sabato 25 luglio 2015

RENZINO, OVVERO LA POLIGAMIA AL GOVERNO

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La crescente contrapposizione tra Renzi e la Sinistra-Sinistra, dentro e fuori il PD,  evidenziata anche dalle recenti elezioni dove l'astensione ha iniziato ad affliggere anche i democratici (fin qui i meno penalizzati dalla disaffezione al voto degli italiani, sempre "più maturi" e in linea coi "paesi civili"...pecchiamo che li imitiamo sempre nelle cose peggiori) , inevitabilmente me lo fa guardare con occhi meno sussiegosi. L'articolo 18 superato, le polemiche aspre coi sindacati ed in particolare con quello rosso, la CGIL della Camusso, qualche battutaccia ai giudici, adesso l'annuncio della riduzione delle tasse, partendo dalla prima casa (storico cavallo di battaglia del Berlusca...)...tutta roba indigesta ad una certa parte, e infatti Civati e Fassina hanno preso cappello, mentre gli altri sono travolti dal mal di pancia ma resistono, temendo le intemperie senza più un tetto sulla testa. Ovviamente, all'opposto, si tratta di cose non spiacevoli per chi, in mancanza di una prospettiva liberale, almeno registra favorevolmente il tentativo di rendere lo Stato - che vanamente noi vorremmo più "magro" e meno intrusivo - un po' meno inefficiente.
Ciò premesso , l'articolo di Verderami sul Corsera, con la cronistoria di tutte le relazioni più o meno incestuose messe su dal premier per tenere in piedi il suo governo, ripropone l'immagine di un leader malato di tatticismo ed opportunismo. Per carità sono caratteristiche politiche inevitabili, però, oltre una certa misura, quando appaiono finalizzate solo al rimanere in sella, diventano difetti grandi e, alla lunga, anche esiziali.
In realtà, la via maestra, quella ad un certo punto di chiedere il consenso degli elettori su un certo programma, non viene imboccata mai. E dopo le recenti regionali ed amministrative, anche renzino non si fida delle urne.

Le quarte nozze del leader pd
di Francesco Verderami

In un anno e mezzo Renzi si è «sposato» tre volte in Parlamento, e ora si prepara al quarto, contrastato matrimonio.

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Dopo l’accordo di governo con Alfano, il patto del Nazareno con Berlusconi e l’intesa per il Quirinale con Bersani, il premier sembrava aver dato fondo a qualsiasi tipo di legame politico possibile. E invece ecco la liaison dangereuse con Verdini, che lo restituisce al ruolo di «sciupa-maggioranze» e ne mostra l’indole, quella di chi non si fa incastrare in uno schema. Un’alleanza non è per sempre, almeno non per Renzi. E siccome a settembre, sulle riforme costituzionali, il leader del Pd si gioca la sua testa, ha voluto decidere (anche stavolta) di testa sua.
È vero che una parte dei renziani lo avrebbe sconsigliato dal compiere «una follia» con l’ex coordinatore di Forza Italia, preferendogli ancora Berlusconi. A questo serviva il rapporto di Zanda con il capogruppo azzurro Romani, che al collega democrat chiedeva un «segno» per ristabilire almeno l’antica armonia del Nazareno: «Basterebbe votare al Senato un ordine del giorno sull’Italicum...». Sarebbe stato una sorta di accordo post-matrimoniale con cui i due ex coniugi si sarebbero spartiti il patrimonio: a Renzi sarebbe toccata la modifica della Carta costituzionale, a Berlusconi la modifica della legge elettorale con l’assegnazione del premio di maggioranza alla coalizione e non più alla lista.
Ma Forza Italia si stava già sbriciolando, non reggeva. Verdini era già fuori prima di Fitto. Eppoi il leader forzista agli occhi del premier era ormai diventato «un tipo inaffidabile», giudizio peraltro ricambiato. La prova del tradimento Renzi sostiene di averla avuta quando alla Camera si votò la legge elettorale e Berlusconi — a suo modo di vedere — si sarebbe messo d’accordo con la sinistra del Pd per farla saltare: «Perciò allora ho messo la fiducia». È da allora che va avanti la storia con Verdini. Un matrimonio per delega, sia chiaro, ma che gli garantirebbe — di questo il premier ne è convinto — i numeri a palazzo Madama.
Sarà pure così, e sarà anche vero — come dice Renzi — che sulle riforme «non ci saranno venticinque senatori del Pd a votare contro». Ma risolto il problema dei numeri, rimane il problema politico, e il premier dovrà sciogliere il nodo del suo partito: perché non è il suo governo in sofferenza ma il Pd. «Renzi — per dirla con il capogruppo di Ncd, Lupi — si trova oggi al bivio in questa sfida tra conservazione e innovazione». Dunque non basta l’ennesimo matrimonio di interessi, contro cui si scaglia la minoranza dem, impegnata ad additare «il rottamatore che si fa le riforme con i rottamati del centrodestra».
Semmai Verdini è la cartina di tornasole di quanto sia «profondo e irrecuperabile» il rapporto tra il premier e una parte della «ditta», che gli scommette contro. Sottovoce questo tema affiora nelle conversazioni tra i renziani di provata fede, si proietta sugli scenari politici di settembre e anche oltre. Sta dentro una domanda: come potrebbero restare nello stesso partito quanti — dopo essersi divisi nel voto al Senato sulle riforme — si dividessero poi nel voto al referendum? Ecco la faglia che potrebbe dilatarsi fino a inghiottire governo e legislatura. Ecco il «bivio» che impone al segretario del Pd una scelta politica e la conseguente ricerca di interlocutori politici.
Perciò i numeri non bastano e rischiano di essere un azzardo. Come in un azzardo potrebbe trasformarsi anche il referendum. «Allo stato attuale — spiega infatti il capo di Ipsos, Pagnoncelli — la maggioranza degli italiani voterebbe a favore delle riforme. Tuttavia quella stessa maggioranza non accetta l’idea di non poter scegliere i futuri senatori, nonostante la fine del bicameralismo perfetto. 

Se questo tema venisse cavalcato in campagna elettorale e venisse caricato di valenza politica, oggi — numeri alla mano — il risultato potrebbe venire rovesciato». E andrebbe in fumo il matrimonio di Renzi con il Paese.
 

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