mercoledì 19 agosto 2015

PIERLUIGI BATTISTA E LE TRE POSSIBILI SCELTE DEL PREMIER

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Pierluigi Battista torna su un tema trattato qualche giorno sono dal collega, anche di giornale - entrambi scrivono sul Corsera - Antonio Polito : il guado di fronte al quale si trova il premier, che continuando come sta procedendo ora, raccattando voti dove capitano, rischia di impantanarsi seriamente, lui che rottamò alle spalle Letta con la scusa del governo impaludato...
Le ipotesi avanzate dal già vicedirettore di via Solferino sono tutte verosimili, anzi, evidenti.
A me pare che la peggiore, così viene definita da Battista e io sono d'accordo con lui, e cioè quella di procedere a spallate, navigando a vista, corteggiando ora questo ora quello, sia proprio quella preferita da renzino, che ha troppo sullo stomaco (e si può capire) la sinistra dem che non un giorno di tregua gli ha dato da quando è divenuto segretario (a dicembre saranno due anni, ne sembrano passati 20 per quanto sono stati travagliati) per capitolare nei confronti della stessa, mentre l'alleanza con FI lo convince poco e nulla per il pessimo effetto "estetico" ( e quindi sondaggistico...) della cosa.
Senza contare, come dimostra la vicenda dell'elezione del presidente della Repubblica, che sfasciò il famoso patto del Nazareno, che Berlusconi non è incline ad accettare sempre i modi padrineschi del toscano. 
In questo modo però i numeri al Senato sono sempre in bilico, e non è facile arrivare in questo modo sino al 2018, oltretutto immaginando di governare e non solo di vivacchiare.
Certo, tra le ipotesi non contemplate da Battista c'è quella a mio avviso più "nobile" : tornare alle elezioni.
Il Parlamento uscito dal voto del 2013 è completamente trasfigurato. Noi cittadini abbiamo votato e non c'è più nulla di quella manifestazione di volontà. Scelta Civica si è liquefatta, Forza Italia perde pezzi da tutte le parti, a cominciare da NCD, stampella fondamentale del governo nonostante i pochi parlamentari in dote, la transumanza dei parlamentari, usciti dalle liste nelle quali erano stati eletti, ha raggiunto livelli storici ed imbarazzanti : a metà mandato, ben oltre un terzo di questi signori hanno cambiato camicetta...
E il premier siede a Palazzo Chigi senza un mandato elettorale ( cosa possibile, per carità, tant'è che accade, ma mai bellissima in democrazia).
Perché quindi non votare ? Certo, ci sarebbe ancora il Senato, e il rischio di un nuovo pareggio, con maggioranza assoluta - grazie all'Italicum e al premio al primo partito - solo alla Camera dei Deputati. 
Però ci sarebbe una legittimazione piena di renzino (se non inciampa nel ballottaggio, fortissimamente da lui voluto) e la forza, a quel punto, di "imporre" una eventuale grande coalizione, in stile Germania, nel caso di impossibilità di governare da soli. Insomma, se voi italiani non mi date i voti sufficienti (chi vi ricorda ? ...) poi non lamentatevi se mi alleo con chi ci sta...
Non sarebbe più "pulito" il tutto ? 
Buona Lettura




Le riforme e il passo necessario


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Matteo Renzi ha tre strade davanti a sé e al suo governo. La prima: cedere alla tentazione di arrancare fino al 2018 con maggioranze ogni volta diverse, precarie, variabili, multicolori, caso per caso. La seconda: fare la pace con la sinistra interna del suo partito, smettendo di sfidarla per ottenerne l’umiliazione, ma avendo in cambio la fine della guerriglia parlamentare che il Pd ancora legato alla precedente gestione gli minaccia ripetutamente contro. La terza: allargare la base del governo con il coinvolgimento serio, esplicito, fondato su alcuni punti qualificanti, di una delle principali forze in Parlamento, Forza Italia in primis, vista la conclamata contrarietà dei Cinque Stelle.
Ogni scelta ha le sue controindicazioni e i suoi rischi. Ma la prima delle tre sarebbe di gran lunga la peggiore, perché darebbe il senso di una navigazione zigzagante e vaga, instaurerebbe il regno del caos e dell’incertezza, un ansimare incoerente fino al 2018, accertata l’indisponibilità del presidente della Repubblica ad imboccare la scorciatoia delle elezioni anticipate prima di aver verificato che in Parlamento non ci siano i numeri di una maggioranza.
Anche le altre due opzioni non sono il massimo della desiderabilità all’interno di una democrazia parlamentare trasparente. Ma non dobbiamo dimenticare da dove veniamo, dall’ingovernabilità paralizzante di un Parlamento dove nel 2013 non aveva vinto nessuno.


In quella situazione Enrico Letta, con la spinta di Giorgio Napolitano, si assunse il compito di formare un inedito e imprevisto governo di unità nazionale, poi frantumato dalla fuoriuscita di Berlusconi. Renzi si era forse illuso che con una spallata e una robusta rottamazione, unite a una tranquillizzante condizione di non belligeranza con il centrodestra imbrigliato dal cosiddetto patto del Nazareno, questo handicap iniziale si sarebbe dissolto. Dopo un anno e mezzo di governo le cose però non stanno così. E il realismo, insieme alla ineludibile necessità di offrire al mondo e all’Europa una credibilità politica obbligatoria per ogni apertura di fiducia dall’estero, impone a Renzi la strada di una stabilizzazione non velleitaria.
Questo significa la fine degli espedienti e dei giochi di sponda multipli e acrobatici. L’uso della scheggia dei «verdiniani» non ha un grande futuro. L’intesa ammiccante con Forza Italia sulla Rai assomiglia molto alla distribuzione delle poltrone come captatio benevolentiae , e nulla più. Le aperture effimere ai Cinque Stelle, minacciate tutte le volte che vacilla il fronte favorevole alla riforma elettorale, sanno molto di manovretta furba. Restano le altre due strade: o l’accordo con la dissidenza interna del Partito democratico oppure un’intesa, circoscritta ma aperta, con Forza Italia, affrancando il berlusconismo dall’abbraccio mortale con Salvini e offrendo all’opposizione un patto stabile su alcuni punti qualificanti, dalle riforme istituzionali alla riduzione delle tasse, che garantiscano un’andatura meno singhiozzante ad un governo che per andare avanti non può più contare sulla propria orgogliosa autosufficienza. In fondo Angela Merkel, che nella sua visita all’Expo si è mostrata cordiale con Renzi e con l’Italia, è addirittura a capo di una compagine di unità nazionale, e nulla potrebbe eccepire su intese leali tra forze diverse. Compensare la debolezza di una maggioranza con espedienti tattici è un’altra illusione. Operare scelte nette e coraggiose non dovrebbe essere difficile per un leader di rottura come Renzi.

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