martedì 26 maggio 2015

SYRIZA E TSIPRAS NON BALLANO PIU' ? E CHE PROBLEMA C'E' ?? TUTTI PER PODEMOS !!

 

I Greci si stanno accorgendo che Tsipras e Syriza non fanno miracoli, nessuna moltiplicazione dei pani e dei pesci, e tantomeno sconti per comitive...
Certo, possono decidere di non pagare, mica che i creditori manderanno i carri armati. Ma dove li trovano i soldi per mandare avanti la baracca senza aiuti finanziari ? 
Non mi piace vedere i greci in queste condizioni, per molti motivi, ultimo dei quali il timore che prima o poi tocchi anche a noi...
Però le ricette demagogiche e populiste della nuova sinistra non sono accoglibili.
Sul profilo FB del bravissimo (e marxiano, di cultura) Massimiliano Annetta, trovo l'irresistibile foto che vedete sopra, accompagnata da parole puntute e argute :
" L'immagine e' davvero divertente. Assai meno il malcostume. Questi movimenti propinano tutti la stessa ricetta: reddito garantito a tutti, pensioni e stipendi piu alti, pubblica amministrazione intesa come ammortizatore sociale. Il tutto finanziato, ovviamente, "a debito", tanto poi (i debiti) non li paghiamo e, comunque, e' colpa della "casta". Ovviamente queste fanfaluche sono resistenti alla realta' ed il triste epilogo greco e' sufficiente coprirlo con un paravento e cercarsi una nuova illusione. Sarebbe anche divertente se non fosse che con il fattivo concorso di questi intelletuali "a tassametro" questo "sciocchezzaio" ha contagiato qualche milione di italiani che sognano improbabili ritorni alll'eta' dell'oro (che poi, chiamiamo le cose con il loro nome, sarebbe una riedizione del clientelismo democristiano). La verita amara quanto banale e' che, come scrivevano i salumieri quando ero bambino, "non si fa credito"
Se penso che Max ben poteva essere uno degli uomini del Principe, al posto di gente come Lotti, Ermini, per non parlare delle odalische di governo, mi viene da piangere...

Interessanti anche le considerazioni di Massimo Franco, sul Corriere, con particolare riferimento, per quanto ci riguarda, alla spiegazione del fenomeno astensionista, magari oggi utile per evitare un eccessivo gonfiamento dei nostri populismi, ma sempre sintomo di una democrazia non in salute. E gli interventi di ingegneria istituzionale ( i voti che mancano me li prendo con le leggi ad hoc...) possono essere rimedi pericolosi.


Europopulismi dI LOTTA E GOVERNO  
 di Massimo Franco
 

Adesso si può davvero parlare di europopulismo. Con cromosomi «di sinistra» sull’asse del Mediterraneo, dalla Grecia alla Spagna, passando per l’Italia; e «di destra» nell’Europa del Nord e dell’Est, ma anche in una Francia in bilico tra l’estremismo e la tenuta del sistema. Le virgolette sottolineano l’ambiguità di fenomeni connotati da un forte trasversalismo, che sul piano elettorale e a breve termine li premiano, permettendo di umiliare o almeno spaventare i partiti tradizionali e l’intero sistema; nel medio periodo ne mostrano le crepe e l’identità approssimativa.
La novità, però, è che dopo la vittoria a livello locale di Podemos, «possiamo», caricatura antisistema e iberica del «we can» del democratico Barack Obama nel 2008 negli Usa, quei fenomeni non si possono più analizzare come in precedenza. Il successo del «professore col codino» Pablo Iglesias segue quello di Syriza in Grecia. E certifica il passaggio dei populismi dal ruolo di opposizioni irriducibili a quello di forze di governo. Attori non solo «non statali», ma «antistatali», alle quali il voto consegna, in misura diversa, le leve del comando.
Significa che il malcontento delle opinioni pubbliche occidentali verso l’Europa dell’«austerità» non si sta attenuando, anzi, lievita. Ed ha implicazioni destabilizzanti. Tsipras è stato il primo «canarino nella miniera» dell’Ue, a segnalare che stava per verificarsi un’esplosione. Podemos è il secondo. Ma vedendo quanto accade tra Atene e Bruxelles, col rischio vero di un’uscita traumatica dal sistema della moneta unica e il collasso della Grecia, non ci si può non chiedere che cosa comporterebbe in prospettiva una vittoria del populismo in Spagna a livello nazionale.
È chiaro, infatti, l’obiettivo da distruggere. Sta diventando altrettanto evidente, però, che la ricetta di governo di questi movimenti è insieme velleitaria e nebulosa; e conduce a una deriva come minimo paralizzante. La metamorfosi del populismo d’opposizione in uno di governo cambia dunque i contorni e i termini della sfida. La drammatizza. E accelera il pericolo che la crisi economica dei Paesi mediterranei porti non più a un’Europa a due velocità, come si diceva fino a qualche anno fa, ma a «due classi»: classi che non procedono, seppure a ritmi diversi, nella stessa direzione ma divergono sempre di più.
Il problema è che i populismi antisistema non sembrano né intenzionati né in grado di istituzionalizzarsi, di diventare un’alternativa vera ai partiti storici. Vedono il governo come un prolungamento e un megafono delle piazze. E se anche tentano o fingono di rispettare i vincoli continentali, si ritrovano prigionieri delle promesse fatte all’elettorato. Il risultato è la paralisi decisionale, come mostra la Grecia; un indebolimento dell’Europa come attore internazionale ed elemento di coesione; e una sottolineatura dei suoi limiti strategici e della sua politica, zavorrata dai nazionalismi.
L’Italia è stata l’avanguardia del fenomeno. L’ha anticipato con l’affermazione del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e, a destra, con quello della Lega. Ma rimane un laboratorio e un punto d’osservazione interessante per l’intera Europa, perché si sta già misurando con tutti i limiti dell’europopulismo. Il movimento di Grillo ha mostrato la sua sterilità politica nell’impatto con le istituzioni parlamentari. E ora, per quanto avvantaggiato dalla crisi, appare meno irresistibile di prima. Lo stesso vale per la Lega, forte ma intrappolata nei suoi confini culturali.
In fondo, l’Italia appare spaventata dalla crisi, e insieme conscia dei limiti dei suoi «pifferai populisti». Da noi, il vero partito di protesta promette di essere l’astensionismo. La prossima frontiera minaccia di essere lo sciopero del voto, in attesa di un’offerta diversa che oggi non si vede. A breve termine può essere un argine contro la vittoria di forze incapaci di governare. Alla lunga, può diventare il sintomo grave di una democrazia malata, esposta a una volatilità e a un’improvvisazione che l’ingegneria istituzionale ed elettorale cerca di correggere. C’è da sperare che ci riesca, e non finisca per accentuarle .

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