Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
venerdì 13 novembre 2015
DALL'AULA DEL TRIBUNALE DREYFUS UN'ACCUSA : I GIORNALISTI DA CANI DA GUARDIA A CANI DA SALOTTO DEL POTERE (GIUDIZIARIO)
Avevo sentito parlare del Tribunale Dreyfus, una iniziativa ideata da Arturo Diaconale, giornalista e direttore dell' Opinione, con l'obiettivo di creare una sorta di "tribunale ombra, per svolgere contro-processi sui casi più eclatanti e significativi di malagiustizia ed emettere giudizi morali e politici destinati, come il “j’accuse” di Zola, a discutere, riflettere, correggere" ( uso le parole impiegate proprio da Diaconale nell'annunciare la nascita di questa "Alta Corte" alternativa, avvenuta nel maggio 2014). Intento assolutamente nobile, a riprova che la bandiera del garantismo, un tempo appannaggio della sinistra per difendere i deboli dai forti, oggi ancora esiste grazie soprattutto (non solo, ovviamente e per fortuna) a persone di ideali liberali.
Non avevo finora partecipato ai suoi "contro-processi", ma alcuni amici me ne avevano parlato bene e così, letto del nuovo appuntamento con il suggestivo titolo "ROMA : LOTTA CAPITALE", sono andato.
La locandina dell'evento era sicuramente ambiziosa, con un parterre nutrito e importante di relatori, avvocati e giornalisti. In realtà, dei cinque rappresentanti della stampa invitati, si presenterà il solo Padellaro, e alla fine, quando il convegno era agli sgoccioli.
Per un certo verso però è stato meglio così, perché francamente non so come avrebbero potuto parlare tutti, visto che, anche con queste defezioni, un paio di interventi dei presenti sono saltati, e questo nonostante tre ore e mezza senza interruzioni...
Forse qualcosina non è andata esattamente come previsto (magari troppi gli oratori, ancorché tutti interessanti, oppure è mancata una moderazione dei "tempi", cosa probabilmente indispensabile nei convegni).
L'idea era comunque quella di prendere spunto dalle molte criticità - eufemismo - proposte dal più famoso processo del momento, quello battezzato dalla procura di Roma e poi sacralizzato da tutti i media come "MAFIA CAPITALE", per allargare lo sguardo ai problemi del processo, dei rapporti tra informazione e giustizia, l'equilibrio tra il diritto di cronaca, la privacy degli indagati/imputati e la garanzia dell'imparzialità del giudice, senza dimenticare gli eccessi di potere, come l'imposizione della videoconferenza al posto della presenza in aula per alcuni degli imputati.
Gli esponenti del Tribunale Dreyfus, Arturo Diaconale e il professor Federico Tedeschini, hanno ricordato preliminarmente gli obiettivi ideali della loro creatura : l'"Umanità della Giustizia", così che magari un giorno un giudice si imbarazzerà a dire che lui "non giudica la persona ma il fascicolo", il contrasto di ciò che avviene "PRIMA" e "FUORI" dal processo, e che poi si ripercuote negativamente sullo stesso, influenzandolo e o condizionandolo. In particolare il professor Tedeschni poneva l'accento sull'ampliamento a dismisura del reato associativo, vulnus micidiale di quel principio assoluto che è la natura PERSONALE del reato penale.
Dopo il creatore e il presidente del Dreyfus, Barbara Alessandrini, battagliera giornalista dell'Opinione e responsabile della comunicazione dell'associazione culturale, ha introdotto il tema sul quale si sarebbero poi espressi i vari oratori.
Il primo di questi è stato l'avv. Francesco Tagliaferri, imponente (se non altro per stazza) presidente della Camera Penale di Roma e firmatario, insieme all'avv. Giovanni Pagliarulo, dell'esposto presentato alla procura della Repubblica contro ben 78 giornalisti e 18 direttori per violazione ripetuta dell' art. 114 del codice di procedura penale che stabilisce il divieto di pubblicazione di atti e di immagini.
