mercoledì 20 aprile 2016

QUANDO FACEBOOK SOSTITUISCE IL DETECTIVE NELLE CAUSE DI DIVORZIO

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Divertente e magari anche istruttivo, per qualche collega, l'articolo comparso oggi sul Corriere della Sera che spiega come i social network possano essere strumenti preziosi per gli avvocati divorzisti.
Come al solito, in prima linea sul fronte degli avvocati guerrafondai in questa materia, quelli ai quali si rivolgono quei clienti che "la vogliono far pagare cara" all'ex amato - e ora evidentemente odiato - partner, troviamo la Bernardini De Pace, che non a caso si è beccata un paio di denunce dall'ex genero, l'ancor più famoso di lei (probabilmente è una delle sue colpe, nemmeno la meno grave) Roul Bova.
In effetti, da quello che si legge, certe leggerezze ed ingenuità vengono compiute su FB e dintorni, e del resto è notorio che da tempo il Fisco ha preso a sorvegliare i profili per valutare foto postate di case meravigliose, viaggi da favola, poco compatibili con miserrime dichiarazioni dei redditi.
Su questo piano quindi è semplice comprendere come in caso di battaglia incentrata sull'assegno e la capacità reddituale, gli screen shot delle sventate foto pubblicate per vanagloria sui profili social diventino strumento facile e prezioso.
Qualche perplessità in più ce l'ho sul discorso fedeltà coniugale.
Un tempo la prova del tradimento era quella regina per ottenere l'attribuzione della colpa - oggi si chiama addebito - della fine del legame coniugale. Da parecchio tempo non è più così, e questo perché la giurisprudenza si è raffinata e si pone il problema se il tradimento sia effettivamente la causa della crisi della coppia o piuttosto l'EFFETTO. In questo secondo caso, niente addebito.
Siccome nella maggior parte dei casi, specie le donne (almeno loro così dicono), si tradisce perché si è allentata di molto l'"affectio coniugalis" (hanno pure trovato un termine latino !!), ecco che l'addebito diventa cosa rara.
Altra considerazione. L'unica conseguenza dell'addebito è, nel 99% dei casi, la perdita del diritto all'assegno di mantenimento appannaggio del coniuge debole. I figli, giustamente, sono esclusi : loro hanno SEMPRE diritto ad essere accuditi, e quindi se restano con la mamma fedifraga, il padre è comunque tenuto a versare a lei l'assegno che riguarda la prole.  
Ora, il coniuge debole più spesso è la donna, quindi l'addebito al marito che valenza ha, che effetti produce ? Nessuno.
In rarissimi casi, ci sono Tribunali che riscoprono il risarcimento dei danni, derivanti dalla grave mancanza di rispetto - e conseguenti stress emotivi, depressioni, altri danni psicosomatici - concretizzatisi con il tradimento, per il MODO con cui questo si concreta. Attenzione, questo concetto del MODO è fondamentale. Il tradimento "discreto", non ostentato, viene tollerato anche da questi giudici (non certo dal tradito !) più severi. In ogni caso, percentualmente, questo risarcimento non ha preso piede.
In molte situazioni poi accade che i coniugi lavorino entrambi, abbiano all'incirca la stessa capacità reddituale, e quindi in ogni caso non si parlerà di assegno di mantenimento, stabilito solo a favore del coniuge economicamente più debole.  
Insomma, le "corna" non hanno da moltissimo tempo questa valenza, da un punto di vista patrimoniale spostano poco.
Se la Veronica Lario ha quel principesco - e scandaloso - assegno NON è per il bunga bunga dell' ex consorte, ma per il fatto che il Cavaliere è un Paperone. Dopodiché ci sarebbe da discutere, e tanto, se una persona di per sé ricca - com'è appunto la Lario - debba avere un assegno monstre perché l'ex marito lo è ancora di più.
Ma questo è un altro capitolo.


