mercoledì 5 novembre 2014

SONDAGGISTI USA MIGLIORI DEI NOSTRI : OBAMA PERDE ANCHE IL SENATO E SI RITROVA AZZOPPATO

 Il repubblicano Bruce Rauner festeggia la vittoria a Chicago, Illinois (Reuters)
Chissà se col tempo anche Barak Obama sarà rivalutato da una parte dei critici, come è accaduto per Jimmy Carter, peraltro considerato tuttora dalla maggioranza il peggior presidente americano del dopoguerra.
Carter non fu nemmeno rieletto mentre ad Obama una seconda chance è stata data, ancorché, probabilmente, più per dobolezza del competitor repubblicano, Romney. Che nessun nuovo feeling si fosse ristabilito tra il Presidente e l'elettorato lo dimostravano non solo i sondaggi di popolarità, costantemente negativi, ma anche le elezioni parziali, sempre perse dai democratici.
Significativo, e mortificante, il fatto che a queste di midterm l'inquilino della Casa Bianca sia stato invitato a starsene a casa, a non sponsorizzare i vari candidati democratici, ritenendo che avrebbe provocato più guai che benefici.
Non è servito pare, e nemmeno l'impegno di Hilary Clinton, che tutti danno come candidata presidenziale nel 2016, è bastato a sovvertire i pronostici che davano non solo l'Old Party decisamente vincente alla Camera, ma anche probabile vincitore al Senato, con la formazione, anche in quel ramo del parlamento USA, di una maggioranza contraria ad Obama. A quanto pare i sondaggisti americani sono più bravi di quelli italiani..
Barak Obama, che poco riuscì a fare nel primo quadriennio, quando era più forte, sembra pertanto condannato all'irrilevanza in questi ultimi due anni che gli restano, a meno di non riuscire a trovare una linea di compromesso funzionale con l'opposizione, e assumere, grazie anche a questa, un atteggiamento più risoluto ed incisivo, specie in politica estera.
Per i democratici sono guai, che la delusione Obama è stata grande, e non sarà facile riportare alle urne quell'elettorato più radicale di sinistra che aveva creduto nella rivoluzione promessa dal primo presidente nero della storia americana. Del resto, se Obama aveva fatto il miracolo di farsi eleggere, lui di origini africane, perché non poteva riuscire a fare degli Usa un paese di stile socialdemocratico, all'Europea ? Non è andata così. La riforma sanitaria è riuscita per metà ( e per i radicali, si sa, il bicchiere a metà è sempre vuoto...), e se i dati sull'occupazione stanno migliorando, l'America è comunque più povera rispetto al passato. Se quella gente non va a votare, i repubblicani, nel 2016, potrebbero vincere non tanto per la forza del loro candidato - da vedere chi sarà - quanto per la debolezza degli avversari. Un po' quello che succede da noi, dove si arriva al 41% perché il 35 resta a casa...



Midterm 2014, gli Stati Uniti bocciano Obama, i repubblicani conquistano la Camera e il Senato

Scardinata la coalizione che nel 2008 e 2012 portò il democratico alla vittoria. Ora il presidente “anatra zoppa”, dovrà gestire il potere esecutivo in condizione di debolezza
La mappa del voto realizzata dal New York Times
 paolo mastrolilli
  INVIATO A NEW YORK

Pesante sconfitta per i democratici, e per il presidente Obama, nelle elezioni midterm. I repubblicani, infatti, non solo hanno conquistato la maggioranza alla Camera e al Senato, ma hanno scardinato la coalizione che nel 2008 e 2012 aveva portato Barack alla Casa Bianca. Ora cominciano due anni molto difficili per il presidente, ormai “anatra zoppa”, che dovrà gestire il potere esecutivo da una posizione di grande debolezza, e per il suo partito, che dovrà ricostruire una nuova strategia elettorale se vuole tornare competitivo alle presidenziali del 2016. 

La giornata ha preso subito una piega negativa per i democratici, fin dai primi exit poll. Oltre il 50% degli elettori appena usciti dai seggi, infatti, ha detto che era scontento dei parlamentari di entrambi i partiti, ma ancora di più dell’amministrazione. Le elezioni di medio termine, in sostanza, si sono trasformate in un referendum su Obama e le sue politiche, e il risultato è stata una netta bocciatura. L’economia in ripresa non è bastata a salvarlo, a fronte delle delusioni per l’incerto lancio della riforma sanitaria, l’occupazione che balbetta, il mancato rinnovo delle leggi sull’immigrazione, il tentativo fallito di limitare la vendita delle armi dopo la strage di Sandy Hook, le crisi internazionali come quella dell’Isis, e persino la gestione dell’emergenza ebola. 

Il controllo della Camera da parte del Grand Old Party, come negli Usa viene chiamato il Partito repubblicano, non era mai stato in discussione, e la sua conferma è venuta subito dopo la chiusura delle urne. La gara quindi era tutta concentrata sul Senato, dove l’opposizione aveva bisogno di togliere sei seggi ai rivali democratici per diventare maggioranza. Ci è riuscita, andando ben oltre le aspettative. I repubblicani, infatti, non hanno vinto solo negli stati più deboli detenuti fino a ieri dai loro avversari, ma anche in molte regioni che proprio Obama aveva conquistato, cambiando la geografia politica degli Usa. Il Grand Old Party si è ripreso subito Montana, West Virginia, South Dakota, Arkansas, Alaska, e fino a qui non si può parlare di vere sorprese.  