Avete presente, per esempio, le immagini dell'arresto di Carminati o di Bossetti ? Ecco, quello NON si può fare. Così come non si può, nemmeno una volta caduto il segreto istruttorio, riportare integralmente il testo del contenuto dei verbali. Com'è possibile, vi chiederete giustamente ? E allora i quotidiani che pubblicano lenzuolate di testi virgolettati delle varie intercettazioni ? Semplice : violano la legge.
I giornalisti si sono molto arrabbiati per questo esposto, tirando come sempre in ballo il diritto di cronaca, il tentativo di bavaglio...Ora, già in altre occasioni abbiamo osservato come nell'ordinamento civile di una società può capitare che diversi diritti entrino in conflitto tra di loro, ed è la Legge a risolvere tale conflitto, stabilendo priorità e prevalenze.
Per esempio, la cd. privacy, in italiano il diritto alla riservatezza delle proprie forme di comunicazione ( quella telefonica ovviamente ne fa parte) è considerato un diritto "inviolabile" dalla costituzione (art. 15). Possono essere stabiliti dei limiti ( oddio, è curioso, che una cosa definita inviolabile poi preveda dei limiti a tale inviolabilità, ma tant'è) su disposizione motivata dell'autorità giudiziaria e rispettando le garanzie stabilite dalla legge. Il diritto di cronaca, pure previsto dalla Carta (art. 21), NON è definito inviolabile e all'Università ci insegnavano che questa differenza era importante : stabilisce una gerarchia. I giornalisti non hanno studiato diritto o se lo hanno fatto se lo sono scordato. Siccome c'è questa legge nazionale che stabilisce questo divieto, i "nostri" si appellano alla convenzione europea per tornare a rivendicare una sorta di immunità di categoria.
L'avv. Pagliarulo, nel suo intervento, ha perfettamente spiegato come questa sia una sonora BALLA.
L'art. 10 della convenzione invocata prevede infatti anch'essa dei LIMITI che possono essere stabiliti dal legislatore.
Pagliarulo, e altri relatori dopo di lui, spiega bene la ratio principale di questo divieto contenuto nell'art. 114. Non è solo e tanto la tutela della privacy (anche, di rimbalzo), quanto quella della "verginità" del Giudice del dibattimento che non dovrà essere influenzato da atti/notizie NON contenute nel fascicolo del processo. Il tentativo di garantire la sua imparzialità di giudizio.
Si potrà dire che il programma è troppo vasto, ma intanto questo è, e questa norma è continuamente violata.
Carlo Bonini, giornalista di Repubblica, è uno dei giornalisti segnalati nell'esposto ed era stato invitato al convegno. Non è venuto, inviando però un lungo messaggio nel quale giustificava la sua assenza per motivi di lavoro. Nello stesso, si scusava per il fatto che alcuni suoi scritti fossero stati interpretabili come un'accusa agli avvocati difensori, assimilati come complici del reato per il quale i loro clienti erano sotto processo. Le scuse sono sempre cosa buona, ancorché accompagnate dal ribadire la propria convinzione che l'esposto della camera penale di Roma fosse un atto di censura da biasimare.
Ora, il problema degli assenti è che non si può chiedere loro come si concili un articolo di 184 righe nelle quali 124 contengono il virgolettato vietato da una norma...(il conteggio è opera del bravo Pagliarulo), e perché la richiesta del rispetto di norme vigenti sia venduto come il bavaglio alla libertà di informare...
E' quindi intervenuto il sempre frizzante Valerio Spigarelli, che ha il pregio di una oratoria tonante (a dispetto di un fisico assai smilzo) e polemicamente efficace che ha brevemente (la sintesi è stata pregio di non molti) ricordato :
1) sei colpevole sulla stampa fino a prova contraria, e per la gente solo quella "sentenza" conta (a volte permane anche dopo che ti hanno assolto ndC)
2) la mafia a Roma ormai c'è, è un dato acquisito, perché così i media hanno decretato. E questo quando il vero processo ancora non è nemmeno iniziato.
