Francamente non volevo credere che quello che leggevo sui giornali riguardo al piccolo Charlie fosse esatto.
La drammatica vicenda vede un cucciolo d'uomo affetto da una malattia degenerativa e inguaribile, i cui effetti esiziali sono meramente ritardati dalle macchine ospedaliere. I medici si sarebbero ad un certo punto rivolti ad una Corte britannica per essere autorizzati a interrompere l'assistenza meccanica, accelerando la morte del bimbo, sull'assunto che lo stesso poteva soffrire.
I genitori stanno lottando per tenerlo in vita, aggrappandosi alla speranza che cure sperimentali possano, se non guarirlo, consentirgli una più lunga e adeguata sopravvivenza.
Messa in questi termini, la decisione dei medici inglesi e della Corte britannica mi sembra sbagliata.
Addirittura inaccettabile nel momento in cui una diversa, e seria, struttura ospedaliera, come il Bambin Gesù di Roma, si offre di accogliere il bambino per appunto tentare una cura che potrebbe farlo sopravvivere più a lungo, immagino senza sofferenze.
Gli inglesi rispondono negativamente, perché non ci sarebbe la certezza di questa "non sofferenza".
Già, a loro basta la possibilità della stessa per decidere che Charlie è meglio che muoia.
In tutto questo, la sensazione opprimente e inaccettabile di uno STATO DIO che decide sopra tutto, a dispetto dei sentimenti di chi quel bambino lo ha messo al mondo, è dura da accettare.
Per carità, so bene che a volte l'egoismo dei familiari, in questo caso i genitori, altre volte possono essere coniuge e/o figli, costringe persone in situazioni di effettiva sofferenza e "non vita", a respirare solo con l'ausilio delle macchine, in quello che viene chiamato accanimento terapeutico.
Ma non mi sembra il caso di Charlie, tenuto conto che si parla di una cura sperimentale che potrebbe portare del giovamento. Certo, potrebbe non funzionare, ma perché impedire ai genitori di tentare ?
Carlo Rimini, noto docente universitario e avvocato, spiega bene, su La Stampa, le ragioni in diritto per cui le scelte inglesi appaiano prepotenti e "sovrane", così come l'"accanimento giudiziario" non sembra meno disdicevole, anzi, rispetto a quello, presunto, terapeutico.
Per fortuna pare che l'opinione pubblica si sia mossa e si sa che i politici sono sempre sensibili al consenso. Per cui alla chiusura di un Ben Johnson, che ringrazia l'Italia ma rifiuta l'aiuto perché non rispondente, secondo lui e i suoi consiglieri immagino, alle regole inglesi, risponde l'apertura del premier May, sostenuta da decine di deputati che invece spingono perché questo tentativo ulteriore di cura non venga scartato a priori.
Sullo sfondo, la sensazione è che per gli anglosassoni tenere in vita Charlie costi ormai troppo, ma siccome questo non si può dire, allora si parla di "sofferenza", e loro, non si sa come, sanno che nessun altro medico potrà alleviarla.
God save Charlie.
La sentenza sul dolore del piccolo
CARLO RIMINI
Di fronte a due genitori che lottano disperatamente per tenere il loro bambino in vita e sono impotenti di fronte alla decisione dell’ospedale in cui il piccolo è ricoverato di iniziare le operazioni che lo porteranno alla morte, si prova un senso di vertigine. I fatti sono descritti in modo molto dettagliato, quasi puntiglioso, dalle sentenze inglesi che hanno deciso che le cure devono essere interrotte.
I punti fermi sono questi. a) L’ospedale in cui il piccolo Charlie è ricoverato, rispettando le rigorose procedure inglesi previste per questi casi, ha deciso che continuare a curare il bambino è una forma di accanimento terapeutico poiché non vi è più alcuna possibilità di tenerlo in vita o comunque di riportarlo ad una vita consapevole. b) I genitori ritengono invece che possa essere tentata una cura sperimentale praticata in un ospedale americano dove il bambino potrebbe essere trasferito. c) I medici americani hanno confermato ai giudici che la cura sperimentale non è mai stata tentata su pazienti nelle condizioni di Charlie e molto probabilmente non avrà su di lui alcun effetto e comunque non potrà riparare i danni cerebrali già subiti, ma si può comunque tentare poiché certo non aggraverà la situazione.
Le regole giuridiche per affrontare una situazione così drammatica sono semplici. Sono uguali in Inghilterra ed in ogni Stato civile. a) Sono i genitori a fare le scelte relative al figlio e ciò fino a che la responsabilità genitoriale non è limitata da un giudice; b) L’autorità giudiziaria può limitare la responsabilità genitoriale solo se i genitori prendono decisioni pregiudizievoli per il figlio. Questo significa che solo di fronte alla prova che una decisione crea un pregiudizio, la responsabilità genitoriale può essere limitata e l’autorità giudiziaria si sostituisce al genitore nella valutazione del migliore interesse del bambino.
La frase chiave della sentenza inglese è quindi questa: «I medici dell’ospedale che ha in cura il bambino non escludono che egli possa provare dolore». È la questione dirimente perché se Charlie prova dolore allora è vero che i genitori vogliono inutilmente prolungare la sua sofferenza ed è vero che vogliono compiere un atto (cercare di farlo sopravvivere) che porta al bambino un pregiudizio (una sofferenza inutile). Se invece il fatto che possa provare dolore è una mera ipotesi improbabile (come è improbabile che la terapia alternativa gli giovi), allora la limitazione della responsabilità genitoriale è ingiustificata. Di fronte a una semplice ipotesi - «non escludono che possa provare dolore» - rimane una sensazione: è un accanimento giudiziario. È il loro bambino e sta morendo: lasciate loro almeno la libertà di sbagliare.
