sabato 25 aprile 2015

RODOMONTE IN ITALIA, FANTOZZI IN EUROPA

 

In un sabato dove la fa da padrona la retorica resistenziale, come ogni 25 aprile, di più oggi che è il 70° anniversario dalla liberazione, che fu opera degli alleati ma che la stampa nazionale continua ad attribuire alla lotta partigiana, le notizie sono poche, e i commenti interessanti idem.
Ho scelto questo di Verderami, che condivido nella sostanza e che conferma come l'attuale premier sia un tattico (bravo) della politica, ma un mediocre uomo di stato. Chissà, magari lo diventerà, che a volte si tratta anche di esperienza, che sicuramente ad uno che aveva fatto solo il presidente della provincia Toscana e poi il sindaco di Firenze, non poteva non mancare. 
Forse consapevole, nonostante la presunzione non manchi ai suoi tratti caratteriali, di questo limite, Renzi tende sempre a rimandare i nodi più brigosi, e quello dell'immigrazione sicuramente è tra questi. 
Non so se il dialogo che Verderami riporta, tra il presidente e Alfano, sia immaginario o reale, sicuramente è verosimile la sostanza. Di fronte ad un problema difficile e drammatico, la preoccupazione di Renzino sarebbe quale scelta potrebbe essere meno impopolare... Tristino no ?
Buona Lettura



Il segretario prepara la sfida per chiudere i conti con tutti
La partita con la sinistra e Berlusconi. 
Ma il vero timore è sugli sbarchi
 

 Governare logora, secondo Renzi, ma non a Roma. Infatti è di ritorno da Bruxelles che ha confessato di essere a corto di energie, siccome «il vertice è stato assai stressante». In Italia non gli accade, perché dispone di un vantaggio che nessun suo predecessore ha mai avuto: ha ereditato un sistema debolissimo che dopo un anno era già figlio di un’altra epoca politica, e ora può usare la sua forza con tutta la spregiudicatezza di cui è capace, dato che in fondo è — per tutti i parlamentari — l’assicurazione sulla loro vita, l’unico che può garantire l’arrivo alla terra promessa, cioè alla fine naturale della legislatura.
Perciò li lusinga e al contempo li minaccia. L’ha fatto anche ieri avvertendo che se cadesse l’Italicum cadrebbe anche il governo, evocando — ma senza dirlo per rispetto a Mattarella — le elezioni anticipate. Ma è un non problema, piuttosto è un esercizio di retorica, un modo per enfatizzare la questione prima di risolverla con una girandola di voti di fiducia. Il resto è tattica parlamentare: Renzi deve solo decidere se dar seguito al timing predisposto alla Camera — dov’è previsto già per la prossima settimana il primo voto a scrutinio segreto sulle pregiudiziali di costituzionalità della legge — oppure far concentrare tutto l’esame del provvedimento nei primi giorni di maggio, così da evitare che il soufflè delle polemiche monti eccessivamente.
Rischi che la legge elettorale venga affondata non ce ne sono, non a caso il premier è pronto alla scommessa, che si trasforma in sfida verso gli avversari nel Partito democratico. Il modo in cui ieri ha risposto a Letta e soprattutto a Prodi — rivelando che è stato l’Onu a non volere il Professore come mediatore in Libia «per via dei trascorsi legami con Gheddafi» — fa capire che Renzi non intende farsi chiudere nell’accerchiamento dei «rottamati», gli stessi che un tempo non smettevano di litigare e che ora — a suo parere — hanno preso a sentirsi per far contro di lui fronte comune.
Li sfiderà in Aula, dove forse sul voto a scrutinio segreto per le pregiudiziali di costituzionalità si affiderà a una prova muscolare: niente fiducia in quel caso, perché Renzi deve dare almeno una dimostrazione di forza. Poi chiuderà i conti anche con Berlusconi, a cui deve andar bene il «colpo di Stato» che il capo del Pd sta per attuare. Lo ha capito il capogruppo di Ncd, Lupi, quando al collega forzista Brunetta ha consigliato di non chiedere voti segreti sul’Italicum: «Meglio il voto palese, Renato, dammi retta. Così Renzi non potrà mettere la fiducia, che fa gioco a lui e alla minoranza del Pd divisa». Niente da fare, segno che anche Forza Italia non vuole mostrare le proprie crepe.
Insomma non è per quanto accade a Roma che al premier sono venuti «i capelli bianchi». È nel Mediterraneo che la sua leadership rischia di imbarcare acqua. C’è un motivo se per un anno si è tenuto distante dal dossier che ora è costretto a gestire. Lo spiegò ad Alfano, mesi fa, durante un vertice ristretto di governo, quando il titolare del Viminale — lasciato ad occuparsi della faccenda — chiedeva al premier un intervento: «Angelino, sull’immigrazione devi capire che in qualunque modo se ne parli, si beve», cioè si va in difficoltà, perché «non saremo mai talmente spietati da far concorrenza a Salvini nè mai talmente accondiscendenti da far concorrenza alla Boldrini».
Aveva ragione, se non fosse che l’emergenza lo ha spinto in mare aperto. Il vertice a Bruxelles sarà pur stato «positivo», ma il potenziamento della missione Triton nel Mediterraneo non risolve, anzi rischia di far aumentare il fenomeno migratorio, il cui peso — senza la solidarietà europea — ricadrebbe (quasi) per intero sulle spalle dell’Italia. Ecco lo «stress» di cui Renzi si lamenta: non sarà facile infatti ottenere un ombrello diplomatico per affondare quei barconi, con Putin che si mette di traverso all’Onu, il Vaticano che anzitempo condanna l’operazione, i rischi che comporterebbe un «fai da te» sulle coste libiche della Marina italiana. Giocare all’uno contro tutti a Roma è facile per Renzi. Altra cosa è farlo fuori dai confini nazionali.

Francesco Verderami

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