giovedì 8 gennaio 2015

GRECIA : I DEBITI VANNO PAGATI, MA I FIGLI DEI DEBITORI ?



Ieri, sul Corriere della Sera, era riportata una lettera di Tsipras, il leader greco di sinistra dato per vincente alle prossime elezioni del 25 gennaio (ammappa come sono veloci da quelle parti, un mese per sciogliere le camere ed andare al voto ! a noi 30 giorni basteranno si e no per preparare le liste...). In questa, il capo di Syriza dava rassicurazioni agli europei : lui non vuole l'uscita dall'Euro, ma "semplicemente" il taglio del debito nazionale. Misura che, per l'80%, va a toccare le tasche dei non greci, che detengono solo per un 20% i titoli del proprio paese. Il resto sono per lo più nelle mani della BCE e del FMI... Ora, questa storia di non pagare i debiti contratti non suona bene, stride col senso comune. Allo stesso tempo, nemmeno piace l'idea che per debiti contratti da nonni e padri, non si sa bene quante generazioni future siano chiamate a strozzarsi. Perché anche questo accade. Nella legislazione ordinaria, per esempio, è previsto il beneficio d'inventario nell'accettazione dell'eredità : si risponde nei limiti dell'attivo. Chissà, magari dovremmo inventarci una formula simile, adattandola, ai debiti pubblici...
Resta che l'idea del taglio di quanto dovuto suona come una sorta di condono auto concesso. Ho troppi debiti, non li posso pagare, quindi tu creditore t'attacchi. Messa così, l'abbiamo detto, non sembra accettabile. Ma se ci troviamo di fronte ad una sorta di impossibilità ? E' un fatto che 4 anni e passa di politiche di rigore, e ben 240 miliardi di aiuti erogati a fronte delle riforme richieste, non hanno portato alcun beneficio alla Grecia Paese, con il welfare semi distrutto, una disoccupazione che supera il 25% della popolazione attiva e tutto questo con un debito che non è calato ma anzi percentualmente aumentato. Del resto, accade anche da noi : se l'economia non cresce, tu puoi anche fare sacrifici draconiani sul lato delle uscite, ma se diminuiscono pure le entrate...
Tutto questo è reso vieppiù complicato dalla anomalia europea, dove di comune abbiamo solo la moneta...
Davide Giacalone fa, sul tema, qualche considerazione di amaro buon senso, che vale la pena leggere.


