mercoledì 15 marzo 2017

PANEBIANCO E LA DEMONIZZAZIONE DEL PROPORZIONALE

Risultati immagini per proporzionale o maggioritario

Approfitto del nuovo articolo di Angelo Panebianco per rispondere alle osservazioni critiche di una carissima e attenta lettrice del Blog, la mia amica Caterina Simon.
Prendendo spunto da un articolo che riportava il pensiero di Pierluigi Battista, il quale difendeva determinati aspetti della stagione storica della Prima Repubblica ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/03/mieli-contro-battista-io-sto-col-secondo.html ), Caterina contestava la rivalutazione postuma di quella stagione politica, ricordando il succedersi dei governi, con tanto di stagioni "balneari", e osservando come "stabilità" - alla fine era quasi sempre il pentapartito, vale a dire DC PSI e i tre piccoli partiti laici, a formare la maggioranza - non significò governabilità.
Il pensiero di Caterina, bene articolato, lo potete leggere per intero come commento al post in questione.
Personalmente, anche io criticavo aspramente il consociativismo della prima repubblica, peraltro determinato da un fatto storico obiettivo importante : il PCI, il partito di opposizione principale, era forte di un consenso non banale (sempre almeno il 30% dei voti, arrivando fino al 35, in un'Italia dove l'astensionismo praticamente non esisteva e a votare andava il 90% degli aventi diritto, non il 70 scarso di adesso, che scende fin quasi al critico 50% nelle amministrative) e controllava due elementi fondamentali della Nazione : sindacati e scuola. Con il tempo anche la stampa si spostò sempre più a sinistra, si pensi a Repubblica, divenuto in pochi anni il giornale più importante insieme al Corriere della Sera, con il giornalone di via Solferino a volte diretto da uomini Liberal, più che liberali (mi riferisco a Paolo Mieli e prima di lui Piero Ottone), senza contare Tele Kabul, il terzo canale della RAI diretto dal comunista Sandro Curzi. 
Governare contro un partito che può mobilitare in piazza centinaia di migliaia di persone (anche più di un milione, con Cofferati, che bloccò la riforma del lavoro del primo Berlusconi) per bloccare la produzione con gli scioperi, non è semplice, crescendo l'ho imparato (osservando magari anche quello che accade altrove, per esempio in Francia).
Insomma, in democrazia, piaccia o non piaccia, serve il consenso, e per fare riforme importanti bisogna averne tanto e sufficientemente forte da riuscire a impostare programmi di medio lungo termine, sfidando le resistenze dell'opposizione e delle corporazioni.
La Seconda Repubblica, coi suoi cartelli elettorali che mettevano insieme Lega Nord ( federalista, quando non secessionista) con Alleanza Nazionale e UDC (fortemente centralisti entrambi), che cercava di coniugare la vulgata neo liberale di Forza Italia con lo statalismo e assistenzialismo sempre di AN e dei post democristiani di Casini e Mastella, non ha funzionato un granché, anzi (ho fatto l'esempio del centro destra; quelli di centro sinistra possibilmente erano anche peggio, unendo veramente di tutto, mettendo insieme Bertinotti, Mastella, Di Pietro..., e infatti tutte e due le volte Prodi, vincitore alle urne nel 1996 e nel 2006, non finì la legislatura).
Con questo non voglio difendere la Prima Repubblica, ché concordo con Caterina che dagli anni 70 in poi (meglio il ventennio precedente, dalla fine della guerra a quella degli anni '60) ci siamo sempre più inguaiati. Dico solo che la Seconda è stata una "rivoluzione" fallita.
E veniamo al problema, riproposto dal professor Panebianco, demonizzatore del sistema proporzionale, visto come la madre di tutti i mali.
Anche qui, una precisazione : a suo tempo votai a favore del referendum che introdusse il principio maggioritario in Italia e tuttora sono orientato a privilegiare questo sistema.
Però o si ha il coraggio di fare come in GB, con il maggioritario puro, l'uninominale secco, con mille duelli individuali e chi ha più voti vince il singolo seggio, e alla fine si contano i parlamentari ottenuti ( e in Gran Bretagna da un po' si parla di introdurre qualche elemento correttivo proporzionalistico, poiché non sembra giusto che un partito - i liberali - con anche il 10% dei voti non entri o quasi in Parlamento ), oppure non s'inventano strane alchimie legislative per soccorrere l'incapacità dei partiti di avere un consenso sufficiente per avere la maggioranza.
Per Panebianco, è evidente anche se non lo scrive, va bene un sistema dove un partito, con il 25%, anche il 20% dei voti dell'intero elettorato (quindi compresi gli astenuti) , possa, se è il meno debole, prendersi la maggioranza assoluta in Parlamento tramite un "premio", senza quindi il bisogno di concordare con altre forze politiche, necessarie per la maggioranza senza "aiuti",  un programma comune di governo. Eppure questo, le coalizioni. accadono in Germania, si sono realizzate anche in GB alle elezioni precedenti a queste ultime (governò per la prima volta nel Regno Unito una coalizione, formata da conservatori e liberali), oggi accade in Spagna. Tutti paesi dove non vanno poi così male le cose.
"Ma quelli sono paesi seri"...non mi pare una grande risposta.
Ma al di là del rispetto del principio di rappresentanza, indigesto a Panebianco, sbilanciato sulla governabilità, e invece correttamente difeso dalla Corte Costituzionale (che per questo ha bocciato prima il Porcellum e poi il ballottaggio dell'Italicum) , e che mi sembra difficile da discutere in democrazia, resterebbe, e lo ribadisco da mesi, un problema di EFFETTIVA possibilità di governare detenendo una maggioranza fittizia, costruita con alambicchi elettorali, e non corrispondente al consenso reale nel paese.
Da noi non riusciamo a tenere a bada le istanze corporative dei tassisti (tanto per citare una categoria particolarmente "robusta" nel difendere le proprie prerogative), figuriamoci a fare riforme strutturali serie e gravose, che incidano realmente sulla spesa pubblica, sul sistema del welfare, sulla tassazione.
Guardate quello che sta succedendo in America con Trump, che vuole usare le maniere forti, con il consenso vero di un quarto scarso degli americani...
Dopodiché Panebianco mette in guardia dalla vittoria dei penta stellati. Anche il Camerlengo non vorrebbe che ciò avvenisse, eppure :
1) Se accadesse, oh, bisogna stacce
2) Con l' Italicum sarebbe successo con conseguenze peggiori. Grillo sarebbe arrivato al ballottaggio e avrebbe stravinto con chiunque gli si fosse contrapposto, ché sinistra e destra, in parti consistenti, gli avrebbero dato il voto per far perdere il proprio nemico storico (vedi i casi di Roma e Torino, e prima a Parma e in altre decini di comuni e capoluoghi). A quel punto i penta stellati avrebbero avuto la maggioranza assoluta in Parlamento, il Governo, l'opzione sull'elezione del Capo dello Stato, e una posizione di potere in quella dei giudici costituzionali. Non male (in realtà scenario orripilante sempre, se tanto potere non avesse il suffragio popolare necessario).
3) Anche i penta stellati, con il proporzionale, dovranno cercarsi degli alleati. Saranno i leghisti di Salvini, i nazionalisti di Fratelli d'Italia ? Magari potrebbe essere, su un programma fondato sulla caccia ai migranti, all'uscita dall'euro se non dall'Europa...Non la vedo una cosa facile.
4) La palude prossima ventura. Può darsi, ma se il termometro mi dice che ho la febbre a 40, non è che risolvo rompendolo o prendendo uno che non funziona e non va oltre 36. Fuor di metafora, se non abbiamo partiti che catturano il consenso, che riescono a formale coalizioni poi effettivamente coese, ebbé non è con le leggi elettorali truffaldine che la risolviamo.




