Renzi, si legge da più parti, conta di puntare tutte le sue carte sulla battaglia che gli appare più facile e allo stesso tempo più spendibile propagandisticamente : la conferma referendaria della sua riforma costituzionale.
La scelta. more solito, nasce dai sondaggi che, fino ad ora, lo hanno tranquillizzato sull'esito.
Ultimamente però sono sorte delle nuvole :
1) da qui a ottobre, mese nel quale si dovrebbe tenere il referendum, possono accadere molte cose non positive. Immigrazione, terrorismo, spaccature su temi come le unioni civili e, last but absolutely not least, lo stato dell'economia, ché se la famosa crescita, tanto bramata e profetizzata, continua a non arrivare, per il premier saranno c...avoli amarissimi
2) A questi già molteplici scenari bisogna aggiungere l'incerto esito di consultazioni amministrative importanti, riguardanti, tra l'altro, città chiave come Milano, Napoli e Roma. Se il brutto trend del PD 2015 - ad di là della propaganda - proseguisse nel 2016, ciò indebolirebbe l'immagine di renzino anche in prospettiva referendaria.
3) I numeri dei sondaggi iniziano a variare, e quella che sembrava un risultato scontato, la vittoria del Si, ora lo è già meno (e bisogna appunto vedere cosa accadrà su tutti i fronti sopra ricordati)
4) Infine, c'è il rischio diserzione delle urne. In questo caso il referendum non è sottoposto a quorum, quindi l'esito sarà valido, in un senso o nell'altro, qualunque sia la partecipazione popolare. Ma se andasse meno del 50% dei cittadini, la riforma, di rango costituzionale, vedrebbe la luce con un pessimo viatico e, quel che più conta in politica, apparirebbe politicamente un flop, un'alchimia istituzionale di fatto non sentita come valida dalla maggioranza degli elettori.
Comunque, sarà un anno nel quale la contesa politica si scalderà su questo tema, ed è bene cercare di saperne il più possibile.
Personalmente, apprezzo molto in questa materia i contributi di Michele Ainis, costituzionalista, professore universitario di diritto pubblico, e da tempo anche brillante polemista del Corsera.
Una riforma incompiuta senza le leggi su ruoli e poteri
Consiglio non richiesto ai nostri governanti: se volete convincere i dubbiosi, se volete fare Bingo nelreferendum sulla riforma più formosa, aggiungete al pane un po’ di companatico.
Il pane è
Il companatico consiste nel rosario di leggi che serviranno per attuarla, per darle sapore. Noi, fin qui, abbiamo esercitato le mandibole sul pane, dividendoci dopo averlo assaggiato: chi lo gusta, chi se ne disgusta.
Ma è un errore, perché ogni revisione costituzionale detta un principio di riforma, non tutta la riforma. Tanto più in questa circostanza, dove su molti aspetti decisivi la riforma non decide, o meglio rinvia la decisione alla legge che verrà. Qual è infatti la critica sollevata dal fronte del no? Troppi poteri di governo, pochi
contropoteri. Dunque troppa efficienza, poche garanzie.
Non è un’obiezione campata per aria. Dopotutto, il
bicameralismo paritario costituiva una difesa, nel bene e nel male. Quante
leggi ad personam o ad partitum ci sarebbero cadute sul groppone, senza
l’altolà del Senato? Adesso la riforma ne prosciuga il ruolo, ma non lo
compensa con un’iniezione di vitamine sul corpo del presidente della
Repubblica, il garante per antonomasia. Anzi: anche i suoi poteri
s’infiacchiscono, perdono vigore.
Di fatto, non sarà più lui a consegnare le chiavi del governo, perché il
premier verrà deciso dal premium (di maggioranza) della legge elettorale.
Inoltre il presidente cede espressamente (articolo 88) il potere di sciogliere
il Senato, ma implicitamente anche la
Camera : con un partito maggioritario per effetto
dell’Italicum, sarà il suo leader a decretare vita e morte della legislatura.
Eppure non è detto che il Senato si trasformi in un orpello delle nostre istituzioni. Dipende per esempio dalla legge preannunziata dal nuovo articolo 55, che dovrebbe attribuirgli funzioni di controllo sulle nomine governative. Dipende, soprattutto, dalla legge che ne stabilirà i criteri d’elezione. Il testo di riforma la promette entro 6 mesi dal prossimo turno elettorale, ma non c’è da fidarsi.
Anche nel 1948 il termine d’un anno per indire le elezioni dei Consigli regionali fu prorogato all’anno successivo, poi all’anno dopo, e così via fino al 1970. E in questo caso, quale legge? Un conto è che i senatori vengano eletti su listini bloccati, ossia decisi dai partiti; un conto è che corrano l’uno contro l’altro in una competizione aperta. Giacché allora la legittimazione del Senato, quindi la sua autorevolezza, quindi i suoi stessi poteri, ne uscirebbero giocoforza amplificati.