Poi, però, ha portato via ai rivali anche Iowa, North Carolina e Colorado, che Barack aveva trasformato in stati blu puntanto sugli immigrati ispanici, i neri, le donne, i giovani, e i moderati bianchi che non si riconoscevano negli estremismi dei repubblicani modello Tea Party. Questa era la coalizione che aveva costruito il primo presidente di colore, e che sembrava destinata a durare, se non altro per ragioni demografiche. Le sue politiche degli ultimi sei anni, però, hanno deluso la sua base, che per reazione ha abbandonato i candidati democratici, nonostante negli ultimi mesi l’economia avesse dato segnali di ripresa. A queste sconfitte si è aggiunto il ballottaggio in Louisiana, che l’incumbent democratica Landrieu sembra destinata a perdere il prossimo 6 dicembre, e le vittorie di misura ottenute dal partito del presidente nel New Hampshire, e soprattutto in Virginia, un altro stato tradizionalmente repubblicano, che Obama era riuscito a conquistare. 

Ora tutto torna in gioco, in vista delle presidenziali del 2016. La coalizione di Barack è crollata e i repubblicani hanno un percorso praticabile da seguire per tornare alla Casa Bianca, se si considerano anche le vittorie in Florida e in Wisconsin per la poltrona di governatore. Scott Walker, che ha trionfato in questo stato blu, potrebbe presto emergere come un forte candidato presidenziale, oltre ai nomi già noti e citati come quelli di Jeb Bush, Rand Paul, Marco Rubio, e Chris Cristie. L’establishment si è preso la rivincita sul Tea Party, dimostrando che i candidati moderati vanno più lontano. Ora però dovrà smettere di dire solo no ad Obama e fare ostruzionismo, come ha fatto finora il nuovo leader del Senato Mitch McConnell, se non vuole pagare la paralisi fra due anni. 

I risultati rappresentano anche una sconfitta per la macchina elettorale di Hillary Clinton, che nonostante abbia partecipato a 45 eventi elettorali negli ultimi 54 giorni, non è riuscita ad avere un grande impatto, forse con l’unica eccezione del New Hampshire. Anche in Arkansas, lo stato di cui il marito Bill era governatore, i candidati che hanno sostenuto sono stati sconfitti. Le politiche bocciate naturalmente sono quelle di Obama, e soprattutto quelle dell’ormai ex leader del Senato Harry Reid, che ha contribuito alla paralisi del Congresso. Il risultato di ieri, però, impone a Hillary, e all’intero partito, un profondo esame di coscienza e forse un terremoto, per tornare ad essere competitivi nel 2016. 

Per Obama, invece, cominciano due anni in cui sarà difficile evitare l’irrilevanza. I repubblicani avranno una solida maggioranza alla Camera, e almeno 52 seggi al Senato, che potrebbero aumentare dopo il ballottaggio in Louisiana. Quindi sarà il Grand Old Party a dettare l’agenda legislativa, e il presidente dovrà trovare i suoi spazi facendo compromessi o usando i poteri esecutivi. Potrebbe sfidare il Congresso, decretando l’amnistia per riformare l’immigrazione, favorendo così la minoranza ispanica che sarà comunque fondamentale per i democratici nel 2016. Altri settori su cui invece potrebbe cercare il compromesso con i repubblicani sono quelli degli accordi per il commercio internazionale come il T-TIP con l’Europa, i programmi per la costruzione di infrastrutture, e la riforma fiscale per alleggerire i carichi sulle imprese. Ma il sogno del cambiamento che aveva incarnato Obama nel 2008, facendo sperare il paese in una presidenza capace di trasformarlo, è finito ieri notte.

2 commenti:

  1. CATERINA SIMON

    Secondo me i nostri inviati negli USA rischiano di guardare alla politica americana con delle "lenti europee" che ingigantiscono o minimizzano il significato degli avvenimenti. La cosiddetta "anatra zoppa", per esempio, è quasi la norma. Negli ultimi 40 anni ci fu un solo presidente ad avere il controllo delle due camere e fu, ironia delle cose, proprio Carter.Perciò è il compromesso, in realtà, ad essere la norma non viceversa. Inoltre bisognerebbe fare anche una bella analisi del momento storico-politico-economico USA in cui fu eletto Obama. Anche quello, a dargli un'occhiata da vicino, fu un voto CONTRO più a favore di qualcosa. Gli americani erano impantanati in una guerra che non riuscivano a vincere, criticati dagli alleati, odiati dalle popolazioni che pensavano di aiutare, shoccati dai guai che le loro banche e la finanza erano riusciti a creare alla loro stessa economia, ma anche offesi per essere planetariamente criticati sia per i loro interventi che per i loro NON interventi negli scenari internazionali. Obama prometteva di rimettere l'America, ossia i problemi degli AMERICANI, di nuovo al centro della politica, e questo accontentava anche una parte dei repubblicani. Obama rappresentava una carta mai giocata prima, un punto di vista peculiare, il potere evocativo nel mondo di un presidente negro (infatti gli hanno dato un nobel "sulla parola"). Perciò gli americani, che sono gente che "si butta", hanno provato a giocarsi questa carta e si sa, quando le aspettative sono molto alte.... Mi scuso per la lunghezza del post che so che tu non ami, ma ti assicuro che sull'argomento avrei avuto molto ma molto altro da dire

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    1. Non è vero che non mi piacciono i commenti lunghi, tanto è vero che li riporto sul blog, visto che gli autori non lo fanno...
      So bene Caterina che tu sei americana d'"elezione" e conosci meglio di molti l'animus americano, molto diverso da quello di noi europei. E magari hai ragione tu : l'entusiasmo nel 2010, quando Obama fu eletto, forse era più internazionale, ed europeo particolarmente, che americano in senso stretto.

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