Antonio Polito si aggiunge alla lodevole schiera ( Ricolfi, Battista, anche Galli della Loggia potrei citare) di persone che sicuramente per preparazione, formazione ed intelligenza, possono collocare se stesse nel campo dell' élite intellettuale di cui però, lodevolmente, rinnegano riti, presunzioni e pregiudizi.
Nelle loro roccaforti, anni luce lontane dalle periferie che convivono con problemi quali immigrazione, povertà, sicurezza, le élite biasimano e dileggiano le classi sottostanti, preda di paure "esagerate", convinte, non si sa bene in base a quale fideistica convinzione, che la "ragione" (la loro...), alla fine tornerà a squarciare le nubi e ad illuminare la via del PROGRESSO.
Polito fa appunto alcune domande a queste categorie, avvertendole di non rimanere poi troppo male quando si celebra lo stanco rito delle elezioni e si accorgono che i miseri, gli ultimi, le vittime della disuguaglianza - da loro a torto vista come la ragione prima degli attuali profondi malesseri, laddove Polito mette in evidenza studi che confermano che il problema è dato dalla prolungata stagnazione economica e dalla perdita di benessere delle classi medio piccole - invece di affidarsi a LORO, quelli di Sinistra, e quindi storicamente depositari delle sorti magnifiche e progressive, scelgono rozzi leader populisti come Le Pen in Francia, Farage in GB, ora Trump negli USA.
sottovalutazioni
I populisti vanno presi sul serio
Voi pensate che sia davvero irrazionale, per un giovane disoccupato povero francese, temere la concorrenza per il lavoro di un giovane immigrato povero maghrebino? O per una famiglia che aspira a una casa popolare di Torino? O per una mamma che iscrive il figlio nella graduatoria di un asilo nido a Roma? Che risposte hanno dato le élite liberali, sinistra e destra tradizionali, a queste paure, tranne ripetere che sono esagerate? E chi può essere sicuro che le ricette per la sicurezza di Marine Le Pen siano destinate ad esiti peggiori di quelle seguite dal governo Valls, dopo Charlie Hebdo, il Bataclan, e il 14 luglio di Nizza? Oppure prendiamo la crisi economica. Donald Trump di sicuro mente nel descrivere uno stato prefallimentare dell’America (ma spesso i nostri governanti, per esempio qui in Italia, esagerano nel senso opposto). Eppure emigrazione delle produzioni, automazione e robotizzazione del lavoro, concorrenza del Made in China, sono fenomeni possenti e di lunga durata, che cambiano davvero la vita della gente e che, nel microcosmo di una famiglia, possono essere vissuti come una catastrofe.
Incapaci di simpatizzare con questo stato d’animo, o anche solo di spiegarselo, le forze politiche e intellettuali tradizionali preferiscono rifugiarsi nel mantra dell’ineguaglianza, generosamente fornito loro dal revival dell’antica koinè marxista. Il popolo sarebbe infuriato per la crescente ineguaglianza, per il trionfo del privilegio. E così, chissà perché, si rifugia sotto l’ala protettiva di un miliardario in America, oppure segue un aristocratico di Eton in Gran Bretagna. Il McKinsey Global Institute ha di recente pubblicato una ricerca dal titolo «Più poveri dei genitori», ripresa in un articolo di Martin Wolf sul Financial Times, che forse individua meglio l’origine dello smarrimento globale dei ceti medi. Seimila intervistati francesi, inglesi e americani hanno risposto di provare più angoscia nel confronto con il loro passato, con il passato di famiglie come le loro, che nel confronto con chi oggi sta meglio. Ciò che crea un senso di ingiustizia, perché interrompe la staffetta generazionale del benessere, è la lunga e profonda stagnazione dei redditi in termini reali. Tra il 65% e il 70% delle famiglie nelle 25 economie più ricche del mondo hanno avvertito una caduta del reddito nel periodo tra il 2005 e il 2014. L’Italia ha il record, l’arretramento riguarda quasi il 100% delle famiglie.
Prendersela con la diseguaglianza è facile per chi governa, perché può darne la colpa al sistema. Ma scambieremmo tutti volentieri dieci anni di crescita sostenuta dei nostri redditi con un po’ di diseguaglianza in più. Che cosa fanno invece le élite liberali dell’Occidente per combattere la vera causa della rivolta popolare, e cioè la stagnazione economica? Rispondiamo prima a questo, e poi possiamo ricominciare con le prese in giro della pittoresca America di Trump, delle sue mogli, delle sue figlie e dei suoi seguaci. Le élite politiche hanno bisogno di un linguaggio e di una strategia per curare le ferite dei loro elettorati. E ne hanno bisogno subito perché, per quanto possano irriderli, i loro avversari stanno vincendo. Prima capiscono che, come cent’anni fa, è finita la Belle Epoque, e più speranze avranno di non essere sopraffatti, insieme con l’ordine liberale che hanno costruito in settant’anni di pace.
leggo regolarmente ed apprezzo molto il suo blog e di solito evito commenti, ma questa volta mi sento di sollevare un'obiezione, anzi due: la prima è che la nuova destra sta vincendo non solo sulla spinta di paure vere, ma anche e soprattutto grazie alla creazione di paure FALSE (http://www.nytimes.com/2016/07/25/opinion/delusions-of-chaos.html?partner=rss&emc=rss); la seconda è che va benissimo denunciare le carenze propositive della sinistra (intesa nel senso generale di area progressista), ma anche riconoscendole si fatica a comprendere la preferenza per una destra che sul piano delle proposte è nella sostanza ancora più debole e fa leva quasi solo su messaggi evocavi e fuorvianti. In altre parole, nell'attuale scenario della comunicazione politica, siamo sicuri che le eventuali risposte che la sinistra riuscisse ad elaborare sarebbero apprezzate per il loro valore sostanziale? oppure quello che si chiede ai progressisti é di inseguire i salvini i farage e i trump sul loro terreno? perché se l'idea è di privilegiare la sostanza allora va bene la critica costruttiva, accompagnata però da uno sforzo un po' più convinto per smascherare i cialtroni; che oggi, stando ai fatti, stanno più a destra che a sinistra (e in Italia, più all'opposizione che al governo)
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