venerdì 13 marzo 2015

HANNO ABOLITO IL NOME TROIKA, MA SEMPRE CON QUEI TRE I GRECI DEVONO FARE I CONTI

 

Mario Draghi, un uomo che ci rende orgogliosi, e che io vorrei uno e trino, se fosse possibile (presidente del Consiglio, della Repubblica, restando quello che è : capo della Banca Europea), è criticato sia dai tedeschi che dai greci, che sono notoriamente ai lati estremi del contenzioso. I primi stravolti dal QE imposto dall'Italiano, i secondi perché, secondo le regole dell'istituto che dirige, per elargire ulteriori denari alla Grecia, Draghi richiede che siano fornite garanzie accettabili per i creditori. Varoufakis e soci lamentano una disparità di trattamento rispetto al precedente governo, guidato dai conservatori (ma appoggiato anche dal PASOK, i socialisti, o quello che restava di loro). Come bene spiega Danilo Taino, nel post che segue, le cose non stanno esattamente così.  L'esecutivo allora in carica, sia pure a fatica, cercava, come del resto Spagna, Portogallo e Irlanda, di fare delle riforme che abbassassero la mostruosa spesa pubblica greca. E' vero che in questi anni la cosa non ha prodotto grandi risultati, e questo, mi pare di capire, anche per il fatto che alcuni fattori di crisi nevralgici della Grecia (e non solo di quel paese) non sono stati toccati : corruzione, evasione, potentati corporativi.  Si è dimagrito il settore pubblico, cosa buona e giusta (Tsipras vorrebbe invece rimpolparlo), ma altri settori, che parimenti andavano colpiti, pare invece siano stati protetti. Il nuovo governo vuole farlo, e su questo ha ragione, ma non basta. Il problema Atene non ce l'ha solo con Draghi, ma anche con Bruxelles e il Fondo Monetario Internazionale.
Non la chiameranno più troika, non li faranno atterrare in Grecia, ma sempre con quei tre devono fare i conti, col bisogno di soldi che hanno.




La Grecia apre il contenzioso con la Bce Atene polemica
con Schäuble: ci ha insultato
Protesta del governo ellenico. 
Il ministro tedesco: 
da me nessuna offesa a Varoufakis 
 
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO
 Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco, ha un doppio problema. Il primo è con gli altri 18 colleghi che compongono l’Eurogruppo e dunque con i rispettivi governi: con loro deve negoziare un accordo, su numeri e programmi ma di carattere politico. Non facile. Il secondo riguarda il rapporto con le istituzioni «tecniche» che devono occuparsi del caso greco, soprattutto la Banca centrale europea (Bce) ma anche il Fondo monetario internazionale (Fmi). Qui, l’impresa è forse ancora più difficile: lo spazio di manovra di queste istituzioni è limitato dalle regole entro le quali si devono muovere. A tutto questo si aggiunge la tensione tra Varoufakis e il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. Secondo la stampa greca, il secondo avrebbe definito il primo «stupidamente ingenuo nel comunicare». Ma sembra esserci stato un errore di traduzione. Schäuble ha chiarito all’«Ansa» che l’espressione effettivamente utilizzata aveva il senso opposto: «Che Varoufakis adesso sia improvvisamente ingenuo in materia di comunicazione, sarebbe per me una cosa nuova», ha detto il ministro. Ma la vicenda ha provocato una protesta ufficiale («non può insultarci») del ministero degli Esteri di Atene nei confronti di Berlino.
Ieri, Jens Weidmann, presidente della banca centrale tedesca Bundesbank ed esponente autorevole del Consiglio dei governatori della Bce, ha sostenuto che i problemi di finanziamento del governo greco — che potrebbero avere momenti di crisi nelle prossime settimane, alla scadenza di alcuni crediti da rimborsare — sono competenza dei governi e «meno che mai» della Bce.
La questione riguarda la richiesta di Atene all’istituzione guidata da Mario Draghi di alzare il tetto dei titoli a breve termine che le banche elleniche possono usare come garanzia per ottenere cash dalla banca centrale.
In questo modo, il governo greco potrebbe emettere quei titoli e venderli alle banche nazionali, le quali poi avrebbero prestiti dalla Bce. Draghi ha già respinto questa possibilità: si tratterebbe di un finanziamento alla Grecia vietato dai trattati. Ieri, Weidmann ha ribadito il concetto. E, in risposta all’accusa di Varoufakis, secondo il quale in questo modo si starebbe «asfissiando» Atene, ha seccamente sostenuto che «non è a causa della Bce che il governo greco non ha accesso ai mercati» (sui quali finanziarsi).
Fatto sta che il governo di sinistra greco ha aperto un contenzioso duro con Francoforte. In un’intervista al settimanale tedesco Spiegel , il primo ministro Alexis Tsipras ha accusato la Bce di «tenere ancora la corda attorno al nostro collo». E Varoufakis ha detto, in un’intervista al Corriere , che nel 2012, di fronte a un governo conservatore ad Atene, la banca centrale si era comportata diversamente, aveva concesso l’innalzamento del tetto alle emissioni a breve termine: ora — ha aggiunto — ha invece un atteggiamento «disciplinante».
La differenza, però, c’è: ai tempi del governo di Antonis Samaras la prospettiva di un accordo tra la Grecia e i suoi creditori era molto reale, oggi è in serio dubbio. Per questo, la critica più forte che viene rivolta ad Atene è di perdere tempo con polemiche inutili e di non avere ancora presentato un progetto serio di accordo al Gruppo di Bruxelles (Ue, Bce, Fmi, il terzetto che prima veniva chiamato troika).
Allo stesso modo, l’Fmi non può sborsare denaro per Atene se non c’è la rete di sicurezza di un accordo debitore-creditori. È una questione di regole, più che di volontà: ieri la Bce ha alzato di 600 milioni, a 69,4 miliardi, il tetto ai prestiti d’emergenza per le banche elleniche; e l’Fmi ha ribadito di essere aperto a un accordo se i negoziati in corso avranno successo. Nessuna delle due istituzioni sembra però disposta a infrangere le proprie norme per aiutare un governo che finora ha soprattutto perso tempo.

Danilo Taino

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