E l’opposizione? Un altro contrappeso, la cui stazza dipende tuttavia dai regolamenti parlamentari che dovranno sancire i diritti delle minoranze, a norma dell’articolo 64. E i cittadini? Nelle democrazie la sovranità appartiene al popolo, dunque è al popolo che spetta innanzitutto vigilare contro gli abusi del governo. Difatti il nuovo articolo 71 ci consegna due nuovi strumenti: il referendum propositivo e quello d’indirizzo.
Affidandone il battesimo, però, a una legge costituzionale seguita da una legge ordinaria, che forse vedranno i nostri nipotini. D’altronde la storia è maestra di vita: il referendum abrogativo introdotto dai costituenti rimase in frigorifero per 22 anni, prima che il Parlamento ricordasse d’approvarne la legge d’attuazione.
Insomma, questa riforma è ancora informe. Saranno le norme successive a precisare l’assetto dei poteri, lo specifico ruolo di ciascuno. Non solo dentro il recinto delle istituzioni, anche in materia economica e sociale. È il caso dell’articolo 122, che promette una legge per riequilibrare la partecipazione politica fra gli uomini e le donne.
E se quest’ultima rimanesse un desiderio? È il caso, inoltre, dell’abolizione del Cnel. Può significare la scomparsa dell’unico luogo istituzionale di confronto fra le organizzazioni economiche e lo Stato; oppure può significare la sostituzione di quel vecchio carrozzone ormai in disarmo con nuove strutture, più rappresentative e più efficaci. Dipenderà dalla legge sulla rappresentanza, se verrà scritta, e come verrà scritta.
Da qui il consiglio al presidente del Consiglio: meglio portarsi avanti nel lavoro, meglio anticipare le principali norme d’attuazione della Carta riformata. Se non con altrettante leggi (sarebbero incoerenti, prima che la riforma entri in vigore), almeno con un pacchetto di proposte, di disegni di legge. Perché in ultimo saranno gli elettori a timbrare la riforma, ma gli elettori sono curiosi e diffidenti come gatti. Se cerchi d’ingannarli, poi ti lasciano un graffio sulla pelle.
Eppure non è detto che il Senato si trasformi in un orpello delle nostre istituzioni. Dipende per esempio dalla legge preannunziata dal nuovo articolo 55, che dovrebbe attribuirgli funzioni di controllo sulle nomine governative. Dipende, soprattutto, dalla legge che ne stabilirà i criteri d’elezione. Il testo di riforma la promette entro 6 mesi dal prossimo turno elettorale, ma non c’è da fidarsi.
Anche nel 1948 il termine d’un anno per indire le elezioni dei Consigli regionali fu prorogato all’anno successivo, poi all’anno dopo, e così via fino al 1970. E in questo caso, quale legge? Un conto è che i senatori vengano eletti su listini bloccati, ossia decisi dai partiti; un conto è che corrano l’uno contro l’altro in una competizione aperta. Giacché allora la legittimazione del Senato, quindi la sua autorevolezza, quindi i suoi stessi poteri, ne uscirebbero giocoforza amplificati.
E l’opposizione? Un altro contrappeso, la cui stazza dipende tuttavia dai regolamenti parlamentari che dovranno sancire i diritti delle minoranze, a norma dell’articolo 64. E i cittadini? Nelle democrazie la sovranità appartiene al popolo, dunque è al popolo che spetta innanzitutto vigilare contro gli abusi del governo. Difatti il nuovo articolo 71 ci consegna due nuovi strumenti: il referendum propositivo e quello d’indirizzo.
Affidandone il battesimo, però, a una legge costituzionale seguita da una legge ordinaria, che forse vedranno i nostri nipotini. D’altronde la storia è maestra di vita: il referendum abrogativo introdotto dai costituenti rimase in frigorifero per 22 anni, prima che il Parlamento ricordasse d’approvarne la legge d’attuazione.
Insomma, questa riforma è ancora informe. Saranno le norme successive a precisare l’assetto dei poteri, lo specifico ruolo di ciascuno. Non solo dentro il recinto delle istituzioni, anche in materia economica e sociale. È il caso dell’articolo 122, che promette una legge per riequilibrare la partecipazione politica fra gli uomini e le donne.
E se quest’ultima rimanesse un desiderio? È il caso, inoltre, dell’abolizione del Cnel. Può significare la scomparsa dell’unico luogo istituzionale di confronto fra le organizzazioni economiche e lo Stato; oppure può significare la sostituzione di quel vecchio carrozzone ormai in disarmo con nuove strutture, più rappresentative e più efficaci. Dipenderà dalla legge sulla rappresentanza, se verrà scritta, e come verrà scritta.
Da qui il consiglio al presidente del Consiglio: meglio portarsi avanti nel lavoro, meglio anticipare le principali norme d’attuazione della Carta riformata. Se non con altrettante leggi (sarebbero incoerenti, prima che la riforma entri in vigore), almeno con un pacchetto di proposte, di disegni di legge. Perché in ultimo saranno gli elettori a timbrare la riforma, ma gli elettori sono curiosi e diffidenti come gatti. Se cerchi d’ingannarli, poi ti lasciano un graffio sulla pelle.
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