Non è vero che tutto quello che dice Renzino per me sia sbagliato. Non apprezzo il modo, che trovo sempre più insopportabilmente arrogante, in cui lo dice, anche quando esprime concetti che almeno in parte condivido - per esempio quando è in disaccordo coi sindacati, quando contesta il primato morale della sinistra, quando afferma di voler sottrarre la RAI ai partiti (in generale allo Stato no ?) - però non penso abbia sempre torto. Il problema, grande, è quando gli uomini politici non si rendono conto quanto il prezzo da pagare alla propaganda e alla demagogia sia a volte eccessivo.
Per esempio, come si fa sentire un Premier italiano, uno qualunque, mica per forza solo il toscano, dire che "l'Italia è pronta ad intervenire in Libia" ?? In Libia come in qualsiasi altra parte del mondo dove non si sia inseriti come complemento ad una forza d'intervento che ha ben altra ossatura portante. Insomma, se andiamo a coprire una zona, come in Afghanistan ed Iraq, posso anche pensare che, mandando lì qualche migliaio di uomini scegliendoli tra i pochi reparti ancora ben addestrati, il nostro compito possiamo assolverlo dignitosamente (ed in effetti mi sembra che così sia stato nei due fronti citati), ma di qui a dire che siamo NOI quelli pronti a fare da asse principale di una spedizione anche solo a Camaldoli (esagero, per rendere l'idea), ce ne corre.
Queste cose da un po' le ricorda Angelo Panebianco,che non è un antirenziano e nemmeno un guerrafondaio. Uno però che ritiene che ogni Nazione abbia tra i suoi doveri quelli dell'autodifesa, e quindi si deve mettere nelle condizioni di assolvere a tale dovere. Noi italiani non lo facciamo, da un bel po', coperti dall'ombrello americano e convinti che nessuno verrà mai a disturbarci a casa nostra... Entrambe le cose, vere ieri, lo sono meno oggi.
Se a questo ci aggungiamo qualche sentenza sciroccata di giudici pacifisti, come si fa a non ridere (con retrogusto amaro) quando Matteo nostro in TV dice spavaldo "Siamo pronti!"
A cosa di grazia ?
Sentenze miopi
e tagli sbagliati,
le armi puntate
contro di noi
di
Angelo PanebiancoMentre la politica discute se toccherà al nostro Paese la guida di un’eventuale missione militare di pacificazione (non chiamatela guerra, per carità) in Libia quando e se l’Onu darà il benestare, da diverse fonti emerge l’impreparazione dell’Italia di fronte ai nuovi pericoli.
Il generale dell’aeronautica Leonardo Tricarico, già vicecomandante della missione in Kosovo, in una drammatica intervista all’ Espresso di questa settimana, spiega che l’Italia non solo non è pronta per intervenire in Libia ma non ha neppure la capacità di difendere adeguatamente il nostro territorio.
Colpa dei tagli di bilancio che si sono susseguiti per anni, la nostra Difesa è oggi assai mal ridotta. Manca, ad esempio, la copertura finanziaria per garantire la continuità quando scadranno i contratti di manutenzione di diversi importanti sistemi d’arma aerea. Inoltre, i nostri Predators, aerei a controllo remoto, che potrebbero rivelarsi cruciali per la lotta al terrorismo, non sono armati. Né disponiamo di una adeguata capacità di difesa da eventuali attacchi dalla Libia: non sappiamo che fine abbiano fatto tutti gli Scud di Gheddafi (senza parlare del fatto che lo «Stato islamico» possiede soldi a sufficienza per procurarsi armamenti anche più sofisticati).
L’incuria denunciata dal generale Tricarico ha almeno due cause. La prima è data dal disinteresse, condiviso a lungo da quasi tutta la classe politica italiana, per la sicurezza nazionale. C’è da trovare soldi per garantire una categoria elettoralmente influente? Non c’è problema, i soldi si trovano tagliando i fondi della Difesa. La seconda causa è culturale. Come si è visto anche durante le discussioni sugli F 35, la quantità di parlamentari — a loro volta in sintonia con un settore rilevante dell’opinione pubblica — che vorrebbe lo smantellamento delle nostre forze armate in omaggio ai propri ideali pacifisti, è piuttosto ampia. La combinazione di disinteresse e di opposizione di principio ci ha condotto dove ora siamo: in presenza di una emergenza che non abbiamo i mezzi sufficienti per fronteggiare con efficacia.
Ma c’è di più. Magari bastasse solo un cambiamento degli orientamenti della classe politica. Ci sono altre cose assai gravi. A molti è forse sfuggito ma proprio mentre l’altra settimana eravamo alle prese con le minacce dello «Stato islamico» all’Italia dei crociati, l’ineffabile Tar di Palermo, con una sentenza, bloccava la costruzione, nella locale base Nato, della stazione di terra del Muos, il più avanzato sistema americano di comunicazioni satellitari a scopi militari, dando ragione al Comune di Niscemi che la definiva «dannosa per la salute».
La sentenza, naturalmente, è stata accolta con esultanza da tanti bravi cittadini della zona. Qui non si vuole scherzare su cose così gravi ma forse servirebbe una riflessione collettiva sul fatto che i «danni per la salute», se la situazione in Nord Africa continuerà a deteriorarsi, potrebbero risultare maggiori di quelli che può procurare una stazione Muos. Ma davvero la sicurezza nazionale, nonché i nostri impegni Nato, possono essere appesi alle sentenze dei Tar?
Siamo passati di colpo dall’età dell’oro all’età dell’emergenza. Nell’età dell’oro potevamo permetterci di abrogare unilateralmente la guerra (tanto a farla ci pensavano i nostri protettori militari americani), fare a meno di una cultura della difesa e, persino, affidare ai tribunali amministrativi le decisioni ultime sulla sicurezza militare. L’età dell’oro è finita, anche se molti figli di quella stagione tuttora in circolazione non se ne rendono conto. Non avremo difesa efficace finché non lo capiranno.
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