lunedì 21 settembre 2015

CHE CI FA UN LIBERTARIANO SUL GIORNALE NAZIONALE RENZIANO ?

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La Stampa, dei giornali nazionali, era, e ritengo sia ancora, ancorché ci sia stato uno spostamento filo governativo al Corriere con l'avvento del nuovo direttore, che ha sostituito de Bortoli (che, congedandosi, ha destinato una serie di critiche al premier, tra cui, divertente, quella di essere una sorta di cafone istituzionale), il più filo renziano di tutti. Del resto, l'idillio tra Marchionne e renzino prosegue, e il giornale di Torino, per quanto la Fiat abbia traslocato, non potrà essere del tutto insensibile alle simpatie dell'editore.
Non ci stupimmo pertanto (dispiaciuti però sì, tanto da disdire l'abbonamento on line ) di vedere interrotto il rapporto di collaborazione tra La Stampa e il bravissimo Luca Ricolfi (traslocato come valente esperto e commentatore al Sole 24 Ore), troppo critico nei confronti del padrone (insomma, per quello che si può, in tempi di eurogermanesimo) del vapore.
Oggi, nello scorrere il quotidiano (di tanto in tanto lo acquisto e lo seguo on line, per una questione di moltiplicità di fonti), mi sono imbattuto nel commento di Alberto Mingardi, giornalista che non conoscevo.
Il titolo mi sembrava già strano, perché faceva intuire un pensiero non gradito a Palazzo Chigi, quindi ho continuato a leggere, e sono rimasto assolutamente sorpreso.
Ma chi era costui che esprimeva così apertamente il biasimo per l'evidente ritorno alla politica di deficit spending che è alla base delle ultime promesse del premier ? 
Sono andato a vedere, e scopro che Mingardi viene definito addirittura un Libertario, e coerentemente con questo è uno dei conduttori del nobile Istituto Bruno Leoni, centro di studi liberali.
E chi ci fa costui alla corte di Calabresi e Gramellini ??
Si saranno sbagliati.
Prima che si ravvedano, l'articolo è da leggere.

 

Chi pagherà il rinvio del pareggio



La Costituzione esige che il bilancio dello Stato sia in equilibrio. Ma la cosa non deve avere molta importanza: il governo ha rinviato di nuovo il pareggio, al 2018. In compenso il presidente del Consiglio dice che abbiamo un «tesoretto», frutto della «flessibilità». Attenzione, però. Il «tesoretto» di Padoa Schioppa consisteva in entrate superiori alle attese. Tipo quando trovate una banconota da dieci euro dimenticata nei pantaloni. Il «tesoretto» di Matteo Renzi consiste nella possibilità di fare più debito.  

Tipo quando la banca vi estende il fido. Indebitandosi, ci si mette in condizione di dipendere dai creditori. Se ho bisogno che qualcun altro mi presti dei quattrini per sostenere una certa spesa, e poi altri, e poi altri ancora, dovrò convincerlo di essere in grado di restituirglieli. Quando la fiducia dei creditori nei debitori si spezza, son dolori. 

Dovremmo ricordarcelo: sono passati appena quattro anni dall’estate del 2011. Il nostro Paese sembrava a un passo dall’andare a carte e quarantotto. I creditori internazionali dell’Italia temevano non saremmo stati in grado di ripagarli. Anche per ritrovare fiducia sui mercati, l’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti aveva avviato l’iter per inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. La trafila venne conclusa dal governo Monti. 

Già il vecchio articolo 81, prima della riforma, prevedeva che ad ogni nuova uscita corrispondesse una nuova entrata. 

Diciamo che i governi l’interpretarono con grande libertà. Il debito, che era all’incirca il 40% del Pil alla fine degli Anni Sessanta, superava il 120% del Pil trent’anni dopo. Oggi siamo di nuovo al 132,1%. 

E’ così, a suon di debiti, che si fa «la crescita»? Ovviamente gli studiosi hanno opinioni diverse. Ma anche l’icona dei «deficisti», John Maynard Keynes, sosteneva che lo Stato dovrebbe indebitarsi, sì, però quando l’economia morde il freno, per sostenerla. Invece andrebbe messo fieno in cascina, nelle fasi «serene» del ciclo economico. 

In questo schema, il momento buono per l’aggiustamento fiscale, cioè per rassettare i conti pubblici, sarebbe proprio l’avvio della ripresa. Il governo ha deciso invece di «spingerla», impegnando denari in sovrappiù rispetto alle sue entrate fiscali. 

I mercati gli daranno credito? Probabilmente sì. I tassi d’interesse sono bassi e gli operatori economici sono convinti che la Bce abbia dimostrato la sua disponibilità a sostenere il debito degli Stati membri. 

Aver abbandonato (pardon, rimandato) il principio del pareggio di bilancio non è un problema, nel breve termine. Ma lo sarà nel medio periodo. 

E’ nella natura del politico fare più promesse di quante non può mantenere. La libertà d’indebitarsi agevola questo tratto naturale. In questi anni di crisi, abbiamo imparato che i debiti non sono tanto diversi dalle tasse: sono semplicemente imposte che pagheremo domani anziché oggi. 

In pareggio di bilancio, quanti vogliono che lo Stato faccia qualcosa in più devono anche proporre che esso tassi a tale scopo determinate attività o persone. Allo stesso modo, quanti desiderano abbassare le imposte, devono parimenti indicare quali funzioni attualmente pubbliche sono disponibili a dismettere. Insomma, le loro promesse sono costrette, almeno in parte, a tenere conto del principio di realtà. 

La spesa in deficit leva al politico questo fastidio. Perché risolvere un problema, se puoi semplicemente lasciarlo in eredità ai tuoi figli? 

In Italia dovremmo prendere la questione molto sul serio. Per leggere questo articolo vi ci sono voluti più o meno 3 minuti. Da quando lo avete incominciato, il debito pubblico è cresciuto di circa 350 mila euro. 






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