giovedì 7 maggio 2015

ASTENSIONISMO GIGANTESCO ALLE PROSSIME REGIONALI. MA TANTO LA COLPA E' DEGLI ASSENTI, NON DELLA PESSIMA OFFERTA POLITICA

 

L' Astensionismo non interessa più, ché i politici navigati, supportati da alchimisti giuridici reclutati alla bisogna, hanno trovato il modo di esorcizzarlo : i cittadini non votano perché nauseati dalla classe politica ? perché non convinti dal programma prospettato ? Niente paura, basta che quelli che vanno a votare, anche pochi, siano sufficienti a farti vincere...
Pensate al classico esempio della classe dove il professore di Matematica è seguito solo da 5 studenti su 25. Gli altri 20 NON riescono a capire le sue lezioni, e sistematicamente prendono l'insufficienza nei compiti in classe.
Può quel professore bocciare l'80% della sua classe ? Evidentemente no, perché si troverebbe immediata un'ispezione, a chiedergli conto di simile disastro. Siccome però cambiare il prof. , non molto bravo a spiegare, non si può, che t'inventa il provveditorato ?   Un bel "premio" a tutti, con un punto in più negli scrutini, così che i 5 diventino 6 (e quindi più promossi) e i 4, 5 (e quindi più rimandati e NON bocciati). Et voilà, il gioco è fatto.
Così, alle prossime regionali, i sondaggisti segnalano percentuale di astensioni da incubo - per chi crede che nelle democrazie l'esercizio del voto sia il momento principale di partecipazione e di valenza del cittadino - ma nessuno si preoccupa più di tanto.
La colpa sarà degli Assenti, non della Casba indegna che si sta vedendo prospettarsi nelle varie liste regionali. Con un candidato governatore uscente, che si ripresenta passando del tutto nel campo opposto (succede nelle Marche), con guerre fratricide in Liguria, in Puglia, alleanze incestuose in Campania (De Luca con Cosentino...), con candidature esclusivamente vendicative (Tosi in Veneto, dove non potrà vincere MAI, ma però potrebbe far perdere Zaia, e quindi l'odiato Salvini).
Ecco,  se di fronte ad un campo di Agramante del genere io non voto, la colpa è mia..., che chi si astiene poi si attacca...
Io ricordo, soprattuto a quelli che dicono di parlare anche per cognizioni di diritto, che le società si reggono sulla COESIONE, non solo sull'applicazione delle leggi. Perché quest'ultime funzionino, c'è assoluto bisogno che le stesse siano sostanzialmente approvate dalla maggioranza dei destinatari, in modo che la coercizione - vale a dire la loro applicazione con la forza - sia una risorsa residuale.
Io posso obbligare due riottosi su dieci ad obbedire. MA se il rapporto si inverte, e quindi due sono gli aderenti...le cose cambiano drammaticamente. 
Dovrebbe essere elementare, e invece ci s'ingegna a come supplire, per via di legge, a sopperire al fatto che più del 50% degli elettori non si recano più alle urne (con picchi che arrivano al 60...). 
Basta pensare alla nenia renziana del 40% del voto alle europee...
Un milione e passa di voti in meno rispetto a quelli presi da Veltroni alle politiche del 2008 (con l' Italicum magari vinceva Walter...), un astensionismo pari al 43%, per cui il PD è stato votato, alla fine, da un italiano su quattro/cinque !!
Con l'aggiunta che, gli altri 3 o 4 tra loro magari hanno poco in comune, ma una cosa probabilmente sì : Renzi lo brucerebbero (l'uomo è molto bravo a suscitare forti antipatie) ! 
Ulteriore conseguenza, nel famoso ballottaggio, è che forze assolutamente incompatibili si coalizzino (di fatto, perché la legge non consente apparentamenti) e votino il candidato CONTRO.
E' successo a Parma e a Livorno, in entrambi i casi ne hanno beneficiato i candidati grillini, che da soli MAI e poi MAI avrebbero vinto.
Bellissimo...
 



