sabato 16 gennaio 2016

IN EUROPA (GERMANIA SOPRATTUTTO) SI CHIEDONO IL PERCHE' DEL RENZI NEO POPULISTA

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A questo punto vorrei veramente capire se Matteo Renzi ci fa o c'è .
Mi riferisco alla retorica muscolare, che ogni tanto cambia nemico. Ha iniziato coi potentati del PD, e quando iniziò non era per nulla facile, lui semplice carneade oltretutto senza pedigree sinistrese (cattolico, padre coi Popolari, lui esordisce sul versante Margherita..., non sono precisamente quarti di nobiltà da quelle parti ), poi, con il colpo di fortuna della non vittoria di Bersani nel 2013, è riuscito a prendersi il partito democratico e quindi a defenestrare Letta da Palazzo Chigi, prendendone il posto senza alcuna investitura elettorale (Renzi non è nemmeno parlamentare).
I duelli rusticani sono proseguiti, attraverso una politica massimamente disinvolta, con alleanze doppie, triple, quadruple.
Tutto va bene per la conservazione del primato. Ma fin qui...
Quello che mi sfugge è se vi sia un metodo strategico dietro questa "follia", un obiettivo altro e diverso dalla mera gestione del potere per il potere.
Sarei tentato di rispondere di no, e secondo me questo dubbio sta venendo a molti, compresi coloro che all'inizio hanno guardato con favore il dinamismo renziano.
Ieri su La Stampa Giovanni Orsina, interrogandosi anche lui, come i vertici europei, sul perché dell' improvviso imbruttimento di Renzi contro la UE, ha espresso forte preoccupazione per la tenuta del sistema politico italiano, auspicando che al più presto si palesi una vera opposizione.
Orsina osserva come la tattica renziana sia in fondo di facile lettura.
Il premier taglia le tasse, operazione gradita al centro destra, alza il limite dell'uso dei contanti (idem), però NON riduce la spesa pubblica, cercando di tenersi cari gli impiegati, specie pubblici, elargendo anche generose mance di 80 euro al mese.
Come si conciliano le due cose (riduzione, e comunque non aumento delle tasse, senza tagli alla spesa ) ? Semplice, con il deficit ! La più antica ricetta italica, applicata da tutti i governi ancorché la destra, a parole, condanni il deficit spending (che invece fa parte dei pilastri economici della sinistra, che contempla, come alimento del welfare, anche la tassazione, naturalmente).
A quel punto però, ricorda Orsina, sorge il problema di Bruxelles, che sorveglia in modo occhiuto debito e bilanci.
Finora renzino aveva provato ad ottenere margini di manovra con le buone, anche con qualche risultato - che infatti gli europei gli rinfacciano - ma evidentemente non sufficiente ai suoi programmi che proprio NON prevedono una vera spending review ( come dimostrano il siluramento di Cottarelli e la rinuncia di uno dei possibili successori).
Fare il bullo con la Commissione è poi sempre molto utile sul fronte del consenso interno. M5S e Lega guadagnano bei punti nel mostrarsi ostili all'Europa matrigna, e Renzi non ci sta a lasciare tutto il cucuzzaro dell'antieuropeismo ai rivali.
Renzi è disinvolto, molto, lo abbiamo detto e ripetuto, e non si preoccupa di destra/sinistra, di populismo o europeismo, lui punta a prendere di tutto. E così, ricorda Orsina, cerca di occupare l'area di più largo consenso " tagliando le tasse a destra. sostenendo le unioni civili a sinistra, facendo il Jobs Act a destra, regalando gli 80 euro a sinistra. Gestore professionista del potere politico e Gian Burrasca dell'antipolitica. Segretario di un PD europeista e aspro critico di Bruxelles".
Ognuno può trovare qualcosa che gli piace, e pazienza se il puzzle non si capisca cosa rappresenti.


Il Corriere della Sera - Digital Edition

Il voto anticipato e i sospetti europei sulle mosse italiane

di Francesco Verderami

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Un sospetto si aggira per l’Europa: e se Renzi avesse deciso di attaccare l’Unione pensando di anticipare il voto nel 2017, e usando toni che attecchiscono sull’elettorato? Il sospetto ha preso corpo a Berlino, sta dentro una domanda: «Warum?». «Perché?», si chiede Manfred Weber.

