Ieri mi sono trovato a parlare con due sostenitori dell'Italicum.
Uno lo stimo sicuramente come persona molto intelligente, e colta, l'altro no, ma magari è solo perché lo conosco meno ( e non mi piace il suo carattere).
Diciamo che non depone a suo favore la ripetizione del mantra renziano del "conoscere la sera chi ha vinto".
Che una legge fondamentale per la democrazia abbia questo come elemento dirimente, mi sembra un'idiozia.
Sicuramente può essere una buona cosa, ma a condizione che un aspetto essenziale per i valori democratici, quale il raggiungimento di un adeguato consenso, sia stato rispettato. Altrimenti anche lanciando una moneta posso stabilire subito chi vince.
Al di là dei paradossi, ho più volte citato paesi che se la passano, da sempre e anche oggi, meglio di noi, per spiegare come possa capitare che l'elezione non designi un unico vincitore, senza che per questo crolli il mondo. A parte l'Italia dei primi 20-25 anni dalla nascita della Repubblica, dove comunque il sistema proporzionale non comportò governi incapaci di governare, più recentemente abbiamo l'esempio della Germania (due volte) e della GB, costretta, nonostante l'uninominale (l'esaltazione massima del maggioritario) ad un governo di coalizione tra conservatori e liberali per una volta nella storia del regno unito.
Nei sistemi presidenziali conclamati, come USA e Francia, non capita di rado, specie nel primo caso, che la maggioranza degli eletti al congresso non coincida col partito del presidente.
Sorgono difficoltà, ma non si muore.
Certo, in quei paesi, specie gli anglosassoni (ma anche in Francia, dove il concetto di Stato è molto forte sia a destra che a sinistra) le differenze tra le forze politiche non necessariamente diventano spaccature verticali come, almeno a livello retorico-mediatico, avviene da noi (nella pratica, per esempio, il partito della spesa pubblica pesca a piene mani trasversalmente, in tutti i partiti), e questo aiuta.
In ogni caso, di fronte all'obiezione che l'Italicum, così com'è, può consegnare una maggioranza assoluta e militare a un partito capace di raccogliere il voto di un solo italiano su 5 e quindi realizzare un qualcosa che con la democrazia ha poco a che vedere, ti rispondono : "si, in teoria l'obiezione è comprensibile, anche condivisibile, però i pregi sono superiori ai mali".
I pregi, sarebbero, come detto, sapere la sera chi è il vincitore (capirai !!) e avere un governo che possa governare.
Il secondo aspetto lo comprendo, e, dirò di più, sono anche disponibile a quotarlo, sacrificando il principio della maggioranza assoluta - e quindi accettare l'assegnazione di un premio al vincitore anche in mancanza del 50%+1 - a patto che però chi vince abbia un consenso adeguato. Il 40% me lo farei andar bene, se non fosse che questo vale a prescindere dall'affluenza al voto, problema che si ripropone comunque al ballottaggio.
A Roma Marino è stato defenestrato tranquillamente nonostante l'elezione e gli strepiti dei suoi sostenitori sono stati poca cosa, visto che alla fine si parlava di un sindaco che aveva ottenuto l'investitura da un quinto scarso dei romani.
Quando l'hanno giubilato, chi vuoi che protestasse ?
Non è questo un vulnus per la democrazia ?
Questo problema dell'Italicum ogni tanto qualcuno lo ripropone, inascoltato. Oggi, sul Corsera, tocca a Antonio Polito, che pure , sul principio noto che il meglio è nemico del bene, afferma per esempio che la riforma costituzionale alla fine andrebbe approvata, col voto referendario, nonostante i parecchi, evidenti difetti che presenta. Supera il bicameralismo perfetto, annulla gli effetti nefasti della riforma del titolo V (voluta stolidamente e pervicacemente dal governo Prodi, è bene sempre ricordarlo) e questi elementi, secondo Polito, hanno una valenza superiore ai difetti pure da molti rilevati.
Ma la legge elettorale no, così com'è non va bene nemmeno a Polito.
Ah, ritornando ai due interlocutori da cui sono partito, sono certo che almeno il secondo, ai tempi, sia stato un nemico acerrimo del "porcellum", ritenuto liberticida (per forza, era una legge berlusconiana, quindi la quint'essenza del male !) ebbene, l'Italicum, per certi versi, è peggiore di quella legge.
Dopodiché, il diavolo fa le pentole ecc. ecc. In diversi, Penebianco tra questi, hanno rilevato come questa legge "sartoriale", perché cucita addosso al PD renziano dopo le elezioni europee, rischi di rivelarsi un tragico boomerang, con la concretissima possibilità di perdere al ballottaggio contro i grillini.
In un sistema tripolare, come attualmente è il nostro, è fondamentale la condotta del terzo escluso. A parte quelli, tanti, che decideranno di astenersi, molti altri invece saranno determinati a votare "contro", a impedire che vinca l'avversario più detestato.
