lunedì 8 giugno 2015

PANEBIANCO : UN NUOVO PATTO, PIU' REALISTICO, SE SI VUOLE CHE L'EUROPA SOPRAVVIVA



Faccio parte di quella maggioranza, segnalata da Angelo Panebianco nell'editoriale che trovate di seguito, che pensa che l'Unione Europea non stia facendo bene, ma che l'alternativa del ritorno agli stati nazionali sia anacronistica, nel mondo della famosa globalizzazione.
E come il Professore, penso che vada abbandonata l'utopia degli Stati Uniti d'Europa, essendo il nostro un continente con storia millenaria, dove le divisioni, le guerre, l'hanno fatta da padrone e quindi non paragonabili agli Stati Uniti, con poco più di duecento anni (ragazzini...).
Meglio una soluzione confederata, minimalista ma concreta, dove gli accordi riguardino meno materie, in modo che però poi su di esse ci ci concentri e si faccia sul serio e bene.
Buona Lettura




I compiti che l’Europa deve fare
 
Né con te né senza di te: forse si può riassumere così l’attuale atteggiamento della maggioranza degli europei verso l’Unione: da un lato, c’è l’insofferenza per ciò che l’Unione Europea è, per i suoi vistosi limiti e difetti; dall’altro lato, c’è il timore di ciò che potrebbe capitarci se l’Unione improvvisamente si disgregasse. Vero, ci sono anche quelli che hanno tradotto l’insofferenza per l’Unione in un programma d’azione antieuropeo, che pensano che dell’Unione possiamo fare a meno, persone che seguono movimenti politici che rivendicano il ritorno alle sovranità nazionali. Sono tanti in Europa, forse anche in crescita, ma sono ancora lontani, secondo i sondaggi, dall’essere maggioranza. Più o meno oscuramente, tanti europei, comunque, comprendono che in un mondo di colossi non si compete mantenendo le «taglie», demografiche, economiche e politiche, dei vecchi Stati europei: sarebbe come se (accadde di frequente ai tempi della colonizzazione europea) piccole tribù con archi e frecce si scontrassero contro grandi eserciti dotati di cannoni e mitragliatrici.
Persino Marine Le Pen non riesce a essere convincente quando rivendica il ritorno alla sovranità, nonostante che ella stia parlando della Francia, dello Stato-nazione meglio strutturato e organizzato che la storia europea abbia espresso. Figurarsi poi quando la rivendicazione di ritorno alla sovranità è invocata dai movimenti antieuropeisti vocianti all’interno delle «pulci», gli staterelli europei.

O anche dell’Italia, che pulce non è: la Lega di Matteo Salvini, ad esempio, che contrasta l’euro e invoca il ritorno alla sovranità, non fa i conti con la cronica debolezza dello Stato-nazione italiano. Se il protezionismo economico (statal-nazionale) invocato dai movimenti anti-euro è insostenibile per tutti, nel caso italiano ci sono anche buone ragioni geopolitiche per evitare il «faccio da sola, grazie»: hanno a che fare con le turbolenze mediterranee. Se bastasse sigillare le frontiere per tenersi al riparo dai guai, allora vivremmo da un pezzo in un mondo stabile e pacifico.
Se dunque, quando si parla di Europa, il «senza di te» non è praticabile, bisogna però anche aggiungere che una sorte migliore non arride al «con te», checché ne pensino certi europeisti un po’ acritici.
Ha ragione Francesco Giavazzi ( Corriere , 5 giugno): ma come è possibile che, mentre nel mondo accade di tutto, l’Europa, da cinque anni, sia inchiodata a parlare quasi esclusivamente di Grecia? Per giunta, occupandosene in un modo che oscilla fra l’ipocrita e il patetico: pretendendo dai greci una modernizzazione dell’economia (proposte «assurde», ribadisce l’ineffabile primo ministro Tsipras), che la società greca, a maggioranza, non ha mai avuto intenzione di fare? Forse è il caso di dire basta e cominciare a parlar d’altro.
Giavazzi ritiene che se proprio vogliamo tener dentro una Grecia che ha scelto di non modernizzarsi pagandone (noi europei) il prezzo, dovremmo farlo solo per ragioni geopolitiche, essendo quello un Paese cerniera fra Europa e Medio Oriente. In teoria, Giavazzi ha ragione. In pratica, questa Europa, in virtù della sua storia pregressa, ha sviluppato una particolare sordità di fronte alle più stringenti necessità geopolitiche. Come dimostra anche la sua incapacità di creare una politica comune dell’immigrazione.
Contrariamente a quanto si aspettava l’europeismo tradizionale, l’integrazione economica non è stata affatto un viatico o un facilitatore dell’integrazione politica. La prova sta nella rinascita dei nazionalismi e nel condizionamento che essi esercitano su tutte le classi politiche europee. Servirebbe un nuovo «patto europeo» da proporre alle opinioni pubbliche con la giusta enfasi ma senza fumosità e ipocrisie, fondato sulla chiarezza dei propositi. Insieme a uomini politici dotati di coraggio e di visione. Servirebbe un nuovo patto perché quello su cui è stata edificata l’Europa in oltre mezzo secolo si è irreparabilmente usurato, e fare finta che non sia così rischia di portarla alla distruzione. Occorre che agli europei venga offerta la possibilità di dare vita a un accordo confederale (come ce ne sono stati tanti nella storia del mondo): si mettono in comune poche cose cruciali (moneta, controllo dei confini mediante la regolamentazione dei flussi, trattati internazionali), senza troppa retorica, per ragioni di pura convenienza, convincendo le opinioni pubbliche che i Paesi europei, andando ciascuno per suo conto, non potrebbero fronteggiare le dure condizioni della competizione internazionale. Si lascia contemporaneamente la gestione di tutto il resto ai singoli Stati, nel rispetto di identità antiche, forgiate dalla storia, non cancellabili con un burocratico tratto di penna. Sarebbe anche necessario un nuovo trattato per riorganizzare la macchina dell’Unione, per ridefinirne compiti e funzioni. Persino Angela Merkel, persona prudente ma politica di razza, dovrà prima o poi capire che occorre un salto di qualità.
C’è stato un tempo in cui l’Europa aveva un tale prestigio che poteva «vendere» qualunque cosa a chiunque. Allora, ad esempio, avrebbe potuto persino far credere a tanti che uno come l’attuale presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, fosse un «grande leader europeo». Quell’epoca è finita. Prima lo si capisce e prima diventerà possibile inventarsi una nuova offerta politica. 

Nessun commento:

Posta un commento