«Perché il vostro presidente del Consiglio ha assunto questo atteggiamento?». Così esordisce da giorni il capogruppo del Ppe con i suoi interlocutori italiani. E nei conversari riservati non è sfuggito il modo in cui il falco tedesco ha coniugato i verbi: ha usato il singolare per confidare di essere rimasto «spiazzato» dalle mosse di Renzi; è passato al plurale per aggiungere che «non ce lo aspettavamo».
Weber è considerato la sentinella di Angela Merkel nelle istituzioni europee, oltre che grande elettore di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione. Per quanto conosca la politica per averla praticata nella Csu bavarese prima che a Strasburgo, fatica a districarsi nelle dinamiche machiavelliche, distanti dalla linearità teutonica: «Non capisco. Davvero, sono incomprensibili queste ripetute dichiarazioni fortemente critiche del vostro capo di governo, a fronte dell’atteggiamento positivo della Commissione».
È una questione di punti di vista, e non c’è dubbio che l’ottica di Renzi sia diversa, quando lamenta la gestione di Bruxelles sui dossier cari all’Italia, a partire dal nodo irrisolto dell’immigrazione e dalle concessioni in tema di economia «che abbiamo faticato ad ottenere». Weber parte invece dal presupposto che «concessioni al governo italiano ne sono state fatte». Arriva a dire che «in varie occasioni è stata dimostrata grande disponibilità, anche per contrastare il pericolo dei partiti populisti in Europa».
È un punto delicato quello che tocca il capogruppo del Ppe, perché rivendica alla Commissione e all’Europarlamento il merito di voler salvaguardare l’Italia da un fenomeno già presente in altri Paesi. «Noi stiamo dando una mano. Siamo tutti aperti. E comunque Renzi deve capire che non può pensare di risolvere i problemi italiani con la flessibilità in Europa. Invece che fa? Attacca Juncker e Merkel. È inconcepibile».
«Warum?», si chiede allora Weber. «Perché?», va chiedendo nei suoi colloqui, così da farsi un’idea sulle reali intenzioni del premier italiano. E c’è un motivo se nelle conversazioni evoca il rischio che Roma finisca per restare isolata nel consesso europeo. Il politico tedesco l’ha fatto sempre in modo indiretto, senza mai esporsi. L’altro giorno ha citato l’intervista concessa alla Stampa dal commissario Ue all’Economia, Pierre Moscovici, che sulla flessibilità ha invitato l’Italia a «rispettare le regole»: «Avete letto cosa ha detto? E lui è un socialista, proprio come Renzi».
«Non capisco. Siamo preoccupati per l’Italia».
Il passaggio al plurale nell’uso dei verbi non sembra mai casuale, almeno questa è la sensazione e l’interpretazione di quanti parlano con Weber. Lo scontro di ieri tra Renzi e Juncker non sembrerebbe un buon viatico per l’incontro del presidente del Consiglio italiano con la Cancelliera tedesca, e i timori degli uomini di Renzi — a Roma come a Bruxelles — superano il muro della riservatezza: quanto a lungo si può reggere un simile braccio di ferro? Quanto c’è da guadagnare e quanto da perdere? L’esortazione del premier è di «finirla con i complessi di inferiorità»: lui si sente «in sintonia con il Paese».
Se così stanno le cose, se per il leader del Pd è l’Europa — non Grillo nè Salvini — la sua vera opposizione, lo stress-test con Bruxelles potrebbe arrivare a un punto di rottura. «Questo non è il modo di comportarsi», ripete Weber cercando una password per comprendere la vera strategia di Renzi. Nel gioco costi-benefici c’è un evidente squilibrio per l’Italia. Nel 2017, peraltro, andranno a scadenza cambiali europee molto pesanti, con le clausole di salvaguardia che somigliano ad altrettante spade di Damocle, con l’obbligo di realizzare una crescita straordinaria per evitare una pesante manovra correttiva.
«A meno che...». Ecco come il sospetto prende corpo. «A meno che» Renzi non pensi di andare alle elezioni anticipate proprio nel 2017, sull’onda della vittoria al referendum costituzionale. Il premier italiano ha sempre smentito questa ipotesi, e Weber non può che prendere per buone le sue dichiarazioni, anche se finora non ha trovato risposte valide ai suoi «Warum?». Introducendo questa variabile, invece, «allora capirei». Andando alle urne con l’Europa come opposizione, il segretario del Pd toglierebbe benzina alla campagna elettorale dei suoi avversari. «Ma certe cose possono farle piccoli leader di piccoli Paesi», aggiunge di scatto il capogruppo del Ppe, come a volersi destare da un incubo, come a voler allontanare da sé quel sospetto: «Il vostro presidente del Consiglio guida uno dei Paesi fondatori dell’Unione ed è anche il leader della maggiore forza politica del Partito socialista europeo. Se anche lui si mette a usare toni populisti...». Weber finora non ha trovato risposte ai suoi «Warum?». Gli resta un dubbio.

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