Ebbene, Renzi di antipatie a destra ne registra tante, sempre di più.
Per non parlare di quelli di "sinistra sinistra", che sicuramente non voterebbero mai un candidato di centro destra, ma un DI Maio contro Renzino, anche sì.
Non sono affatto certo che i due da cui siamo partiti piacerebbe un simile presepe...
Referendum La
RISPOSTA che manca
Ci sono molte buone ragioni per votare sì al referendum costituzionale. La prima delle quali è l’occasione storica che ci offre per liberarci dell’anomalia tutta italiana di due Camere che fanno le stesse cose due volte, eufemisticamente detta «bicameralismo perfetto». Sarebbe un premio cui il riformismo ambisce da molto tempo. Certo, quel premio viene con un prezzo, segnalato da molti e prestigiosi costituzionalisti. Il Senato devitalizzato come un dente malato, invece che trasformato in una vera e propria Camera delle Regioni; non più elettivo, composto di consiglieri regionali, non proprio il meglio della classe politica nostrana. E poi una procedura per la formazione delle leggi farraginosa e destinata ad aprire conflitti. E infine un forte indebolimento dell’autonomia legislativa delle Regioni (ammesso che questo sia un male: c’è chi non la rimpiangerà).
Eppure, per quanto si leggano le dotte discussioni apertesi tra sostenitori del sì e del no, è difficile convincersi che il prezzo sia superiore al premio. È vero, ci sono molti pasticci, e il testo che ne è venuto fuori non ha niente a che vedere con la chiarezza cristallina di quello dei padri costituenti. Ma spesso il meglio è nemico del bene, ed è sempre meglio del niente.
Però la grandissima maggioranza degli elettori non decideranno in base a questi ragionamenti, per quanto il perbenismo pubblicistico ci intimi di votare «sul merito». Gli italiani faranno una scelta politica.
E quando dico politica non mi riferisco a quelli che voteranno per partito preso, a prescindere, per colpire il governo o per sostenerlo. Quella è una minoranza di politicizzati. Tutti gli altri dovranno decidere se approvano il tentativo di Matteo Renzi di rendere più facile il comando del leader (oggi lui, domani chissà); di dar vita cioè non certo a un regime, come a parti rovesciate ora paventa Berlusconi, ma a un governo con pochi lacci e lacciuoli. Oppure se temono questo progetto, e preferiscono mantenere in vita un sistema di controlli e condizionamenti sul potere del leader, così che il governo non si trasformi mai in comando. Se non su Renzi, questo voto sarà dunque certamente e direttamente sul suo disegno politico, e senza la rete di protezione del quorum.
E infatti, per quanto non se ne parli più, si voterà indirettamente anche sull’Italicum, e cioè su una legge elettorale con il premio di maggioranza (pure questa un’anomalia tutta italiana) che può trasformare il partito che vince anche di un solo voto, qualsiasi siano le sue reali dimensioni elettorali, in un gigante parlamentare da 340 seggi, stipando e frazionando tutte le opposizioni (che nel tripolarismo nostrano possono rappresentare fino al 70-75%) nei restanti 290 seggi dell’unica Camera elettiva rimasta. Il finale al ballottaggio introduce di fatto l’elezione diretta del premier in un sistema sulla carta ancora parlamentare, dunque non dotato di tutti i necessari contrappesi al potere del vincitore.
Se a questo si aggiunge una certa insofferenza del premier Renzi per le opposizioni in Parlamento e per il dissenso in generale, che si manifesta non solo in atteggiamenti e stile di governo personale ma anche nell’aver quantomeno avallato un frenetico trasformismo parlamentare a destra e a sinistra, si comprende che dal punto di vista politico ci sono molte buone ragioni anche per il no.
La campagna del premier — crediamo — dovrà prendere sul serio quelle ragioni e provare a rimuoverle, se vuole strappare all’opposizione o anche semplicemente spingere alle urne chi non è mosso da conservatorismo costituzionale né da astio politico nei confronti del governo e ciò nonostante ne diffida. Nei confronti di questo elettorato l’argomento che si dice suggerito da Jim Messina, il guru americano ingaggiato per la bisogna, e cioè che con la riforma si risparmiano stipendi e senatori, è piuttosto un’aggravante, perché sembra confermare una insofferenza nei confronti della democrazia parlamentare. Perfino Giorgio Napolitano, il più autorevole tra i sostenitori del sì, avvertì in Senato sette mesi fa, quando la riforma fu approvata: «Al di là del disegno di legge in discussione bisognerà altresì dare attenzione a tutte le preoccupazioni espresse in queste settimane in materia di legislazione elettorale e di equilibri costituzionali». Finora non è successo. C’è da augurarsi che prima del referendum Renzi dia qualche risposta a queste legittime preoccupazioni, del resto analoghe a quelle che spinsero nel 2006 molti elettori a bocciare la riforma costituzionale di Berlusconi.
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