lunedì 27 luglio 2015

SOFRI E LA GRECIA

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Sulla Grecia non la penso come Adriano Sofri. Non è l'unica cosa in cui la pensiamo diversamente.
Però mi piace come scrive e trovo sempre interessante leggerlo, anche quando non sono d'accordo con lui. Comunque imparo qualcosa.

Questo è uno dei tanti casi.
Sono certo che il mio caro amico Antonio apprezzerà.


La bambina Europa

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Continuava a girarmi per la testa: La bambina Europa. E’ il titolo di un romanzo-autobiografia di Vittorio Sermonti, uscito nel 1954. Ma non c’entrava. Era per via di Angela Merkel, dell’Europa, della bambina palestinese Reem, e della Grecia. Sono scontento degli opposti commenti all’atteggiamento della signora Merkel con la ragazzina in lacrime. L’hanno deplorata per la sua (tedesca, hanno detto i peggiori) brutalità. L’hanno lodata per la sua (tedesca, hanno detto i peggiori) franchezza. Ho riguardato il video: Reem è di una bella limpidezza, quando dice da brava le cose per cui è stata invitata all’incontro con la cancelliera, e poi quando, mutata d’improvviso nella destinataria di una lezione sulla Germania e il mondo in fuga, scoppia in lacrime. E la cancelliera? Interdetta, ha cercato di rimediare, e l’ha fatto così goffamente da dare l’impressione di mancare di compassione. Mi pare invece che le sia successo un incidente di strada, di quelli per i quali non si è abbastanza pronti, né a Berlino né a Napoli. Lei, che non è priva di una vena pedagogica e piuttosto rigorosa, stava spiegando la politica del suo governo verso i migranti e i rifugiati con tale convinzione da scambiare il genere umano, o almeno una sua buona parte, con la bambina che aveva davanti, il suo prossimo. Reem era il suo prossimo. Immaginate che il samaritano arrestasse la sua cavalcatura e illustrasse al tramortito le cose come stavano: “Vedi, questa strada fra Gerusalemme e Gerico è infestata dai banditi, è uno dei luoghi più insicuri della terra. Se dovessi caricare sul mio giumento ogni aggredito e svaligiato, versare olio e vino sulle sue ferite, fasciarlo, accompagnarlo a una taverna, pagare di mia tasca per le sue cure, i miei affari e la mia vita andrebbero in malora. Tu mi capisci, vero?” Immaginate che l’uomo bastonato e spogliato sulla via di Gerico, un palestinese anche lui del resto, con le poche forze che gli restavano fosse scoppiato in singhiozzi, e più tardi, ripresosi, avesse fatto sapere al samaritano pedagogico che comunque lo ringraziava per essere stato sincero con lui. Il vero samaritano non ignorava affatto che quella fosse una strada pericolosa –lo è ancora. Non ignorava nemmeno che gli altri, il levita, il sacerdote, i connazionali dello sventurato, passavano dall’altra parte della strada, fregandosene del comandamento, del pronto soccorso, del Libano, della Siria, dei rifugiati, del diritto d’asilo. Però al vero samaritano (uno straniero, e di una gente malvista) era capitato proprio quel poveretto lì. Era il suo poveretto. Il suo prossimo. A Merkel è capitata proprio la bambina palestinese Reem, la sua bambina palestinese –per giunta, ma la cancelliera non poteva saperlo, con una vicissitudine drammatica, da un campo profughi in Libano a uno in Siria, da una malattia grave a un grave infortunio. Non era pronta, Merkel, però non è andata nemmeno sull’altro lato della strada facendo finta di non vedere. A mostrare come siano stati impropri così i laudatori del rigore (supposto tedesco) della cancelliera come i deploratori del suo cinismo (supposto tedesco), è venuta la notizia sulla probabilità che, senza tanto chiasso, la bambina e i suoi restino in Germania. Lei sa parlare così bene tedesco, è così brava a scuola, e il curriculum della famiglia è di quelli da intenerire una pietra. Non è stata nemmeno la cancelliera a dirlo, per discrezione, l’ha detto il sindaco di Rostock, e la ministra federale per l’immigrazione, Aydan Oezoguz –ammetterete che quest’ultimo è un bellissimo nome. Naturalmente, lo scambio Reem-Grecia è venuto in mente pressoché a tutti. La bambina Grecia. Invero la Grecia non si è messa a piangere, al contrario: si è comportata piuttosto virilmente, se l’avverbio non facesse torto alla spiccata dignità delle donne greche. Nella annosa disastrosa conduzione della questione greca da parte delle autorità internazionali, compresa la cancelliera tedesca e il suo ministro delle finanze, c’è stata una vena pedagogica oltranzista, più che da scuola, da istituto correzionale. Una lezione necessaria, si dirà, impartita “per il suo bene”. Con un eccesso di zelo. Anche lì, anche se la Grecia non è scoppiata in lacrime –anzi, qualcuno dei suoi ha fatto lo sbruffone- a un certo punto bisognava capire che era il nostro prossimo. Che se ne stava quasi esanime, per terra, con le braccia aperte e disperate, come sulla strada di Gerico, come sul marciapiede di una banca chiusa. Non l’hanno capito: non importa, non è la prontezza di riflessi che conta. Il vero samaritano fece ciò che ognuno dovrebbe fare, ma fu il solo a farlo, e ancora ne parliamo. Con la Grecia, si può fare come con la bambina Reem: accennare qualche giorno dopo che in fondo quel debito si può ristrutturare e dilazionare, tanto più che anche i greci sanno imparare le lingue. Non è questione di essere buoni: solo di fare la propria parte, perché un giorno si fu colui che giaceva al suolo bastonato, e un giorno si potrà tornare a esserlo. E poi, perché guardarsi tanto dall’essere buoni? C’è parecchio da guadagnare, tutti, dalla banalità del bene. Ce l’ho nella mia libreria “La bambina Europa”, il romanzo di Sermonti: è un’edizione Sansoni di sessantun anni fa. L’ho appena scorso, non mi ricordavo perché mai avesse quel titolo. C’è un inciso sul “tempo che Zeus, travestito da mucca, si rapiva sulla groppa spaurita e giuliva la bambina Europa”. Strano, no? Travestito da mucca.

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