Ogni tanto quelli del TAR ne fanno una buona. Mi riferisco alla recente sentenza emessa dal Tribunale Amministrativo della regione Lazio che boccia l'ordinanza sindacale - non riesco ad individuare il comune in questione, ma il principio fa giurisprudenza per tutto il Lazio - con la quale veniva impedito l'accesso a parchi ed aree verdi a cani pure condotti con guinzaglio e padroni muniti dell'occorrente per le eventuali pulizie.
Va bene, osservano i giudici, voler tutelare la pulizia e il decoro degli spazi pubblici in questione, però il divieto tout court è misura illiberale e sproporzionata, e il risultato voluto può e deve essere perseguito altrimenti. L'obbligo del guinzaglio appunto, e possesso di sacchetti e/o paletta occorrenti, dal lato dei padroni, la presenza di un controllo ( la stessa persona che sta lì a farti rispettare il divieto di ingresso...) dal lato dell'amministrazione, e il gioco è fatto.
Apprendo altresì con soddisfazione che in altre regioni i Tribunali competenti si sono pronunciati in maniera analoga, e così i nostri amici a quattro zampe vincono un'altra piccola battaglia.
La notizia, insieme alla sentenza per esteso, è tratta dal sito LA LEGGE PER TUTTI che ringrazio per il servizio di gratuita informazione
Illegittima l’ordinanza del sindaco che vieta l’accesso ai luoghi verdi della città solo per mantenere pulite le aiuole e i prati.
Il sindaco non può impedire ai proprietari di cani di accedere ai parchi e agli altri luoghi verdi della città solo perché alcuni proprietari di animali, più incivili degli altri, non sono soliti ripulire i luoghi ove il proprio quadrupede lascia gli escrementi; tutt’al più l’amministrazione comunale può disporre un aumento dei controlli volti a verificare il rispetto delle norme sull’igiene pubblico da parte di chi ha al guinzaglio un cane. È quanto chiarito dal Tar Lazio con una recente sentenza [1].
A pagare per colpa di alcuni non possono essere tutti i proprietari di cani: chi non raccoglie i bisognini del proprio animale è responsabile e può essere soggetto a una multa; ma, per paura di sporcare le aiuole e i parchi pubblici, l’amministrazione comunale non può adottare un’ordinanza che vieti a qualsiasi cittadino, che porti a spasso il proprio cane, di accedere alle aree verdi. Diversamente si andrebbe a limitare la libertà di circolazione delle persone, violando anche i principi di adeguatezza e proporzione.
Il Tar Lazio ricorda che la raccolta degli escrementi è obbligatoria per legge ed il rispetto di questo onere può essere imposto con l’esercizio degli ordinari poteri di prevenzione, vigilanza, controllo e sanzionatori di cui dispone l’Amministrazione locale; se essa non ha gli strumenti per attuare tali misure di contrasto, non può obbligare tutti i proprietari di animali di accedere ai prati verdi.
Insomma, cani e padroni devono essere sempre liberi di circolare nei parchi pubblici, senza possibilità di vietare loro la circolazione a determinate aree “protette”. Spetta a chi ha in custodia l’animale di raccogliere i suoi escrementi e assicurarsi che questi non vengano lasciati per strada.
Insomma, animali liberi e senza pannolini, ma paletta e guanto ai padroni.
Tar Lazio, sez. II-bis, sentenza 27 aprile – 17 maggio 2016,
n. 5836
Presidente/Estensore Stanizzi
Fatto e diritto
Con il ricorso in esame l’associazione odierna ricorrente
impugna l’ordinanza – meglio indicata in epigrafe nei suoi estremi – adottata
dal Sindaco della resistente Amministrazione nella sola parte in cui è stato
disposto il divieto, per i proprietari e detentori di cani, di accedere in
tutte le aree verdi pubbliche. Tenuto conto che con riferimento a fattispecie
analoghe si è formato un consolidato e non contrastato orientamento della
giurisprudenza e ritenuto, su tale scorta, di poter procedere all’immediata
definizione nel merito del ricorso, di tale possibilità è stato formale avviso
alle parti ai sensi dell’art. 60 del codice del processo amministrativo, come
da verbale. Tanto premesso, va in primo luogo affermata – al contempo
disattendendo la corrispondente eccezione formulata dalla resistente
Amministrazione Comunale – la legittimazione dell’Associazione ricorrente
all’impugnazione in esame, perseguendo la stessa, quale fine statutario, la
tutela degli animali. L’Associazione ricorrente, alla luce dello scopo
statutariamente perseguito, può invero insorgere, avendone la legittimazione,
avverso atti che siano ritenuti – in astratto – in contrasto con il benessere e
gli interessi degli animali, incidendo l’eventuale effettiva lesione di tali
interessi, tutelati statutariamente dall’associazione ricorrente, unicamente
sull’eventuale infondatezza del ricorso, ma non sui presupposti processuali per
la sua proposizione. Erra, quindi, la resistente Amministrazione comunale
laddove riconduce l’affermato difetto di legittimazione della ricorrente –
oltre alla mancanza di un interesse previsto dal relativo statuto connesso al
