giovedì 9 marzo 2017

PANEBIANCO : IL PENSIERO EGEMONICO DEI 5 STELLE FRUTTO DELLA POCHEZZA ALTRUI

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Acuto ed utile, anche per ricordare, l'editoriale odierno del Professor Panebianco, che nel paventare la strisciante, crescente egemonia culturale del (non) pensiero pentastellato, ricorda quella del PCI, che anche io, ahimè, rammento fin troppo bene. Una differenza importante ancora c'è. Quella di allora si fece strada, e s'impossessò delle scuole e delle università. Soprattutto in certe facoltà, Lettere in primis, il mainstream sinistrese era assoluto, e non era immaginabile fare carriera da quelle parti senza quell'appartenenza. Il crollo drammatico del "socialismo reale" ha inferto duri colpi a quel sistema, che peraltro resiste, inevitabilmente visto che generazioni di docenti di vario livello sono venute su in quel modo, così come gli studenti di quegli insegnanti.
Il grillismo invece si diffonde per le strade, favorito dalla perdita del benessere diffuso, dalla crisi del sistema assistenziale a pioggia che assicurava il consenso al ceto governativo, quale esso fosse.
L' SP, il partito trasversale della Spesa Pubblica, non soffriva di crisi di governo : chiunque andava su, ricorreva a quello.
Da una quindicina d'anni la cosa non funziona più bene, e la gente è arrabbiata. Non è un problema di legalità, di corruzione, ma semplicemente la vacca non è più abbastanza generosa (mica che ha finito di elargire eh !!) per contentare tutti.
E quindi siamo arrabbiati, e cattivi.
Grillo e i suoi sono i nostri rappresentanti, quelli che per primi hanno cavalcato questa tigre, ed inseguirli non porterà bene.
Né a chi lo fa - si sceglie sempre l'originale dalla copia - né a noialtri italici tutti.


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nuova egemonia 

La resa culturale ai 5 stelle



 

In modo non coordinato, una pluralità di forze sembra agire ormai da tempo, con scarsa consapevolezza della posta in gioco, per offrire su un piatto d’argento il Paese al movimento Cinque Stelle, fornendo ad esso la possibilità di imporre, su una parte cospicua dell’opinione pubblica, una propria egemonia culturale.
Una classe politica sulla difensiva che non sa contrapporsi alla propaganda dei Cinque Stelle e anzi la subisce, molti mezzi di comunicazione che cavalcano, e amplificano, la cosiddetta «indignazione popolare contro la classe politica», le inchieste giudiziarie che toccando ogni giorno gangli vitali della vita pubblica, mantengono sulla graticola la democrazia, non consentono di attenuare lo stato di permanente delegittimazione della politica rappresentativa che ci trasciniamo dietro dai tempi (primi anni Novanta) di Mani Pulite.
Come scoprire se si è affermata una egemonia culturale? C’è un modo: se una qualsiasi falsificazione della storia viene messa in circolazione con intenti partigiani e se, dopo un po’ di tempo, si scopre che quella falsificazione è penetrata nelle menti di molti, diventando una verità di senso comune, una verità che le persone accettano come ovvia, auto-evidente, allora è possibile riconoscere che una egemonia culturale si è consolidata.

Durante la guerra fredda il Pci era escluso dai ruoli di governo ma la qualità dei suoi dirigenti e la forza della sua organizzazione erano tali che esso seppe trasformare varie falsificazioni della storia, messe in circolazione pro domo sua, in verità di senso comune, accettate come tali persino da una parte rilevante di non comunisti. Si pensi a come si diffuse, anche in ambienti lontani dal Pci, una espressione come «legge truffa», uno slogan contro la tentata (1953) riforma elettorale della Dc. Oppure, si pensi al successo propagandistico della tesi secondo cui fu la resistenza partigiana a liberarci dal fascismo (come se gli americani non c’entrassero per niente), una tesi che serviva al Pci a fini di legittimazione e che si trasformò in verità di senso comune anche per tanti non comunisti. O ancora, si ricordi con quanta abilità il Pci riuscì a convincere vari ambienti che la parola «sinistra» e la parola «anticomunismo» fossero incompatibili, talché l’anticomunismo poteva essere soltanto di destra (questa diffusa convinzione diede di certo un contributo alla sconfitta finale di Bettino Craxi). Gli esempi potrebbero essere moltiplicati e servirebbero tutti a dimostrare con quanta efficienza, in una condizione difficile, nell’Italia democristiana e alleata degli americani, i comunisti riuscirono a costruire una egemonia culturale che finì per diventare incontrastata in luoghi strategici per la trasmissione delle idee, dal mondo dello spettacolo alle Università.  
 

 Ho citato il caso del Pci perché fu un caso di parziale egemonia culturale ma anche per un’altra ragione. Per dimostrare che le egemonie culturali sono talvolta il frutto della capacità di chi le ha create ma altre volte danno un vantaggio a qualcuno senza particolari meriti di costui. L’egemonia culturale del Pci fu voluta e ricercata da gente di qualità (i dirigenti comunisti di allora). I Cinque Stelle potrebbero beneficiare di una egemonia culturale non per meriti propri ma per dabbenaggine altrui, perché altri ne hanno creato le condizioni.
I Cinque Stelle stanno costruendo una egemonia culturale limitandosi a fare il loro mestiere: attaccare ogni giorno la democrazia rappresentativa. Nel loro caso, il contrasto alla democrazia rappresentativa (come provano le loro origini: i Vdays, l’utopia pseudo-democratica e illiberale di Casaleggio), è la loro più autentica ragione sociale. La combattono praticamente senza incontrare resistenza, sferrano attacchi con la porta avversaria vuota: coloro che dovrebbero difenderla sono scappati oppure restano silenti, oppure si sono uniti al quotidiano linciaggio mediatico della democrazia (l’unica possibile: quella rappresentativa appunto) pensando, puerilmente, che i Cinque Stelle si possano sconfiggere solo dando loro ragione.
I Cinque Stelle sono i portavoce di una parte del Paese che della democrazia rappresentativa vorrebbe sbarazzarsi (“« politici? Tutti ladri»). Si tratti di colpire quel pilastro della rappresentanza moderna che è il divieto del mandato imperativo, di abbattere i privilegi dei parlamentari (stipendi, vitalizi) o di affermare la presunzione di colpevolezza in caso di inchieste giudiziarie che riguardino gli avversari, i grillini non incontrano vere opposizioni. Gli altri sono incapaci di restituire colpo su colpo, sembrano dare per scontato che la battaglia sia perduta. Nessuno che si batta con energia per far capire che i parlamentari non sono cittadini come gli altri (non rappresentano se stessi ma elettori che hanno dato loro fiducia) e per difendere dignità e insostituibilità della democrazia rappresentativa. Ad essere maliziosi si potrebbe osservare che questi attacchi avvengono proprio quando la classe politica è particolarmente debilitata e fragile, in balia di forze, amministrative e giudiziarie, molto più potenti. Non credendo nelle cospirazioni, ci limitiamo a constatare la diffusione di alcune «verità di senso comune» (falsificazioni della realtà) sulle presunte nefandezze della democrazia rappresentativa che segnalano lavori in corso: la costruzione di una egemonia culturale destinata forse a durare.

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