Il Corriere della Sera - Digital Edition

   Gli avvocati divorzisti detective su Facebook

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Alla ex moglie aveva detto di non poter andare a prendere i figli al calcetto perché immobilizzato da una tibia rotta. Invece era su un panfilo a Montecarlo (e senza ombra di gesso alla gamba). Al ritorno dalle vacanze si è trovato un’intimazione del giudice e il rischio di vedere la responsabilità genitoriale sospesa. Niente investigatori privati o amici che fanno la spia: è bastato sfogliare le sue foto su Facebook, dove le lussuose ferie erano documentate con selfie e foto di gruppo. «Si credeva furbo perché aveva bloccato la ex dai suoi contatti. Ma lei ha creato un account falso con la foto di una donna bella e provocante e gli ha chiesto l’amicizia: lui ha accettato subito ed è caduto in trappola», racconta Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani (Ami). Di casi così ne vede ogni giorno. Da anni.

C’è quello che sostiene di non avere i mezzi per pagare l’assegno di mantenimento e poi pubblica su Facebook le foto su uno yacht alle Maldive, quella che nega relazioni extraconiugali e poi su Instagram posta foto romantiche con l’hashtag #love. C’è l’irreprensibile che si geolocalizza sempre nello stesso posto, e così si viene a sapere che ha una seconda casa segreta comprata all’insaputa del partner. Segreta, si fa per dire. Perché la posizione, l’arrendamento e pure le piante sul terrazzo sono a disposizione con pochi click, frugando tra un social e l’altro. Ma soprattutto sono tutti documenti facili da stampare e da inserire nei dossier da portare davanti ai giudici. Ormai ciò che si trova sui social non è altro che una prova in più e come tale utilizzabile nei processi sul diritto alla famiglia, che si tratti di dimostrare un’infedeltà o di valutare la potenzialità economiche di una persona.

Succede all’estero, soprattutto in Usa e in Nord Europa dove, spiega Gassani, «le penali previste dai patti prematrimoniali rendono gli studi legali ancora più attenti e spregiudicati: alcuni usano anche software speciali per accedere alle chat private». Strumenti sofisticati che spesso non servono nemmeno: la piattaforma di blog francese Rue 89 ha pubblicato nei giorni scorsi l’intervista ad una avvocata di Marsiglia che ha raccontato di vincere le sue cause proprio grazie agli screenshot da Facebook. Perché spesso le persone lasciano i loro account «aperti»: per vedere cosa pubblicano non serve nemmeno essere loro amici, basta cercare i profili e sfogliare i contenuti che pubblicano.

Di legali così ce ne sono anche in Italia. Secondo l’avvocato matrimonialista Cesare Rimini «il livello di guardia delle persone si è talmente abbassato che molti non impostano la privacy su Facebook e lasciano il profilo aperto. Agli avvocati bastano pochi screenshot ben mirati per avere in mano prove sufficienti a “incastrare” chi pensa di fare il furbo».

Annamaria Bernardini De Pace, invece, preferisce che siano i suoi stessi clienti a raccogliere gli indizi: «La prima domanda che faccio è: «Il vostro coniuge usa i social?». Se la risposta è «sì» il gioco è fatto: «Spiego loro cosa devono cercare e che tipo di documenti devono raccogliere. Poi, con un po’ di intelligenza e malizia, si incrociano i dati e spesso qualcosa salta fuori».

Non è difficile e basta un po’ d’intuito, altro che pedinamenti da film: «Una persona che segue su Twitter, commenta spesso i post su Facebook e compare negli scatti pubblicati su Instagram magari è qualcosa di più di un’amica. Un partner che piange miseria e poi pubblica foto di piatti chic geolocalizzandosi in ristoranti di lusso forse non ha tutte le difficoltà economiche che sostiene di avere», enumera l’avvocato. E i giudici, come reagiscono? «Dicono: bravi. Ai nostri clienti per aver trovato gli elementi giusti, a noi avvocati per aver unito i puntini trasformando gli indizi in prove», conclude Bernardini De Pace.

Anche quelli che a prima vista potrebbero non esserlo. Come quella signora, ricorda l’avvocato, «che si dipingeva come una mamma perfetta ma pubblicava così tanti post sui social che abbiamo finito per chiederci quanto tempo dedicasse ai figli, visto che pareva vivere attaccata a internet. Se lo sono chiesto anche i giudici, e abbiamo vinto la causa».

Greta Sclaunich gretascl

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