Sulle regionali incombe il fattore A
Goffredo Buccini
 
 
Battuti (per ora) gli avversari, addomesticati (per il momento) i dissidenti, la prossima minaccia sarà invisibile. E non in senso metaforico: il 31 maggio Matteo Renzi rischierà di non vedere alle urne delle Regionali almeno un elettore su due, nei casi peggiori due su tre. Dalla Campania alla Liguria, dalle Marche alla Puglia e perfino nella «rossa» Toscana, i sondaggisti intonano tutti lo stesso de profundis : le Regioni non piacciono più a nessuno o quasi, sei italiani su dieci le considerano una iattura, otto su dieci ne diffidano. A torto o a ragione, sono percepite come un buco nero di sprechi e malaffare: trecento consiglieri e sedici consigli regionali finiti nelle indagini per peculato di questi ultimi tre anni (e rubricati con l’orrido neologismo di Rimborsopoli) hanno scavato un fossato tra la gente comune e i palazzi dell’allegro federalismo all’italiana.
L’astensionismo, un tempo vissuto quasi come una colpa o una vergogna, sta diventando un tratto identitario da rivendicare con orgoglio. In Emilia-Romagna, dove si votò per la Regione a novembre dopo le dimissioni di Vasco Errani, è ancora in crescita: dal già clamoroso 63 per cento di sei mesi fa al 72 per cento rilevato di recente (si rivoterà nel 2016 per il sindaco di Bologna). Con il fattore A, dunque, sarà chiamato a misurarsi a fine maggio il segretario-presidente in una sfida che contiene qualche elemento paradossale. Perché, di suo, Renzi non le ha mai avute troppo a genio, le Regioni. Appena ha potuto, ha tentato di sforbiciarne i bilanci. Sensibile com’è agli umori popolari, non ha mai perso occasione per sottolineare che di «grasso» da smaltire queste ipertrofiche istituzioni partorite dalla riforma della Costituzione del 2001 ne hanno ancora tanto, a cominciare da una sanità che, divisa in venti sistemi e altrettanti potentati, ha vanificato il diritto alla salute di molti italiani.
E infatti la sua prima idea di «controriforma» del Titolo V della Costituzione (quello che si occupa delle autonomie) proprio sulle Regioni si appuntava. Poi il segretario Renzi, pressato dai notabili locali del Partito democratico, è prevalso sul presidente Renzi: e nel mirino sono finite le Province, meno fondamentali nell’architettura istituzionale ma pure meno dannose e meno costose. La questione regionale tuttavia è lì, e rischia di diventare piombo nelle ali di chi si propone di cambiare verso al Paese. Aggravata dal terribile mercato delle anime di cui ogni giorno, all’approssimarsi del voto, le cronache locali ci danno qualche saggio, con cambi di casacca e di schieramento quasi sempre estranei a ragioni politiche o ideali.
In Puglia il berlusconismo si disfa in faide locali incomprensibili ai più. In Campania al candidato del Pd De Luca, dato per vincente ma anche per sospeso in caso di vittoria (a causa della legge Severino), si vanno agganciando segmenti della corrente forzista di Nicola Cosentino (tuttora in carcere per l’accusa di legami con la camorra) e di una destra nostalgica del fascismo. In Liguria pesa sulla sinistra lo strappo doloroso di Cofferati. In Veneto, sulla Lega, il divorzio fra Zaia e Tosi officiato da Salvini. Nelle Marche il governatore uscente, Spacca, si ricandida passando dal Pd a Forza Italia. E questi sono solo i casi più clamorosi, sotto i quali s’intuisce la palude: è davvero difficile orientarsi per gli elettori. Il disorientamento potrebbe ingigantire ulteriormente la diserzione dalle urne. Producendo infine un effetto politico rilevante dopo il 31 maggio. Quando Renzi si troverà a difendere nella calura estiva la sua riforma del Senato, dovrà sostenere anche e soprattutto la figura dei nuovi senatori: pescati proprio tra i consiglieri regionali. Un’ulteriore bocciatura di quei consiglieri, sancita dall’astensionismo, metterebbe in salita il sentiero già accidentato della riforma istituzionale e in pericolo l’intero cronoprogramma del renzismo. Gli ammaccati oppositori del segretario-presidente potrebbero trovare infine nel fattore A quel collante di cui al momento appaiono privi.

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