 

Coalizioni la grande illusione

di Angelo Panebianco

 Risultati immagini per no alle coalizioni in parlamento

Grande coalizione o grande confusione? Le prossime elezioni, quasi certamente, non ci daranno stabilità di governo. A causa della riesumazione della legge elettorale proporzionale. La classe politico-parlamentare, per le convenienze personali (di tutti) e i calcoli sbagliati (di alcuni), sta per consegnarci a un futuro di ingovernabilità. Le convenienze personali sono chiare. Conviene a tutti la proporzionale. Conviene ai singoli parlamentari che sanno di avere più probabilità di rielezione. E conviene ai partiti: con la proporzionale è difficile che un partito (anche piccolo) possa essere spazzato via. Si resta in gioco comunque, con buone probabilità di influenzare la formazione del prossimo governo o, nel peggiore dei casi, di avere voce in capitolo nella futura attività parlamentare. Con la proporzionale, infatti, grazie alle divisioni sempre presenti nelle coalizioni di governo, anche chi resta all’opposizione dispone, per lo più, di un potere di ricatto e di influenza. Fin qui le convenienze. Poi ci sono i calcoli. Quando si varano nuovi sistemi elettorali alcuni attori immaginano scenari futuri in funzione dei quali scelgono l’uno o l’altro sistema. Per lo più, tali scenari non si realizzano. Tra tutte le idee balzane che circolano sul dopo elezioni, la più balzana di tutte è quella che immagina la formazione di una «grande coalizione» (sic) fra Forza Italia e Partito democratico (più cespugli vari) imposta dalla forza dei numeri, dal fatto che potrebbe essere l’unica combinazione di governo in grado di fermare i Cinque Stelle.

