Tra due mesi ci saranno le elezioni in Francia e non è appuntamento da poco stavolta anche per i non incliti alle cose fuori di casa nostra.
Stavolta non è in ballo la solita sfida tra socialisti e liberali-gollisti, tra centrosinistra e centrodestra . E' un derby acceso nei toni ma meno nella sostanza, visto che la Francia è un paese dove comunque il senso dello Stato, il ruolo centrale e portante dello stesso è molto forte anche a destra. Parimenti, si tratta di uno Stato che deve essere efficiente, diversamente che da noi, e quindi anche quando sono i socialisti all'Eliseo il fatto che l'economia , e quindi le imprese, il lavoro, funzionino , è un obiettivo non trascurabile, nonostante la demagogia e gli obiettivi utopistici propri di quella parte. Insomma, Sarkozy e prima di lui Chirac, non sono certo stati dei presidenti liberali, ma molto più gollisti, e anche Mitterand dovette abbandonare presto i suoi sogni massimalisti.
Stavolta lo scenario potrebbe essere molto diverso, con la Le Pen data praticamente per certa al ballottaggio e quindi con la possibilità addirittura di ripetere il successo, imprevedile e demonizzato, di Trump negli USA.
Nel suo interessante articolo - sempre un po' complicato, ché francamente ci ho raccapezzato poco nella premessa storica degli anni della depressione, comprendendo di fondo che la Francia ebbe un ruolo negativamente importante nel determinarla - Fugnoli mette in guardia dalla possibilità che al ballottaggio arrivi non solo la Le Pen, ma anche Hamon, il candidato socialista in versione massimalista, con la sconfitta di Fillon (azzoppato dallo scandalo della moglie che, molto italicamente, veniva elargita di uno stipendio a spese dello Stato senza di fatto lavorare) e di Macron, l'uomo di "centro", oggi dato per favorito per la vittoria finale.
Ecco, i mercati, la Germania, in genere i moderati e benpensati d'Europa tifano per Macron, e si farebbero forse andar bene anche Fillon piuttosto che la Le Pen. Ma se invece al ballottaggio arrivasse il socialista ? Quest'ultimo difficilmente la spunterebbe in un testa a testa con la novella "Giovanna d'Arco" , senza il soccorso anti lepensita degli altri.
Un disastro, senza contare che nemmeno la vittoria di Hamon sarebbe comunque vista bene dai soggetti citati (ma sarebbe comunque un male minore, rispetto al terremoto Le Pen).
In effetti, i programmi dei due, Le pen ed Hamon, mettono i brividi ad un liberale, e non credo solo a noialtri.
Incrociamo le dita e accontentiamoci di Macron.
MARINE
L’esplosivo sotto la casa comune dell’euro
Da un paio di decenni la storiografia sulla Grande
Depressione degli anni Trenta, tradizionalmente centrata sugli Stati Uniti,
indaga il ruolo decisivo della Francia nel fare precipitare la situazione a
livello globale dopo il 1929. La
Francia rientrò nel sistema di cambi fissi rispetto all’oro
nel 1926 con un franco sottovalutato. Negli anni successivi ebbe quindi un
forte surplus commerciale che le permise di accumulare oro. Tra il 1929 e il
1931 la Francia
assorbì l’8 per cento di tutto l’oro esistente nel mondo senza sterilizzarlo,
senza cioè creare moneta per un importo equivalente. In casi analoghi la
sterilizzazione, fino alla Grande Guerra, era stata la regola (così come lo era
la distruzione di moneta da parte dei paesi che perdevano oro) ma il riavvio
del sistema negli anni Venti era avvenuto senza prevedere questa clausola
essenziale. La Francia
accumulò oro invece di spenderselo per mercantilismo, una politica che funziona
se sono solo in pochi a seguirla (non tutti i paesi possono essere in surplus
nello stesso momento).
L’8 per cento di oro ritirato dalla circolazione, al quale
va aggiunta una quota americana (anch’essa non sterilizzata), provocò la caduta
globale dei prezzi, il fallimento di molti debitori (e quindi dei loro
creditori) e l’esplosione della disoccupazione. La cosa ricadde in pieno sulla
Francia, che mantenne il cambio con l’oro mentre tutti gli altri paesi, uno
alla volta, svalutavano. Alla fine la Francia si ritrovò con tanto oro e tantissimi
disoccupati. La pressione sociale travolse il governo e portò al potere il
Fronte Popolare nel 1936. Il Fronte svalutò massicciamente e aumentò
aggressivamente le retribuzioni. Due anni dopo, esaurito il gruzzolo d’oro e
salita l’inflazione, il Fronte fu mandato a casa a sua volta, mentre
sull’orizzonte si profilavano la guerra, l’Occupazione e Vichy.