Ricette greche


In Grecia non si parla di uscire dall’euro e il leader del partito di sinistra, dato in vantaggio dai sondaggi, si dichiara sostenitore della moneta unica. Fuori dalla Grecia tutti parlano dell’uscita ellenica, valutandone le possibili conseguenze negative. Per gli altri. Una scena surreale. Come in una stanza in cui tutti urlano, nessuno ascolta e non si capisce niente. Certo che tutto è possibile, in queste condizioni. Perché sono irrazionali.
Uscire dall’euro, per i greci, sarebbe un suicidio. Potrebbero vedere aumentare i turisti, visto che la svalutazione violenta potrebbe indurre più stranieri a visitare le isole e mangiare feta a basso prezzo. Ma solo a patto che quei turisti desiderino vacanzeggiare in un Paese che non potrebbe più permettersi di importare le medicine e dove la povertà sarebbe crescente. Roba per stomaci forti. A parte i turisti, in ogni caso, uscendo dall’euro le banche greche salterebbero tutte. Per non chiuderle si dovrebbe nazionalizzarle, così prendendo sulle spalle un costo superiore a quello del mantenimento del debito. Non è un caso che Alexis Tsipras certe cretinerie non le dice.
Ne diceva altre, a cominciare dall’idea di non pagare i debiti. Ora, però, mano a mano che si avvicina il giorno in cui potrebbe trovarsi al governo, ha corretto il tiro, intendendo rinegoziare le condizioni degli aiuti (leggi: soldi) ricevuti. Il che sembra ragionevole. Si sarebbe fatto in ogni caso. Quindi lasciamo i greci al loro voto.
Usiamo la memoria, che in quella stanza chiassosa spesso si smarrisce. Chi ha prestato soldi alla Grecia già subì un taglio dei propri crediti, ma solo se si trattava di privati. Prima di quella decisione, però, le banche che avevano in pancia titoli del debito greco, quindi prevalentemente banche tedesche, seguite dalle francesi, se ne liberarono, cedendoli alla Banca centrale europea e, quindi, non subendo il taglio. Bene ricordarsene, per non cadere nella somaresca trappola di ritenere bravissimi quelli che copiano il compito in classe. Varando il programma europeo di aiuti ciascun Paese s’impegnò a prestare soldi alla Grecia, in ragione della propria potenza economica. Dettaglio: siccome i tassi d’interesse praticati erano di favore è successo che chi attingeva soldi, dal mercato, ad un tasso inferiore, come la Germania, ci ha guadagnato, mentre chi li prendeva a un tasso superiore, come l’Italia, ci ha rimesso. Siamo noi che abbiamo finanziato i greci, mica i tedeschi.
Quei debiti vanno rinegoziati e allungati nel tempo, in modo che siano sostenibili. Ma, ed è questo il punto, ciò non può riguardare solo i greci, perché altrimenti va a finire che conviene essere sull’orlo della bancarotta, visto che i greci, già oggi, pagano (in rapporto al pil) i debiti meno degli italiani. Il tema del debito non può che essere unico e generale, nell’area dell’euro. Altrimenti non è la Grecia a uscire dall’euro, ma l’euro dalla storia. Ciò perché il senso della moneta unica, e, ancor prima, dell’Unione europea, è quello di rendere eguali, nei diritti e nelle opportunità, i cittadini che vi abitano. Se da una parte è giusto che chi si è indebitato, dilapidando in spesa inutile, paghi; dall’altra è evidente che tale condizione non può trasmettersi sui posteri, altrimenti replicando lo schema della schiavitù. C’è un solo modo per conciliare l’etica del debitore con l’equità della cittadinanza: che oltre alla moneta si abbiano anche debito comune. Ciò, però, comporta che ciascuno non possa fare di testa propria e a spese altrui.
In Grecia e in Spagna è la sinistra (detta estrema) a suonare la musica antirigorista. In Francia e Italia è la destra (detta estrema). Il che rende tutto estremamente confuso. E’ di destra o di sinistra, il rigore? Tutto sta a capirsi: quei debiti nazionali (il nostro compreso) non sono sostenibili senza sviluppo, se la ricchezza non cresce la zavorra porta a fondo la banca; ma se la spesa pubblica diventa all’istante spesa corrente e sostegno ai consumi (come gli 80 euro renziani), anziché investimenti, non cresce la ricchezza, ma la zavorra. Il rigore nell’amministrazione della spesa pubblica è come la pulizia di una ferita aperta: il minimo indispensabile per non crepare di setticemia. Al tempo stesso la possibilità di alimentare l’economia con credito al sistema produttivo e agli investimenti è come la carne per i debilitati: il minimo per non morire di anemia. Le due cose non sono il alternativa. Devono andare assieme.
Ma se si pensa che servano per far vincere le elezioni a chi propone ricette pazzotiche, balocchi per tutti, ricchi premi e cotillon, bé, allora sarà meglio che si sgolino maggiormente, nella stanza del baccano, così non si sente il rumore di quelli che stramazzano al suolo.

1 commento:

  1. MAURIZIO BONANNI

    Ti leggo sempre molto volentieri, Stefano! Hai posto il problema centrale: senza crescita, alla fine, i sacrifici si rivelano inutili. E, poi, è giusto ammazzare di risarcimenti danni le future generazioni? Ma, se noi italiani buttassimo a mare burocrazia e sprechi, avremmo enormi risorse aggiuntive a disposizione. Purché lo Stato esca da tutte le gestioni dei servizi pubblici essenziali e sia interdetto di sussidiare le imprese che vengono penalizzate dal mercato..

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