domenica 9 novembre 2014

PER UN MURO CROLLATO, ALTRI NE RESTANO E VENGONO COSTRUITI. MA QUELLO E' STATO BELLO VEDERLO VENIRE GIU'.


Nella giornata del 25 anniversario della caduta del muro di Berlino, propongo   un articolo scritto sulla rivista on line STATI GENERALI, che opportunamente ricorda cosa fu la Germania Est, casomai qualcuno la rimpianga. 
Trovo peraltra giusta, ancorché amarissima, la riflessione di David Bidussa, anch'essa riportata sulla stessa pubblicazione
«[...] i muri non sono scomparsi in questi 25 anni. Anzi sono aumentati. Soprattutto hanno cambiato funzione: da barriere per trattenere sono diventati confini per non far avvicinare.[...] Ergo: la gran parte di noi che festeggia la caduta del muro a Berlino, forse festeggia la sconfitta di un nemico, ma non festeggia il crollo del muro semplicemente perché, molti non sono così disponibili a far crollare o a indebolire altri muri.»
Ha ragione. Festeggiamo la fine di un nemico : il comunismo e il socialismo reale, con i suoi regimi totalitari.
Le cose poi non sono andate come avremmo desiderato, però quella vittoria resta. 


Memorie tedesche. La Germania dell’Est. Una storia breve.

8 novembre 2014

In Germania, il 9 novembre è una data particolare: si ricorda la nascita della fragile Repubblica di Weimar (1919), la notte del pogrom antiebraico (1938), che noi ci ostiniamo a chiamare “la notte dei cristalli”, e la caduta del muro (1989). In questo intervento, scritto insieme a Karin Birge Gilardoni-Büch, parleremo della memoria di quella parte di Germania rimasta oltre cortina.

La DDR. Una storia breve, di Ulrich Mählert, è l’unico libro disponibile sul mercato italiano che si occupa in modo tematico della storia della Germania orientale dalle origini alla riunificazione, naturalmente se si escludono i due importanti e voluminosi testi di Giorgio Collotti, sicuramente noti al pubblico italiano: la Storia delle due Germanie, del 1968, e Dalle due Germanie alla Germania unita, del 1992, che prendono però in considerazione soprattutto le problematiche fonti ufficiali e seguono in parallelo le vicende dei due stati lungo la loro esistenza divisa.
Mählert, al contrario, offre una sintesi complessiva di oltre quarant’anni di storia della «potenza dei contadini e dei lavoratori», prendendo in considerazione le politiche sociali e culturali, la politica interna e la politica estera, le relazioni con l’opposizione interna e la lunga preistoria dell’89.

Se l’identità di uno stato si consolida nelle relazioni con gli altri, allora l’identità dello stato tedesco-orientale si sviluppa lungo due assi problematici e in parte contraddittori: i rapporti con il grande fratello sovietico e con l’altra metà del cielo tedesco, la Repubblica federale.  Tra i diversi spunti possibili, ci soffermeremo dunque su questi due aspetti.

Per studiare i rapporti con l’Unione sovietica, è fondamentale considerare alcune tappe fondamentali. Innanzitutto, all’indomani della guerra si mette in atto un’occupazione culturale ed economica, imponendo un modello politico, arrivando a smontare fabbriche e binari dei treni come riparazioni di guerra in natura.

Nel 1953 è quindi messa in atto una brutale repressione contro la classe operaia (che protesta perché lo stato dei lavoratori li sta sfruttando come il peggiore dei capitalisti. Al riguardo, in Germania orientale circolava una bellissima barzelletta:
–       Sai che cos’è l’essenza del capitalismo?
–       Sì, lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo.
–       E l’essenza del comunismo?
–       L’esatto contrario

Il terzo momento coincide con la scelta del campo socialista e le relazioni di sfruttamento all’interno del Comecon, che venne giustificata (internamente) sulla base della solidarietà socialista e dall’esigenza di “imparare a vincere” dall’Unione Sovietica («Von der Sowjetunion lernen heißt siegen lernen»).