3) un tempo i cronisti di nera facevano indagini vere e non di rado alternative. Adesso sono i cavalieri serventi degli uffici delle procure. Su questo tema, tornerà, ancora più sferzante, Massimiliano Annetta.
E' la volta del bravo professor Spangher, molto amato dalle camere penali e spesso presente ai convegni dove i penalisti la fanno da protagonisti.
Spangher allarga la visuale e domanda alla platea, in quel momento ancora folta, se, di questo passo, ci sarà ancora un processo penale. Il 114 cpp è violato da sempre, e fa strano agitarsi ora per un singolo processo (questo concetto è stato peraltro ribadito da molti, in particolare l'avvocato Biscotti, che ricorderà l'esortazione di Sciascia "nel momento dell'emergenza, ci si deve aggrappare al rispetto delle regole " ) . Le proposte riforme, con limiti stringenti alla possibilità delle impugnazioni, dei ricorsi in cassazione (già falcidiati dall'ampio uso della inammissibilità), dei patteggiamenti equiparati alla condanna ai fini civilistici.
In questo senso, i moniti - appelli dei due relatori successivi, l'avv. Rampelli ( non indicata..., si è "rifatta" tenendo il microfono un bel po'...) e l'avv. Rossodivita, sono stati in linea con la profezia di Spangher : se gli avvocati non riescono a fare quadrato, a darsi una forza, tramite l'unità di azione oltreché di intenti, che possa incidere sull'iter legislativo, non ci sarà possibilità di contrastare l'imbastardimento (il termine è mio ) in atto del processo penale. Fare bene il proprio lavoro, come singolo avvocato, sarà sempre più vano, inefficace, perché non solo lo strapotere dell'accusa continuerà, ma sarà rafforzato dalle nuove norme.
Prende la parola il mio amico Massimiliano, avvocato Annetta, di recente agli onori delle cronache sanmarinesi per la randellata mollata al sistema giudiziario del ridente statarello tramite la Corte di Strasburgo.
Massimo data correttamente la rottura degli argini e l'origine della connection tra procure e giornalisti all'epoca di Tangentopoli (Padellaro confermerà, dal suo lato, la collocazione temporale) , ricorda con nostalgia (non c'è nulla da fare, ad un riferimento culturale o pseudo tale il nostro non può rinunciare) il film Quarto Potere (epocale, considerato uno dei migliori film della storia del cinema, di Orson Wells, del 1941...non so in quanti delle nuove generazioni possano averlo visto...) , dove, sullo sfondo della vita del protagonista, c'è la mitica rappresentazione della stampa (il quarto potere appunto) cane da guardia degli altri tre ( esecutivo, legislativo e giudiziario).
Ebbene quei cani da guardia oggi sono diventati da caccia, degli inquirenti, e da salotto, piuttosto che denunciare gli eccessi di potere delle toghe.
La collega Maria Brucale - coraggiosa Giovanna d'Arco delle Camere Penali in materia carceraria - dedica il suo intervento (a quel punto necessariamente breve, visto gli strafori di molti dei predecessori) alla denuncia della decisione di imporre la videoconferenza per alcuni imputati del processo romano. Contro di essa le Camere Penali hanno deliberato lo stato di agitazione con l'astensione dai processi a partire, se ho capito bene, da fine novembre. Non è un vezzo, non è una pignoleria. Brucale spiega - altri con lei - come in questo modo si escluda l'imputato da essere parte viva e attiva nel dibattimento che lo riguarda (l'avv. Vitale fare l'esempio della differenza tra assistere ad una partita dalla tv o allo stadio. Notoriamente, nel secondo caso, si può controllare l'insieme e non si è prigionieri delle scelte di inquadratura del regista). Vorrei ricordare che Gratteri, il pm che renzino voleva a via Arenula (Napolitano lo "sconsigliò" ed è una delle poche cose buone fatte dal vecchio presidente), i processi li farebbe TUTTI in video conferenza, e già solo la fonte di tale proposta la dice lunga sulla sua bontà dal punto di vista delle garanzie del cittadino accusato (e non per questo già colpevole).
