORNI VI SEMBRANO POCHI



Non varrebbe quasi la pena leggerlo questo aggiornamento di Armellini - oggi sul Corriere - sulla questione Marò, se non fosse per le due cose che opportunamente ricorda :
1) Sono ben 1000 giorni da quando questa pessima vicenda è iniziata, e non si vede luce . Gli indiani non iniziano il processo ( dopo quasi tre anni !!!) e l'Italia non attiva soluzioni internazionali diverse, limitandosi ad adombrarle (minacciarle sarebbe troppo) ;
2) Mancano meno di due mesi a gennaio, data nella quale scade la convalescenza concessa a Latorre dopo il grave malore che lo aveva colpito mentre si trovava prigioniero a Nuova Delhi. Se per allora non ci sarà un piano finalmente valido, concertato dai due paesi o anche solo dall'Italia, cosa accadrà ? Latorre torna, con un mare di giuste polemiche interne, oppure rimane ( e allora non vorrei essere nei panni di Girone che sta ancora lì) ? 
Quelli del Corriere della Sera (non solo Armellini, anche Taino si è spesso espresso in questo senso) scrivono che l'avvento di Modi alla guida di quella nazione, è paradossalmente stato un bene per confidare di risolvere positivamente questa brutta storia. Ultranazionalista, non sarebbe, nel caso di accordo diplomatico - tramutato poi in qualche modo in pronuncia giudiziaria, al di là delle balle sull'autonomia dei giudici, che in questi tre anni non s'è proprio vista - attaccato quanto lo sarebbero stati i Ghandi, per via della nazionalità di Sonia. In più. Modi è fresco di vittorie elettorali nette, quindi ha una forza significativa che potrebbe spendere per una soluzione che se non piacerà agli indiani più esaltati, farebbe molto comodo alla considerazione internazionale dell'India, novella potenza economica in espansione. 
Non so se queste considerazioni siano corrette. Mi limito a sperarlo. Magari il consenso al ritorno in Italia, sia pure a tempo, di Latorre potrebbe essere visto come una conferma di questa apertura.



Mille giorni dei marò in india  
Sono passati mille giorni da quando la «Enrica Lexie» è stata dirottata nel porto di Cochin e la soluzione appare ancora avvolta nella nebbia. Modi ha ulteriormente consolidato la sua maggioranza con la vittoria negli stati chiave del Maharashtra e dell’Haryana: il partito del Congresso è in crisi, la leadership della famiglia Gandhi viene contestata apertamente e non serve più agitare la carta della «Italian connection». Privo di avversari sul piano nazionale, il primo ministro è libero di dare impulso alla modernizzazione dell’economia da lui più volte annunciata, e rimasta più o meno allo stadio di dichiarazione d’intenti. Il risultato dipenderà in misura non secondaria dalla capacità di attrarre la fiducia degli investitori stranieri, convincendoli che l’India non è più il Paese ingessato e burocraticamente ostile che hanno a lungo conosciuto.
Per Delhi la vicenda è politicamente marginale, ma lo è molto meno per l’immagine e la credibilità del Paese, tanto sul piano del diritto internazionale come della possibilità di operarvi sulla base di regole e prassi condivise. Modi ha necessità di mostrare agli occhi del mondo che fa sul serio con le riforme e per noi il terreno per un cambio di passo si fa favorevole. Senza abbandonare l’argomento del difetto di giurisdizione e dell’arbitrato cui, in mancanza di altre soluzioni, dovremmo ribadire di essere pronti a ricorrere. Rilanciando al tempo stesso con determinazione un negoziato politico lontano dai riflettori in cui l’Italia dovrà esprimersi, riservatamente, con una voce sola. Certe cacofonie del passato non hanno aiutato e sarà bene non ripeterle. Gli indiani sono dei negoziatori durissimi ma non ignorano il concetto di trattativa: ci vorranno fermezza e massima chiarezza di argomenti. Non manca molto al gennaio 2015. Se per allora non avremo trovato una soluzione, delle due l’una: o Massimiliano Latorre torna in India e scatena un putiferio in Italia. Oppure non torna, e il putiferio si scatena in India. 

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