I punti fermi sono questi. a) L’ospedale in cui il piccolo Charlie è ricoverato, rispettando le rigorose procedure inglesi previste per questi casi, ha deciso che continuare a curare il bambino è una forma di accanimento terapeutico poiché non vi è più alcuna possibilità di tenerlo in vita o comunque di riportarlo ad una vita consapevole. b) I genitori ritengono invece che possa essere tentata una cura sperimentale praticata in un ospedale americano dove il bambino potrebbe essere trasferito. c) I medici americani hanno confermato ai giudici che la cura sperimentale non è mai stata tentata su pazienti nelle condizioni di Charlie e molto probabilmente non avrà su di lui alcun effetto e comunque non potrà riparare i danni cerebrali già subiti, ma si può comunque tentare poiché certo non aggraverà la situazione.
Le regole giuridiche per affrontare una situazione così drammatica sono semplici. Sono uguali in Inghilterra ed in ogni Stato civile. a) Sono i genitori a fare le scelte relative al figlio e ciò fino a che la responsabilità genitoriale non è limitata da un giudice; b) L’autorità giudiziaria può limitare la responsabilità genitoriale solo se i genitori prendono decisioni pregiudizievoli per il figlio. Questo significa che solo di fronte alla prova che una decisione crea un pregiudizio, la responsabilità genitoriale può essere limitata e l’autorità giudiziaria si sostituisce al genitore nella valutazione del migliore interesse del bambino.
La frase chiave della sentenza inglese è quindi questa: «I medici dell’ospedale che ha in cura il bambino non escludono che egli possa provare dolore». È la questione dirimente perché se Charlie prova dolore allora è vero che i genitori vogliono inutilmente prolungare la sua sofferenza ed è vero che vogliono compiere un atto (cercare di farlo sopravvivere) che porta al bambino un pregiudizio (una sofferenza inutile). Se invece il fatto che possa provare dolore è una mera ipotesi improbabile (come è improbabile che la terapia alternativa gli giovi), allora la limitazione della responsabilità genitoriale è ingiustificata. Di fronte a una semplice ipotesi - «non escludono che possa provare dolore» - rimane una sensazione: è un accanimento giudiziario. È il loro bambino e sta morendo: lasciate loro almeno la libertà di sbagliare.
CATALDO
RispondiEliminaStefano , credo che Carlo Rimini spieghi molto bene la questione ed il dilemma profondo dietro di essa. Una persona adulta può chiedere che gli stacchino la spina e manco dovunque , da noi deve pure emigrare, pur di non soffrire. Ma per il bambino siamo sicuri che i genitori siano i migliori giudici? In Inghilterra e' stato nominato un tutore terzo , il punto è questo ed e' difficile avere certezze. I soldi non c'entrano
Cataldo io non vedo perché a dei genitori si debba impedire di fare tutto il possibile, in considerazione che ci sono medici seri che avallano la possibilità di questo tentativo. E Carlo Rimini mi sembra d'accordo. E' lui che usa il termine di "accanimento giudiziario" . Mentre in altro articolo ho letto del dubbio che, dietro la decisione, ci sia anche del pragmatismo anglo sassone sul rapporto costi-benefici della particolare situazione. Ora, francamente non so come funzioni il sistema sanitario inglese, ma che quello americano sia attentissimo a questo aspetto, è diventato luogo comune, per quanto ribadito e sottolineato. Poi certo, che si tratti di un dramma è sicuro, Ma per quei genitori, in primis.
EliminaCATALDO
EliminaStefano, purtroppo nessun medico serio avalla serie possibilità di cure, neanche i medici americani.
E comunque non ho certezze, neanche sul fatto che i genitori facciano SEMPRE la scelta migliore
Ma, quelli del Bambin Gesù sembrano più possibilisti, ma tu dirai che è perché sono cattolici... Io leggo , e sono d'accordo con Rimini che, in mancanza di certezze, o alta probabilità, che il bambino soffra, si dovrebbe lasciar decidere i genitori. Non perché facciano necessariamente la scelta migliore, ma, in mancanza di certezze, appunto, meglio che sbaglino loro. Hanno più diritto dello Stato.
EliminaCATERINA
RispondiEliminaChe dire...Un più bel tacer non fu mai scritto... Le sofferenze dei genitori, del bambino, il dilemma etico, giuridico, davvero non so che pensare. In realtà anche i medici americani ideatori della cura sperimentale concordavano che dopo l'ultima, devastante crisi dello scorso gennaio, gli eventuali benefici sarebbero stati nulli. D'altra parte però perchè non lasciarli tentare, SE il bambino soffre? Ma se non fosse così? la certezza pare non esserci, cosa deve prevalere? e fino a che punto il genitore ha il diritto di decidere? Chi stabilisce se il giudizio del genitore è EFFETTIVAMENTE la scelta migliore per il bambino? Io a tutto non mi sento all'altezza di rispondere
iO RIBADISCO la mia condivisione dell'opinione di Rimini, se non c'è certezza - accetto anche un principio di alta probabilità, rifiuto quello di possibilità - che il bimbo soffra, a decidere devono essere i genitori.
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