sabato 22 novembre 2014

POLITO : RENZI E IL CORAGGIO DI DIRE AGLI ITALIANI CHE ANCHE LORO DEVONO CAMBIARE



Scrivevo, in un altro post, come pur condividendo per lo più le opinioni di Piero Ostellino, anche quelle critiche sul Premier, non mi sentivo di seguirlo nell'animus virulentemente polemico, con forti pradossali paragoni ad autocrati di un non lontanissimo passato.
Ricordavo anche che la schiera dei critici autorevoli di Renzi, nonostante il buon consenso popolare che l'uomo raccoglie, sia pure in flessione, si va infittendo, come inevitabilmente del resto accade a chi governa in frangenti così difficili come quelli attuali.
Antonio Polito va detto non è tra le nuove leve. Sostenitore di Monti - chissà se pentito - e poi di Letta, non apprezzò il defenestramento di quest'ultimo da parte del compagno di partito ( "il modo ancor m'offende", avrebbe scritto un suo celebre conterraneo). Ma le critiche che rivolge al capo del governo sono nel merito. Tra queste, importante, il voler accarezzare per il loro verso gli italiani, diffondendo una vulgata consolatoria e falsa : il declino italico è colpa della classe dirigente, composta dai politici vecchi, dai sindacati, dalle caste corporative. Sicuramente queste cose sono vere, ma la complicità di noi italiani Presidente ??
Buona Lettura





Vie d’uscita consolatorie dalla crisi
di Antonio Polito



Matteo Renzi ha molti meriti che gli resteranno, comunque finisca la sua avventura politica. Ha mandato a casa una generazione di capi della sinistra mai veramente uscita dalla cultura del Pci, ha ringiovanito drasticamente e reso più femminile il governo, ha ristabilito il primato del consenso democratico dopo una stagione di paralisi e di soluzioni tecniche. Che cosa è allora che genera ancora diffidenza in lui da parte di molti che pure hanno sempre auspicato una tale svolta?
Questa domanda merita di essere approfondita, e non solo perché viene rivolta spesso da chi ha invece abbracciato con tale entusiasmo l’ennesimo nuovo corso da sacrificargli lo spirito critico. Ma anche perché la risposta contiene forse qualche indizio sul possibile esito dell’ardito tentativo renziano di cambiare l’Italia, dopo averne cambiato il ceto politico.
Ernesto Galli della Loggia (sul Corriere di giovedì 20 novembre), ha individuato una serie di difetti del leader, incentrati su un punto cruciale: la necessità di «trovare i toni di drammatica verità e di serietà che sarebbero necessari a indicare davvero un nuovo cammino al Paese». Vorrei aggiungere al suo elenco un altro peccato del renzismo, che forse è originale.
Il nostro premier offre infatti agli italiani una spiegazione un po’ troppo consolatoria della crisi grave in cui versiamo. Dalla sua retorica, e anche dal suo programma di riforme, si trae un’idea fuorviante.
 
L’ idea di Renzi sembra essere che l’Italia, altrimenti grande Paese in grado di «guidare l’Europa», soffra esclusivamente per il fatto di essere stata rovinata da una élite incapace, vecchia e da cambiare. Che ci sia insomma un possibile capro espiatorio, sacrificato il quale si possa riprendere il cammino della dolce vita italiana, fatta di stile, bellezza e furbizia. Naturalmente l’errore non sta nel fatto che la nostra élite è effettivamente vecchia e da cambiare; sta nel lasciar credere agli italiani che non ne fanno parte che le cose siano così facili, e che loro non vi abbiano nessuna colpa e dunque nessuna necessità di cambiare. Esattamente ciò che vogliono sentirsi dire.
Dalla bocca di Renzi si sono sentite in questi mesi molte e dure invettive contro i politici da rottamare, contro i burocrati, contro i sindacati, contro i magistrati, contro i salotti buoni, contro il club delle tartine, contro Cernobbio e contro Bruxelles. Ma pochi ragionamenti su come intervenire nel profondo sul fenomeno dell’evasione fiscale, del sistema degli incentivi alle imprese, sui mercati chiusi dalle corporazioni professionali, sul sistema del socialismo municipale e delle migliaia di società partecipate, sui cacicchi locali che, anche nel suo partito, drenano risorse pubbliche solo per auto-riprodursi.
Ognuna di queste battaglie sarebbe difficile e dura, non meno di quella che il premier ha dovuto affrontare con i sindacati sull’articolo 18. Ma ognuno di questi problemi incide sulla capacità di ripresa dell’Italia molto più delle ferie dei magistrati e del sistema di elezione dei senatori. Ecco dove sono gli accenti di «drammatica verità» che dovrebbe trovare il leader: convincere gli italiani che votano per lui che devono cambiare anche loro. È un’operazione che può rivelarsi costosa in termini elettorali. Ma è l’unica che può alla lunga farci uscire dalla condizione in cui siamo, che non è passeggera ma strutturale, e per la quale non bastano iniezioni di ottimismo.
Il male italiano non è incurabile, su questo ha perfettamente ragione il premier e non è necessario essere allocchi per esserne convinti. Ma se fosse stato così facile guarirlo, oggi non ci sarebbe Renzi a Palazzo Chigi. E se non lo si cura come si dovrebbe per non perdere il consenso del malato, si rischia di esaurire il consenso ben prima che arrivi la guarigione.

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