Si arriva infine agli anni ottanta, dove improvvisamente non bisogna più imparare dall’Unione sovietica di Gorbaciov e dalle sue due parole d’ordine: glasnost (trasparenza) e perestroika (riforma, ristrutturazione). Anzi, dal Grande fratello sovietico ci si aspetterebbe piuttosto un bell’intervento in stile cinese, che non arriva. Così, al posto di Piazza Tiananmen si ricorda la folla che attraversa il confine.

Per quanto riguarda le relazioni con la Repubblica federale bisogna distinguere due livelli diversi, quello della relazione tra i due Stati e quello, a esso strettamente connesso, delle conseguenze di questi rapporti per la vita dei cittadini tedesco-orientali. Il Leitmotiv dei rapporti ufficiali tra i due stati è sicuramente, sin dall’inizio, l’ossessione dello Stato tedesco-orientale di essere riconosciuto come tale. A essa corrispondeva, dal lato occidentale, il rifiuto di concedere questo agognato riconoscimento.

Per molto tempo, la Germania occidentale, si rifiutò persino di nominare l’altra Germania come Repubblica democratica tedesca. Era chiamata: «die Zone», termine preso dalla «zona di occupazione sovietica» e allusione a chi deteneva in effetti tutti i poteri decisionali (di qui il titolo del fortunato libro di Jana Hensel, Zonenkinder, pubblicato in Germania nel 2002, che si riferisce a chi era appunto nato nella “zona”, anzi, in particolare a chi era un adolescente all’epoca della caduta del Muro, come la stessa autrice del libro e la coautrice dell’articolo che state leggendo).

Quando nel 1959 colui che in seguito sarebbe diventato il più famoso critico letterario della Germania federale, Marcel Reich-Ranicki, propose al quotidiano Die Welt una serie di quattordici recensioni sulla letteratura dalla DDR (tra gli autori proposti, si trovavano Arnold Zweig, Anna Seghers und Franz Fühmann, Peter Huchel, Erwin Strittmatter, Stephan Hermlin), la redazione del giornale non volle pubblicarla usando la denominazione «DDR» che riteneva inaccettabile, e siccome per Ranicki non era accettabile il termine «Sowjetzone», si giunse a un compromesso costituito dalla parafrasi: «Scrittori tedeschi che vivono al di là dell’Elba» (Deutsche Schriftsteller, die jenseits der Elbe leben).

Un altro escamotage per evitare la “parola proibita” era «drüben» (di là) o, addirittura, «Mitteldeutschland» (Germania centrale).

Anche il linguaggio giuridico mostrava la reticenza a nominare l’innominabile. La costituzione della Repubblica federale, rimasta in vigore per quarant’anni fino alla riunificazione e tuttora in vigore dopo di essa, era in verità solo una costituzione provvisoria (chiamata “Legge fondamentale”), perché prevedeva che solo dopo una riunificazione con «le altre parti della Germania» dovesse entrare in vigore quella definitiva. Da un punto di vista giuridico questa affermazione non può che apparire paradossale: quando mai uno stato ha avuto una costituzione provvisoria in attesa di inglobare un altro stato? Eppure questa era la lettera dell’articolo 23 della Legge fondamentale.

L’Italia non fu l’unico paese non comunista a riconoscere la DDR solo tardivamente. Non c’è da meravigliarsi, perché dal 1955 la politica estera tedesco-occidentale si basava sulla cosiddetta «Hallstein-Doktrin», secondo la quale la Germania occidentale era l’unico stato legittimato a rappresentare i tedeschi. Da un punto di vista pratico, la conseguenza era l’interruzione di qualsiasi relazione diplomatica con i paesi che avessero riconosciuto la DDR (per esempio, la Iugoslavia nel 1957 e Cuba nel 1963).

Solo con il governo socialdemocratico guidato da Willy Brandt e con la sua Ostpolitik all’inizio degli anni settanta si cominciò ad accettare la «teoria dei due stati» da parte occidentale. Tuttavia la svolta non fu totale, infatti la Repubblica federale si rifiutò di trasformare la sua rappresentanza permanente a Berlino in una vera e propria ambasciata.

