mercoledì 13 maggio 2015

TO', SUL CORRIERE DELLA SERA SI PREOCCUPANO DELL'ASTENSIONE. NON LI HANNO AVVERTITI CHE E' SEGNO DI "DEMOCRAZIA AVANZATA" ??

 

Siccome li favorisce, perché a non votare sono soprattutto quelli non della parte a loro oggi (è gente mutevole, per lo più, segue molto il vento...) cara, i dati, previsti (sondaggi) e reali ( risultati elettorali), sull'astensione non preoccupano una serie di persone, oltretutto di sinistra, che riscoprono che "oi aristoi" è bello. Alla fine è giusto che siano "I migliori" a governare, il popolo è bue, che segua. 
Io, che di sinistra non sono mai stato, e non ho così caro nel mio cuore "el pueblo", potrei anche starci, però cambiando sistema istituzionale. Non so, reintrodurre il voto per censo ? Eliminare qualche categoria considerata poco socialmente educata e/o colta ? Oppure, meglio ancora, eliminare proprio 'sta noia del voto, pure costosa, inventarsi una cosa nuova, che non suoni come dittatura ma tolga di mezzo il rito ipocrita delle urne.
Personalmente, ancorché liberale, che non ha mai avuto la retorica del popolo, penso che se tanta gente, specie in Italia, paese dalla storia e dalla solidità delle istituzioni ben diverse dai paesi anglosassoni e nordici, non partecipa più al voto, non è per improvviso menefreghismo (figuriamoci "modernità"), ma per impossibilità di identificarsi, il minimo necessario, nell'offerta politica che gli viene proposta. 
Mi sorprende positivamente che sul Corriere della Sera Aldo Cazzullo si ponga il problema, in vista di elezioni regionali dove il 60% di partecipazione al voto (inferiore al britannico 67 di una settimana fa) potrebbe suonare un miraggio..., dando spiegazioni simili alle mie.




La politica è partecipazione 
(ma adesso va reinventata) 
 
 
Se in città di frontiera di forte spirito civico, di storica autonomia, d’identità radicata sia pure composita, un terzo degli elettori si astiene dalla scelta del proprio sindaco, allora l’allarme è davvero serio. Se a Trento, Bolzano, Aosta vota poco più del 60%, alle prossime Regionali si rischia di non arrivare al 50.
In questo caso, il verdetto più importante sarebbe proprio l’astensione. Il fenomeno non è certo inedito. Si è manifestato dalla Sicilia all’Emilia. Ma se a ogni elezione si aggrava, senza che dalla classe politica arrivino risposte serie, la democrazia stessa è chiamata in causa.

Il progressivo calo della partecipazione è uno dei motivi del crollo del centrodestra, almeno nelle forme degli ultimi vent’anni, costruite attorno a Berlusconi (non a caso Alessandra Mussolini si è presentata a Napoli con la maglietta «Jamm’a votà»). Ma la campana suona per tutti. Anche per Renzi, che sul discredito dei vecchi dirigenti — innanzitutto di quelli della sinistra — ha costruito la propria ascesa; e ora deve mobilitare dietro di sé un movimento in appoggio alle proprie riforme, non accontentarsi di una scelta di risulta in mancanza di alternative.
Paradossalmente, il momento storico non è di disinteresse e passività. Al contrario, gli italiani avvertono la necessità di ricostruire. 

La straordinaria immagine dei milanesi che ripuliscono la loro città ne è un segno prezioso. La rete delle associazioni, del volontariato, della solidarietà non è mai stata tanto attiva. Questo però non si traduce in partecipazione politica. Anzi, talora sembra sostituirla.
I cittadini non votano perché hanno la sensazione che la politica conti poco o nulla. La manovra economica è dettata dall’Unione Europea e riscritta dalla Corte costituzionale. Sindaci e «governatori» sono in balia dei Tar (incredibile la sentenza di quello del Lazio, che ha annullato il provvedimento per limitare le assenze per malattia dei dipendenti pubblici). La politica pare ridotta alla prosecuzione degli affari con altri mezzi; e le indennità, i vitalizi, i rimborsi che gli eletti continuano imperterriti ad assegnarsi l’un l’altro si rivelano talora solo un anticipo dell’incasso legato agli appalti e alle cliniche convenzionate con la Regione.
La realtà, per fortuna, è più complessa. Ma i partiti devono offrire nuove forme di partecipazione. 

L’Italicum garantisce la governabilità, non la rappresentanza.  
La rete si conferma più un modo di sfogarsi che di veicolare opinioni e interessi. Si deve rendere effettivo il «metodo democratico» che la Costituzione impone ai partiti, si devono regolare le primarie per legge. Ed è tempo di dare un segnale molto chiaro sui costi della politica. Finora si è fatta più cosmesi che sostanza: da ultimo con i vitalizi tolti ai condannati, ma solo per reati gravi; come a dire che chi ha rubato, ma solo un po’, può stare sereno. Nelle Regioni non basta limitarsi a superare vicende grottesche come quelle dei rimborsi. Chiedere ai consiglieri eletti il prossimo 31 maggio di tagliare drasticamente indennità, privilegi, centrali di costo, in attesa che il Parlamento prosegua sulla via del rigore e del decoro, non è populismo; è rispetto delle aspettative di cittadini che si trovano a fronteggiare una pressione fiscale da Paese scandinavo in cambio di servizi mediterranei. Senza questi segnali, i prossimi presidenti di Regione si insedieranno in un clima di delegittimazione e di sfiducia 

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