contenuto della gravata ordinanza – alla insussistenza di una lesione
dell’interesse degli animali. Se, invero, per come dianzi accennato, nello
statuto dell’associazione ricorrente è ricompresa, tra gli scopi perseguiti, la
tutela del benessere degli animali, osserva il Collegio che, ai fini del
riscontro della legittimazione ad agire, deve aversi unicamente riguardo alla
astratta incidenza dei gravati atti sul bene protetto, in relazione alla
connessione esistente tra contenuto degli atti impugnati e interessi
perseguiti, di per sé legittimante alla relativa impugnazione, mentre la
concreta lesione di tali interessi attiene alla fase della valutazione della
fondatezza dell’azione quanto a legittimità di tale lesione. La legittimazione
di un’associazione va, invero, declinata sulla base della attinenza della
questione al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione,
richiedendosi che gli effetti del provvedimento controverso siano suscettibili
di incisione diretta sul suo scopo istituzionale, e dovendo invece ritenersi preclusa
ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse al corretto
esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia,
occorrendo comunque un interesse concreto ed attuale della stessa associazione
alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal contestato
provvedimento. Positivamente delibata la
sussistenza della legittimazione ad agire in capo all’associazione ricorrente,
ritiene il Collegio, in adesione al costante orientamento giurisprudenziale
formatosi su fattispecie analoghe (ex plurimis: T.A.R. Potenza, 17 ottobre
2013, n. 611; T.A.R. Reggio Calabria, 28 maggio 2014, n. 225; T.A.R. Milano, 22
ottobre 2013 n. 2431; T.A.R. Sardegna, 27 febbraio 2016 n, 128; T.A.R. Venezia,
12 aprile 2012, n. 502), che debba ritenersi la fondatezza del ricorso in
esame.
L’ordinanza sindacale che rechi il divieto assoluto di
introdurre cani, anche se custoditi, nelle aree destinate a verde pubblico –
pur se in ragione delle meritevoli ragioni di tutela dei cittadini in
considerazione della circostanza che i cani vengono spesso lasciati senza
guinzaglio e non ne vengono raccolte le deiezioni – risulta essere eccessivamente limitativa della libertà di
circolazione delle persone ed è comunque posta in violazione dei principi di
adeguatezza e proporzionalità, atteso che lo scopo perseguito dall’Ente locale
di mantenere il decoro e l’igiene pubblica, nonché la sicurezza dei cittadini,
può essere soddisfatto attraverso l’attivazione dei mezzi di controllo e di
sanzione rispetto all’obbligo per gli accompagnatori o i custodi di cani di
rimuovere le eventuali deiezioni con appositi strumenti e di condurli in aree
pubbliche con idonee modalità di custodia (guinzaglio e museruola) trattandosi
di obblighi imposti dalla disciplina generale statale, cosicchè il Sindaco può
fronteggiare comportamenti incivili da parte dei conduttori di cani, al fine di
prevenire le negative conseguenze di tali condotte, con l’esercizio degli
ordinari poteri di prevenzione, vigilanza,
controllo e sanzionatori di cui dispone l’Amministrazione.
Ed invero, le esigenze poste a fondamento della gravata
ordinanza risultano già compiutamente salvaguardate dalla disciplina vigente in
materia, che impone di condurre i cani al guinzaglio e di rimuovere le
eventuali deiezioni, dovendo quindi l’Amministrazione Comunale adoperarsi – in
luogo dell’indiscriminato divieto di accesso dei cani alle aree verdi pubbliche
– al fine di rendere cogenti tali misure mediante una efficace azione di
controllo e di repressione, in tal modo rendendo possibile il raggiungimento
del pubblico interesse attraverso strumenti idonei e nel rispetto del principio
di proporzionalità dei mezzi rispetto ai fini perseguiti. La gravata ordinanza,
pertanto, in relazione ai dichiarati scopi perseguiti, appare essere posta in
violazione dei principi di adeguatezza e di proporzionalità dell’azione
amministrativa, atteso che lo scopo di mantenere il decoro e l’igiene pubblica,
nonché la sicurezza dei cittadini, è già adeguatamente soddisfatto attraverso
l’imposizione, di cui alla disciplina statale, agli accompagnatori o custodi di
cani di rimuovere le eventuali deiezioni con appositi strumenti e di condurli
al guinzaglio. In conclusione, il ricorso in esame deve essere accolto, con
conseguente annullamento, in parte qua, della gravata ordinanza, nei limiti di
interesse. Le spese di giudizio, tenuto conto della peculiarità della
controversia e della natura degli interessi perseguiti dall’Amministrazione,
possono essere equamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio Roma – Sezione Seconda Bis
definitivamente pronunciando sul ricorso N. 3084/2016 R.G., come in epigrafe
proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla in parte qua il gravato
provvedimento. Compensa tra le parti le spese di giudizio. Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
[1] TAR Lazio sent. n. 5836/16 del 17.05.2016.
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