Vedremo tra qualche settimana se la grande stagnazione
francese seguita al 2008 porterà all’elezione di Marine Le Pen e a un nuovo
terremoto globale. La Francia
ha una delle opinioni pubbliche più irrequiete e insofferenti del pianeta e
periodicamente si lascia andare a esplosioni di rabbia a volte creativa, a
volte distruttiva.
I 144 punti del programma di Marine Le Pen sono una lettura
interessante. L’originalità sta nell’avere messo insieme elementi tradizionali
della destra sociale con elementi di sinistra pura e semplice. A questi si
aggiunge il chinarsi a raccogliere le bandiere iperlaiciste, anticomunitariste,
militariste e ultracentraliste della tradizione giacobina, persasi negli ultimi
anni per strada con l’annacquamento del carattere presidenzialista della Quinta
Repubblica, con la devoluzione di potere dal centro alle regioni e con
l’accettazione di forme di autogoverno di fatto nelle banlieues islamizzate.
Tocco finale del programma, il ritorno al sistema elettorale proporzionale, una
pugnalata alla costituzione del 1958 ma un’esigenza tattica vitale per un Front
National che potrebbe trovarsi a giugno un presidente senza deputati.
Oggi la
Francia ha di nuovo un minimo di crescita e ha un disavanzo
delle partite correnti modesto. Non è sotto pressione e non ha bisogno di
svalutare (lo stesso vale per l’Italia). Se però vuole regalarsi una portaerei
in più, un punto di Pil in più di spese militari, 40mila nuove celle di
prigione, 15mila nuovi poliziotti e gendarmi, l’età della pensione di nuovo a
60 anni, imposte più basse alle piccole imprese, pensioni di vecchiaia più alte
e imposte tagliate del 10 per cento per i primi tre scaglioni di reddito, tutti
punti del programma della Le Pen, allora i soldi deve farseli stampare della
Banque de France. E sarebbero franchi, naturalmente, non euro.
Il programma ufficiale parla (è il punto numero uno,
giustamente) di negoziati con i partner europei seguiti da un referendum
sull’appartenenza all’Unione Europea. Ufficiosamente i responsabili economici
del Front National hanno parlato di un’uscita dall’euro comunque in tempi brevi
e senza passare per un referendum, di un Qe di 100 miliardi di franchi l’anno e
di una svalutazione da negoziare (10-20 per cento se l’euro rimane in piedi,
liberi tutti se l’euro cessa di esistere).
Che probabilità ci sono che vinca la Le Pen ? Finora il mercato
ha dato per buoni i sondaggi, che indicano tanto Macron quanto Fillon vincitori
al ballottaggio con la Le Pen.
Va detto però che il loro vantaggio, nelle ultime settimane, è calato
considerevolmente (pur rimanendo ancora ampio). Soprattutto i mercati non
considerano l’ipotesi Hamon, l’ex socialista di sinistra, perché è accreditato
solo del 14 per cento. Se però Hamon riuscisse a fare desistere Mélenchon (11
per cento) il 14 salirebbe al 25 e il ballottaggio potrebbe benissimo essere
tra Hamon e la Le Pen.
Il programma di Mélenchon è quasi uguale a quello di Hamon, anche se il primo
propone di alzare l’aliquota d’imposta sui redditi superiori ai 360mila euro al
100 per cento mentre il secondo si accontenta del 75 attuale.
Il ballottaggio
Hamon-Le Pen vedrebbe un’esplosione di astensioni e un esito altamente incerto.
Hamon non è antieuro, ma con i suoi programmi onirici faticherebbe molto a
convivere anche con Schulz, non parliamo della Merkel.
Prima di correre a vendere consideriamo che, dovessero i
sondaggi indicare un ballottaggio Hamon- Le Pen, il più debole tra Macron e
Fillon (il secondo, per ora) subirebbe pressioni immense per desistere a favore
del più forte già al primo turno.
In questo caso la vittoria finale di un
centrista sarebbe certa e il sospiro di sollievo dei mercati sarebbe udibile
anche dalla luna. Ricordiamo che al voto francese mancano due mesi, non due
anni.
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