Come detto, quando ormai erano quasi tre ore che il convegno si svolgeva, e molti dei presenti ( per lo più avvocati, con quindi necessità di tornare a studio) si erano allontanati, è giunto Antonio Padellaro, già direttore del Fatto, quindi del gazzettino delle procure per eccellenza, e tuttora editorialista del giornale di Travaglio.
L'ex direttore ha stupito positivamente. Pacato (devo dire che mi ha dato anche una sensazione di persona poco in salute. Se è giusta, gli faccio auguri sinceri) e anche autocritico. Ricorda anche lui come un certo tipo di stampa, quella fiancheggiatrice delle procure, giustizialista (quando non forcaiola), nasce ai tempi di tangentopoli cavalcando la furia della gente che si vuole vendicare dei potenti impuniti. Scoperto che il filone rendeva, aveva un pubblico costante e affezionato (il giornale deve vendere...), non ci si è più discostati. Padellaro però ammette che si è (si sta) esagerato, la violazione della privacy è senza freno. Quando era direttore, ad un certo punto cercò di imporre delle regole un po' più stringenti, e probabilmente per questo, chioso io, non lo è più e Marat-Travaglio ha preso direttamente le redini.
Ricorda peraltro, e ne ha conoscenza diretta, come ormai anche gli avvocati siano diventati talpe dell'informazione, cercando a loro volta nei giornalisti degli alleati utili sia per sé (notorietà) che per la linea difensiva.
Questa cosa è sicuramente vera, e biasimevole tanto quanto, ma certo Padellaro non vorrà comparare i poteri tra le due parti, accusa e difesa, nella possibilità di indagine, di acquisizione di fatti e informazioni, e conseguentemente di chi più può far danno in questa materia.
Naturalmente, nell'ammettere gli eccessi, come soluzione ripropone, more solito, una migliore autoregolamentazione dei giornalisti... Mah.
Chiude Vincenzo Vitale, che ho imparato ad apprezzare sulle colonne del Garantista ( alla mia edicola il giornale di Sansonetti non arriva più e l'edizione sul web è fatta male) , il quale rivolgendosi a Padellaro, cui pure rivolge giuste parole di apprezzamento per l'onestà intellettuale mostrata, ricorda il ruolo doveroso di cani da guardia dei media e che quelli della magistratura sono sovente dei veri e propri eccessi di potere da denunciare e criticare tanto quanto quello degli altri "potenti".
Se il codice penale è il codice dei delinquenti, quello di procedura lo è delle persone per bene, ripete Vitale citando Calamandrei (o forse Carnelutti), ammonendo su come uno svuotamento del processo, privato di vere garanzie del cittadino che si difende, è cosa tipica degli ordinamenti totalitari.
Roba brutta.
Sono andato via un po' stanco, ma con una sensazione positiva.
L'Associazione Tribunale Dreyfus è sicuramente nobile e da incoraggiare, nel suo intento di provare a dare una informazione controcorrente, per provare a suggerire, tramite i media e i socialnetwork, che il garantismo non è roba pelosa ad uso degli avvocati difensori per tenere fuori dalla galera i colpevoli, ma l'affermazione del rispetto delle regole vigenti e di principi, come l'habeas corpus, la presunzione d'innocenza, il ragionevole dubbio, che sono pilastri delle democrazie e dello stato di diritto da secoli, mentre il ritorno alla cupa e antiliberale (nel senso di compressione delle libertà) ottica inquisitoria va assolutamente contrastato.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento