mercoledì 9 marzo 2016

RICOLFI : NON CRESCIAMO, PERO' FORSE ABBIAMO SMESSO DI SCENDERE. BICCHIERE A META' ?

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Ero un po' indeciso se postare il contributo settimanale di Luca Ricolfi, ripreso dal Sole 24 Ore, perché un pochino troppo tecnico, e con più dubbi che risposte. Non è ovviamente una critica al bravissimo professore, ma siccome quella del blog è una selezione anche in funzione degli amici che leggono, questo articolo poteva anche non essere scelto. Dopodiché ho pensato che tra i lettori del Camerlengo diversi condividono con me la convinta ammirazione per Ricolfi, l'apprezzamento delle sue analisi, e per questo l'appuntamento settimanale è bene mantenerlo. anche quando i suoi articoli sono un pochino meno agreable.
E quindi, Buona Lettura




Il rebus produttività e il ventennio perduto
di LUCA RICOLFI
 
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I dati di gennaio sull’occupazione, che hanno segnalato un incremento di occupati a dispetto della fine della decontribuzione totale, hanno acceso un briciolo di speranza sull’evoluzione della congiuntura economica del nostro paese. Le analisi econometriche mostrano, senza troppi margini di dubbio, che il ritmo di formazione dei posti di lavoro è, da qualche trimestre, un po’ superiore a quello che ci si potrebbe attendere in base all’evoluzione del Pil. La dinamica del Pil, a sua volta, è in lenta accelerazione, e nell’ultimo trimestre del 2015 ha oltrepassato l’1% su base annua. Se guardiamo all’intero 2015, possiamo notare che, per la prima volta dal 2011, la dinamica del Pil non è stata inferiore a quella dell’occupazione. Questo significa, in buona sostanza, che in questo momento la produttività per addetto è sostanzialmente ferma, ossia non sta né crescendo né diminuendo.

È una buona notizia?
Dipende dai punti di vista. Se fossimo un paese normale, dovremmo esprimere preoccupazione, perché in un paese normale la produttività del lavoro non sta ferma ma, tendenzialmente, cresce di anno in anno. Ma noi non siamo un paese normale: l’Italia è uno dei pochissimi paesi del mondo sviluppato in cui la produttività del lavoro non tende ad aumentare, bensì a diminuire. Nel 2000 il valore aggiunto annuo per occupato era un po’ superiore a 72 mila euro (a prezzi 2010). Nel 2007, alla fine del breve ciclo di espansione 2006-2007 sfiorava i 74 mila euro. Nel 2009, al culmine della recessione mondiale, era sceso sotto i 70 mila euro. Oggi è ancora più basso (meno di 69 mila euro) che nell’annus horribilis della lunga crisi 2007-2014. Per trovare un anno in cui eravamo meno produttivi di oggi bisogna risalire al 1996, ossia a vent’anni fa. Guardando a ritroso, dunque, l’attuale ristagno della produttività del lavoro suona come una buona notizia: forse abbiamo smesso di precipitare, dopo una lunga stagione di erosione del prodotto per occupato.

Da che cosa dipende una così formidabile propensione al declino? Una parte della spiegazione sta in un fatto statistico: la produttività per addetto diminuisce perché il numero medio di ore lavorate per occupato, dal 2007, è sempre diminuito (tranne nel 2015, in cui ha iniziato una lentissima risalita). Se anziché misurare la produttività con il rapporto fra Pil e occupati la misuriamo con quello fra Pil e ore lavorate la traiettoria degli ultimi 20 anni si fa un po’ diversa. Il prodotto per ora lavorata era ancora crescente nella seconda metà degli anni 90, ma negli ultimi 15 anni (trascurando il tonfo del 2009) è sempre rimasto sostanzialmente invariato, con una lievissima tendenza alla diminuzione: nel 2000 un’ora di lavoro generava un reddito di 37 euro, oggi (sempre a prezzi 2010) ne genera uno appena inferiore (36 euro e mezzo).

Il vero problema, quindi, è di capire che cosa fa sì che negli ultimi 15 anni la produttività media del sistema, misurata come prodotto per ora lavorata, non sia mai cresciuta.
Va osservato infatti che, comunque, in questi 15 anni il progresso tecnico e organizzativo ha sicuramente investito migliaia di imprese e organizzazioni, che hanno rinnovato impianti, adottato nuove tecnologie, digitalizzato i processi informativi, importato modelli produttivi più efficienti. Se a dispetto di tutto ciò la produttività media del sistema è rimasta stagnante, sia prima sia dopo la lunga crisi del 2007-2014, devono essere stati all’opera contro-fattori ben potenti, che hanno per così dire eliso, neutralizzato, controbilanciato la naturale tendenza delle imprese ad aumentare l’efficienza.

Insomma, il lungo e perdurante ristagno della produttività, iniziato improvvisamente (e solo in Italia) alla fine degli anni 90, e durato ormai quasi un ventennio, richiederebbe una spiegazione.
Dico questo perché, a mio parere, il problema centrale dell’Italia è il suo bassissimo tasso di occupazione, fra i più modesti dell’occidente, e solo una dinamica molto pronunciata della produttività, basata sulla rimozione dei fattori che l’hanno bloccata per un quindicennio, può farci sperare che, in un prossimo futuro, l’occupazione torni a crescere a un ritmo tale da riassorbire, almeno in parte, il vastissimo “esercito di riserva” dei disoccupati, degli scoraggiati e dei lavoratori in nero, una massa di circa 10 milioni di persone che stanno fuori del circuito del lavoro regolare.

Si potrebbe obiettare che, di spiegazioni del ristagno della produttività, in realtà ne esistono parecchie, alcune francamente piuttosto fantasiose: ingresso nell’euro, declino della manifattura, liberalizzazioni del mercato del lavoro, aumento della pressione fiscale, riforme della pubblica amministrazione, rigidità dell’occupazione, potere sindacale, compressione dei consumi, erosione dei margini di profitto, calo degli investimenti, solo per citarne alcune. Il punto, però, è che le spiegazioni sono troppe e troppo spesso incompatibili fra loro, mentre manca una vera diagnosi, ossia un’analisi che indichi che cosa dovremmo fare per consentire alla produttività del lavoro di tornare a crescere a un ritmo normale, analogo a quello degli altri paesi avanzati.
Eppure è proprio di una tale diagnosi che avremmo bisogno, se desideriamo interrompere la lunga stagione di ristagno che ci accompagna dalla fine degli anni 90.

 

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