Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
giovedì 12 ottobre 2017
IL NODO CATALANO : LA CONTESA DEL CITTADINO CONTRIBUENTE E L'EGOISMO DOMINANTE
Ho letto e riletto la riflessione dell'amico Mauro Anetrini (gli amici del Camerlengo ormai lo conoscono, sanno che è un bravissimo ed appassionato avvocato, un orgoglioso liberale - liberista, dispensatore di scritti di varia natura, a volte anche toccanti, comunque sempre interessanti) sulla questione catalana.
La rilettura non era data dalla complessità del concetto, viceversa molto chiaro, ancorché con uno spunto pregevolmente originale, rispetto alla maggior parte dei commenti fin qui letti , ma dall'incipit, in cui sembra che Mauro dia per probabile un mio dissenso da quanto da lui scritto.
Ebbene, ripensando ai vari post - ormai più di qualcuno - dedicati alla brutta vicenda (è sempre brutto quando gli egoismi prevalgono, ancorché abilmente camuffati da afflati ideologici e/o identitari ) francamente mi domando cosa abbia indotto Mauro a immaginarmi dissenziente.
I Catalani vogliono andarsene perché immaginano di stare meglio, tenendosi tutti i soldini per sé senza darne una parte alle regioni della Spagna più povera che NON sono la Castiglia e Madrid (contribuenti ancora più onerati dei catalani) , ma l'Andalusia, la Galizia...
E il governo di Madrid, con l'appoggio dei socialisti del PSOE (quel che ne resta...),è contrario, spiega Mauro, non per un problema territoriale, o di perdita di chissà quali ricchezze in materie prime - in Catalogna non ci sono petrolio, gas, diamanti, oro - bensì di "contribuenti", leggi sudditi da spennare, con le tasse.
Perché non dovrei essere d'accordo ?
Semmai, potrei obiettare molta di quella gente, ma non saprei se la maggioranza, questa lettura in chiave " marxismo attualizzato", per cui tutta la storia sarebbe centrata su pulsioni economiche, non la condividirebbe. Quantomeno me lo domando, restando d'altra parte perplesso pensando come tanto indipendentismo, in una regione ricca e con libertà ampie, con tanto di lingua propria ufficiale, francamente sia difficile da spiegare come l'istanza di libertà di un popolo oppresso...
E però nemmeno mi spiego come le piazze si gremiscano di così tanta gente, ieri delusa ferocemente dalla mancata dichiarazione di indipendenza. Questi sembrano crederci veramente, non ci fanno !
In conclusione, credo che il boccino di Mauro c'entri l problema politico effettivo, ma lì, a forza di propaganda, c'è tanta, troppa gente che crede alla vulgata "nobile", con una serie di miti che pure bene il quotidiano nazionale El Pais ha provato ad affrontare e demolire. Ne parliamo in un altro post.
Resta il mistero di un incipit, quello sì rimasto incompreso.
Vabbè Mauro, non ti preoccupare, vuoi sapere una cosa dove non siamo d'accordo ? : sei un liberista "puro", io piuttosto annacquato.
Tempo fa seguivo un po' le iniziative del Tea Party, un gruppo ispirato a quello americano, ferocemente liberista, con la sua guida di allora (forse anche oggi, non so), Giacomo Zucco, persona in gamba ed intelligente, che si definiva "anarco capitalista", e che sognava un mondo senza stati, governato dal capitalismo autoregolante attribuito ad Adam Smith. .
Io anche sono per uno stato leggero, il più possibile, però credo alla pubblica istruzione, alla sanità, alla polizia, alla giustizia e alla difesa nazionali. Vedo e biasimo gli sprechi, che regnano sovrani specie nelle prime due branche (per non parlare dell'inefficienza dei tribunali) e farei correttivi importanti, ma i liberisti duri e puri del Tea Party concepiscono solo la sfera privata.
Ecco, per me è troppo, per l'amico Mauro forse meno.
E così abbiamo trovato una diversità e siamo più sereni.
Il post è pregevole, come sempre, e lo leggerei.
Non sono certo che l'amico Stefano Turchetti sia d'accordo con me anche questa volta: lo spero, ovviamente, consapevole comunque del fatto che, qualora così non fosse, ce ne faremo una ragione, conviti come siamo entrambi di non essere i depositari della verità.
Partiamo di qui.
Ieri sera ho seguito il discorso di Puigdemont e i successivi commenti; ho visto, ieri come il primo di ottobre, la gente in piazza; ho letto i giornali. Insomma: ho cercato di capire che cosa succede nella penisola iberica e mi sono chiesto che senso abbia tutto ciò che accade per uno che si sente europeo, almeno quanto si sente italiano.
Quasi istintivamente, mi sono venute in mente l'Alsazia e la Lorena, terre da sempre contese, passate ripetutamente di mano anche in tempi brevissimi.
No, mi sono detto, non ci siamo. Qui la storia è diversa.
Allora ho volto lo sguardo a Danzica, casus belli del secolo scorso, terra di ariani assoggettati ai polacchi.
Niente da fare. Comparazione impossibile.
Infine, ho immaginato le rivendicazioni su Gibilterra (o sul Kuwait), lembo di Spagna in mano agli inglesi.
Neppure questo va bene.
Allora, mi sono detto: non è la terra, ma le persone. La dissoluzione dei confini e delle pretese di composizione del quadro etnico appartengono al passato. Oggi, le persone si concentrano intorno ad interessi e li trasformano in ordinamento giuridico o provano a farlo.
Puigdemont - nonostante il comune denominatore di una lingua - non rappresenta un nazione se non a parole. Non nel senso inteso da Carl Schmitt, almeno (anche perchè di libertà ne abbiamo assai, catalani o castigliani che siamo).
La Catalogna è un centro di interessi e di persone che vogliono affrancarsi da altre persone, confidando in un futuro economicamente più roseo, vale a dire fiscalmente alleggerito.
Se mi sono avvicinato al boccino (se, cioè, sono vicino al vero), la questione è più grave di quanto non si possa immaginare e finirà per contaminarci tutti.
L'oggetto della contesa, in questa prospettiva, non è un lembo di terra - magari arricchito da miniere - ma il contributo di imposta versato dalle persone, che hanno trovato nel fisco il più potente pretesto per liberarsi.
Potremo anche cedere metà del territorio nazionale, ma non rinunceremo mai ad un solo contribuente. Ora, lo sa anche il contribuente.
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