Mentre la politica ufficiale tedesco-orientale insisteva sulla sua autonomia, i suoi cittadini invece si orientavano verso lo stile di vita occidentale (veicolato dalla televisione dell’Ovest). Tuttavia, fino agli anni settanta, le relazioni tra le due popolazioni potevano avvenire solo in forma epistolare.

Nell’ambito della Ostpolitik verranno firmati diversi trattati riguardanti la questione della popolazione. Il Trattato sulla circolazione e il Trattato fondamentale, entrambi del 1972, regolamentavano la possibilità di viaggiare in Germania Ovest e viceversa. Ora, mentre i cittadini occidentali non avevano problemi a viaggiare all’Est (a parte l’obbligo di cambiare almeno 20 marchi occidentali in marchi orientali), i cittadini orientali dovevano aspettare la pensione o presentare la richiesta di visitare un parente occidentale (a condizione che avesse più di sessant’anni e fosse il suo compleanno).

Siccome i Trattati prevedevano anche lo sviluppo di più o meno regolari relazioni di tipo economico, cioè l’erogazione di prestiti allo stato tedesco-orientale, questo ebbe come conseguenza anche il miglioramento dello standard di vita dei suoi cittadini, il più elevato del blocco orientale. Un paio di esempi concreti: nel 1976 venne introdotto il cosiddetto Baby-Jahr, cioè il congedo, pagato, per la maternità della durata di un anno dopo il parto (oltre ai due mesi precedenti); aumento del salario minimo; riduzione dell’orario di lavoro ecc.

In definitiva, la relativa autonomia politica fu minata dalla crescente dipendenza della DDR dalla valuta estera. A partire dagli anni sessanta lo stato iniziò così letteralmente a «vendere» alla Repubblica federale i suoi prigionieri politici, i critici del regime e i dissidenti, mentre, contemporaneamente, svendeva una gran parte della propria produzione di beni di consumo (che si ritrovava poi nei grandi magazzini dell’Ovest): sarebbero poi mancati ai propri cittadini.
Un’altra famosa barzelletta della Germania orientale ci aiuta a capire come si vivesse in una economia della scarsità (chiamata Mangelwirtschaft, col che si intendeva che i soldi da spendere ci sarebbero anche stati, i prodotti da comprare invece no):
Una donna anziana, in una tipica bottega della Germania orientale (chiamata Kònsum), si ferma sulla soglia e non procede, guardandosi intorno con aria smarrita. La sua borsa per la spesa è completamente vuota. La negoziante e altri clienti si avvicinano solerti e le chiedono se possono aiutarla in qualche modo. No, risponde l’anziana signora, è che… non ricordo se sto entrando a fare la spesa o se l’ho già fatta e sto tornando a casa.

I progressi degli anni settanta, anche in seguito alla crisi petrolifera, si trasformano a questo punto in un lento e progressivo declino che giunge al culmine nel decennio successivo in tutto il blocco orientale. Probabilmente è anche qui, oltre che nel nuovo corso della politica sovietica, che vanno rintracciate le origini della rivoluzione pacifica del 1989, che provocherà il crollo del regime di Honecker e premerà per accelerare (e forzare) il processo di riunificazione (sostenuta a spada tratta da Helmut Kohl).

La conclusione dei quarant’anni delle due Germanie rispecchia i paradossi dell’identità di cui abbiamo parlato: da un lato sancisce la vittoria delle pretese tedesco-occidentali (tanto che non si apre alcuna discussione su una nuova costituzione approvata dall’intero popolo tedesco, cosa invece prevista dallo stesso art. 146 della Legge fondamentale): i «distretti» orientali vengono ritrasformati nei «nuovi» Länder che entrano nella Repubblica federale, secondo la procedura stabilita dall’art. 23 della stessa Legge fondamentale, mentre il marco occidentale ingloba (tendenzialmente, con un cambio di 2:1) quello orientale.
Dall’altro, però, fa emergere la sovranità limitata di entrambi gli stati tedeschi, tanto è vero che la riunificazione può avvenire solo dietro autorizzazione delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale.

Andrea Gilardoni e Karin Birge Gilardoni-Büch

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