In sostanza, secondo questo brillante ragionamento, Partito democratico e Forza Italia dovrebbero fare più o meno come i «ladri di Pisa», nemici di giorno e complici di notte. Botte da orbi in campagna elettorale, e poi un accordo di governo a elezioni avvenute imposto dalla necessità. Il tutto favorito dal fatto che con la proporzionale si torna all’epoca in cui le coalizioni di governo si formano dopo il voto, mai prima. L’idea è assurda per tre ragioni. Per formare una «grande coalizione» occorre, prima di tutto, che i partiti coinvolti rappresentino, insieme, almeno il settanta o l’ottanta per cento del Parlamento. Tenuto conto della frammentazione in atto, l’ipotizzata grande coalizione, nella più rosea delle ipotesi, non potrebbe superare di molto la soglia del cinquanta per cento. La seconda ragione è che una grande coalizione può durare solo se i partiti che le danno vita sono organizzazioni solide, coese e con un forte insediamento sociale. Ciò è necessario perché i leader possano imporre ai propri seguaci un’alleanza di governo «innaturale» che, inevitabilmente, diffonde malumori e risentimenti fra militanti ed elettori. Occorrono partiti forti (come la Cdu e la Spd tedesche) o, in subordine, un assetto costituzionale (il semi-presidenzialismo francese) che costringa a tali innaturali connubi. In mancanza di queste condizioni la grande coalizione non può funzionare. I partiti italiani, tutti, sono troppo deboli e internamente divisi, e i loro legami con gli elettori sono troppo fragili, perché siano in grado di impegnarsi nell’impresa. Anche il partito un tempo più forte, il Pd, è oggi debole. Per inciso, ridefinendo, al Lingotto, la struttura della leadership (ticket con Martina), Renzi punta a recuperare parte della forza perduta. Si vedrà poi se il tentativo avrà successo.

La terza ragione è che la stessa possibilità che si formi tale grande coalizione diventa un atout propagandistico formidabile nella campagna elettorale delle forze contrarie. Farebbero un fuoco di sbarramento tale da provocare la sconfitta dei ladri di Pisa. La proporzionale (contro il calcolo sbagliato di Berlusconi e di altri) potrebbe favorire proprio i Cinque Stelle. I quali, giustamente, cominciano a preoccuparsi delle future alleanze di governo.

La storia è imprevedibile ma, al momento, fra le varie combinazioni del dopo elezioni — governo di sinistra a guida Pd, governo di centrodestra, grande coalizione, governo a guida Cinque Stelle — l’ultima sembra la più probabile. Destinata a non durare, naturalmente. Poiché la combinazione di proporzionale e di partiti deboli garantisce al Paese solo un futuro di instabilità.

Dobbiamo prendercela con la classe politica che non riesce a fare nulla per scongiurare un simile esito? Solo fino a un certo punto. Ci sono in giro responsabilità anche più gravi. Quelle, per esempio, di potenti corporazioni interessate a che la politica resti per sempre debole: una politica debole, infatti, non è in grado di metterle in riga. Ci sono poi le responsabilità di chi perpetua certi aspetti deteriori della nostra tradizione culturale.

Dobbiamo augurarci che l’Europa non si sfasci perché se ciò accadesse, mentre altre democrazie reggerebbero, la nostra sarebbe a rischio. Anche per colpa di alcune indistruttibili (e false) idee di senso comune propagandate da certa «cultura alta». Mi riferisco alla cultura costituzionale italiana, e alla colpa di molti dei suoi più illustri esponenti: avere avallato l’idea secondo cui le democrazie non avrebbero bisogno di governi forti (secondo questa concezione il governo forte sarebbe l’anticamera di un regime autoritario). Una falsità: le democrazie muoiono, quando arrivano i momenti davvero difficili, se i governi sono troppo deboli per fronteggiare la sfida.

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