mercoledì 1 aprile 2015

LA LEGGE ELETTORALE NON DOVREBBE ESSERE UN VESTITO DI SARTORIA CUCITO ADDOSSO AL PREMIER

 

Mi ha colpito giorni fa un editoriale di Panebianco nel quale il professore definiva l'Italicum una legge elettorale che Renzi si era "cucito addosso come un abito di sartoria". Non un complimento, evidentemente, e questo scritto da un commentatore tra i benevoli del Premier. Ieri Giacalone, in un articolo che trovate di seguito, spiegava come il doppio turno, voluto da Renzino, funzioni in Francia dove c'è il (semi)presidenzialismo mentre sarà un pasticcio da noi. Noialtri ci pensiamo sempre più furbi, copiando quello che ci pare degli altri sistemi, in modo da poter dire "ma anche nella civilissima...(stavolta è la Francia, un'altra volta è un paese anglosassone, un'altra la Germania...a seconda della convenienza) " in realtà storpiando negli "adattamenti". La cosa è ancora più evidente con un Premier a chiara vocazione presidenziale, che però non ha il coraggio di avviare una riforma apertamente in quel senso. Fa parte del personaggio, tattico ed ambiguo, che appunto si fa le leggi "su misura". 
Detto per inciso, anche in Francia hanno i loro bravi problemi, con un elettorato che diserta in massa le urne, peggio che da noi ( non è segno di salute della democrazia, come qualche demente da noi farfuglia per nascondere il suo opportunismo) e con un sistema dove la rappresentanza viene spesso tradita, visto che il FN, che, può dispiacere, prende più voti di tutti come singolo partito e poi si ritrova con nessun dipartimento vinto. Però l'assetto di fondo della Quinta Repubblica è accettabile. NOn così è da noi, oggi e nel futuro prossimo a venire.



Lezioni francesi





Dalle elezioni francesi giungono diverse lezioni, utili. Tutto sta a leggerle senza lasciarsi distrarre dalla propaganda. E tutto sta a capire che molto ha a che vedere con il sistema elettorale, il cui meccanismo a doppio turno non è neanche lontano parente di quello, incosciente, che s’intende adottare per l’Italia.
Le lezioni in francese hanno valenza europea. 1. Una terribile crisi di classe dirigente, considerato che il vincitore è un ex presidente e la più in ascesa è figlia di chi già arrivò al ballottaggio, per le elezioni presidenziali. Si trascina al presente e si proietta nel futuro una sfida del passato. 2. Gli elettori disertano in maggioranza le urne. 3. Il governo perde elezioni dopo elezioni (in Francia è facile spiegarlo, perché François Hollande ci mette molto del suo, ma accadeva la stessa cosa in Germania, dove, del resto, Angela Merkel governa ancora, ma in coalizione con i suoi avversari, non avendo voti per farlo da sola). 4. Il Front National è sconfitto, ma per come funziona il sistema elettorale, dato che il partito di Marine Le Pen raccoglie sempre più voti. 5. Non è vero che la destra di Nicolas Sarkozy cresce perché usa le tesi di Le Pen. Sono alleati con l’Udi (Unione democratici indipendenti), il cui leader, Jean-Lous Borloo, debuttò nelle liste di Simone Veil, ebrea, deportata ad Auschwitz, giscardiana, europeista e primo presidente del Parlamento Europeo. E anche sul tema immigrazione, che Sarkozy ha sempre usato per fare il duro, sostengono: accogliamo tutti purché riconoscano il nostro modello civile. Dovessi tradurla in italiano aggiungerei: accogliamo tutti, finché possibile, etc.. E’ ben diverso dall’usare la paura dell’immigrazione. 6. La maggioranza dell’elettorato francese (come quello italiano) è sempre stata moderata. La sinistra vince quando si presenta riformista e moderata, usando anche il rigetto dei governanti uscenti. Ma se si sommano i voti Ump-Udi a quelli Fn, ora si arriva quasi al 70%. Segno che molti moderati (specie a sinistra) si sono astenuti e che nei voti Fn ce ne sono non pochi che vengono da sinistra.
Veniamo alle lezioni in italiano. Il ballottaggio a doppio turno funziona. I francesi delle europee e quelli delle dipartimentali sono le stesse persone, eppure i risultati sembrano diversi. Accade perché, fuori dal proporzionale, l’elettore ha prima la possibilità di votare secondo l’umore, poi quello di scegliere chi far vincere. E’ pieno di difetti, ma funziona. Ovviamente in tandem con l’elezione diretta (e similare) del presidente della Repubblica. Quel sistema non è quello che vuole Matteo Renzi? Neanche per sogno: lì il doppio turno è sempre di collegio e porta all’elezione di una persona, qui lo si vorrebbe nazionale e con vittoria di listone. E’ l’opposto.
Non sono fra quanti vedono in Renzi un potenziale despota. Non scorgo pericoli per la nostra democrazia. Però quel sistema elettorale è pericolosissimo, giacché porta, dopo un mese, un anno o una legislatura, a uno dei due possibili sbocchi: a. il trionfo del trasformismo; b. l’irreggimentazione forzata dei parlamentari e la limitazione della loro libertà. Meglio il primo del secondo, ma meglio ancora nessuna dei due. Abbiamo passato anni (siamo stati i primi) a dire che le coalizioni salsiccia non funzionavano e ora ci rammarichiamo se si prova a superarle? Capita perché non le si supera affatto. Solo che la salsiccia cambia foro d’ingresso.
Giampaolo Pansa ha scritto un articolo bellissimo, pubblicato domenica da Libero. Ha ricordato che i listoni della legge Acerbo erano coalizzanti, non monocolori, e che nel Partito nazionale fascista esisteva opposizione a Mussolini. L’autoritarismo non è solo volontà, ma anche insidia che si annida nelle pieghe del grottesco, nell’humus conformista, fra le pietre della viltà. Una buona (perfette non ne esistono) combinazione di sistema istituzionale e sistema elettorale tutela la democrazia dalla potenza dei cretini e dall’attrazione dei salvatori della Patria. Tenendoseli, perché espressione dell’elettorato, ma lasciando in vita i semi del buon senso e della ponderazione. In Francia c’è. Ammaccata, in un Paese con i conti scassati, ma c’è. La cucina italiana sta mestolando una sbobba velenosa.

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