Che le democrazie non godano di buonissima salute anche nel mondo occidentale, vale a dire la sola parte dove in realtà trovano discreta applicazione, lo si vede da un po'.
Globalizzazione, con la concorrenza sleale di economie crescenti e soprattutto prive dei costi propri di quelle occidentali (causa welfare e sindacati in primis) e violenta (di massa e incontrollata) immigrazione alla base del malcontento che ha fatto venire in uggia un sistema, quello democratico, che ha obiettivamente diversi limiti, soprattutto sul piano della velocità delle decisioni, ma che resta, mediamente, il migliore (o il meno peggiore, se volete).
Il tiranno illuminato, alla Pericle, per citare l'uomo che nella storia viene generalmente identificato così, ti assicura magari per 30 anni un buon governo. Ottaviano Augusto assicurò la pax romana alla Roma imperiale, dove la Repubblica era stata lacerata negli ultimi decenni da sanguinose guerre civili, e via via potremmo risalire nella storia individuando qua e là personaggi autoritari e capaci, che al netto delle manie, privilegi a anche prepotenze tipiche di chi detiene un grande potere, governarono bene i loro popoli.
Gli esempi contrari sono di più.
E negli esempi contrari non si registra solo il mal governo, ma spesso la repressione feroce e assassina dei sudditi ( o cittadini) dissidenti o semplicemente sospettati di essere tali.
Senza contare la restrizione grande delle libertà individuali. Anche nelle nostre democrazie, molto inquinate dalla solidarietà calata dall'alto (curioso il concetto di solidarietà forzosa), dall'intervento pubblico soffocante, dallo stato padre (e padrone), la libertà è confinata, ma nei sistemi totalitari (e tali sono anche le finte democrazie latino americane, o stati fortemente autocratici come la Russia, la Cina, l'India) è veramente solo finzione.
Tutto questo per dire che l'allarme lanciato da Panebianco deve essere meditato con serietà.
Personalmente, finché restiamo agganciati all'Europa, e all'aiuto finanziario della Banca europea, non penso che sia facile il sorgere di governi autocratici che rivoluzionino le regole generali più diffuse tra i maggiori paesi del continente.
Però meglio non correre rischi, e privilegiare le formazioni moderate.
Magari non sapranno governare, ma in Italia, da sempre, è già una cosa buona se si assiste ad una decente amministrazione. Il governo Gentiloni, in questo senso, è un discreto esempio, sulla scia dei tanti governi DC ed alleati della prima Repubblica.
Quindi, secondo me, gli elettori moderati di sinistra, centro e destra hanno due scelte a seconda della loro predisposizione (più liberali o più socialdemocratici) : Forza Italia o PD. Al limite, se proprio Berlusca e Renzi sono intollerabilmente indigesti, i centristi della coalizione di centrodestra, Noi con l'Italia, nella speranza che superino almeno l'1%, da un lato, e Più Europa della Bonino, dall'altro.
Non mi dispiace la Meloni, ma la vedo chiusissima al piano B, vale a dire un compromesso parlamentare coi renziani nel caso, probabile, che il centro destra non conquisti la maggioranza dei seggi alle due Camere, e quindi mi aiuto con un gastroprotettore e voterò come sopra.
Panebianco pone poi l'accento su un aspetto assolutamente trascurato, ormai da decenni direi, della campagna elettorale, vale a dire la collocazione internazionale dell'Italia.
Eppure, ricorda il professore, in passato stare o no sotto l'ombrello atlantico non era indifferente, e la svolta epocale di Berlinguer fu proprio nell'ammettere coi compagni che tutto sommato si sentiva più sicuro da questa parte...
Oggi i russi vanno molto di moda, e sicuramente Putin è un'autocrate capace. Ma scegliere di passare sotto l'ala russa, dopo 70 anni di pace garantita dallo stare nella Nato a guida americana, mi sembra veramente un cambiamento epocale e assolutamente negativo.
Buoni rapporti con Mosca sì, ma sempre meglio Washington, e certo non solo per debiti di gratitudine (sono loro che ci hanno liberato, altro che partigiani, loro che hanno consentito la ricostruzione nostra, e dell'Europa, col piano Marshall e ancora loro a garantire la pace nel continente) che in politica non valgono.
Certo, oggi c'è Trump, con tutte le perplessità del caso, e ieri l'imbelle e pallido, nonostante la razza, Obama.
Ma torneranno buoni presidenti (come Reagan, Clinton e anche Bush padre), e saranno uomini democratici.
Buona Lettura
La posta in gioco per il Paese
Al momento, certe rilevazioni demoscopiche indicano la
possibilità di un’Italia divisa politicamente in tre tronconi: centrodestra al
Nord , Partito democratico al Centro, Cinque Stelle al Sud
di Angelo Panebianco
Anche se si limitano a dirlo nelle conversazioni private,
alcuni pensano che le elezioni della prossima settimana ricordino, per certi
versi, quelle del 18 aprile del 1948. Le circostanze internazionali e interne
sono naturalmente diversissime. Tuttavia — pensano costoro — un elemento di somiglianza
c’è: oggi come allora la posta in gioco è la democrazia. Non nel senso che ci
sia oggi(a differenza dell’altra volta)una immediata minaccia alla sua
sopravvivenza ma nel senso che queste elezioni potrebbero spingere il Paese
lungo un piano inclinato, percorso il quale(magari solo fra qualche anno)
diventerebbe pressoché inevitabile qualche «aggiustamento» in senso
autoritario. Anche chi scrive lo pensa. Ma perché i confronti storici non
risultino ridicoli o assurdi occorre specificare bene dove stiano le differenze
e dove le somiglianze.
Cominciamo dalle somiglianze. Allora come oggi esistono nel
Paese robuste correnti di opinione ostili alla democrazia rappresentativa ,
correnti che vogliono imporre la «vera democrazia». Queste correnti evocano(in
salsa prevalentemente sovietico-comunista allora,in salsa prevalentemente
populista-latinoamericana oggi)cambiamenti dell’organizzazione sociale,
economica e politica poco compatibili con il mantenimento di una società
pluralista e libera.
Un altro cruciale elemento di somiglianza fra allora e oggi
sta nel bivio in cui si trova il Paese per quanto riguarda la sua collocazione
internazionale. A seconda degli equilibri post-elettorali la nostra posizione
internazionale potrebbe anche subire, nel tempo, rilevanti cambiamenti.
Potrebbero allentarsi i legami atlantici. Potrebbero anche esserci tentativi
(naturalmente difficili da realizzare)— in nome del cosiddetto sovranismo — di
allentare i legami europei. Un rapporto solidale con la Russia potrebbe sostituire
progressivamente quello con gli Stati Uniti. Per essere più precisi bisogna
dire che tutte le forze politiche italiane, nessuna esclusa, intendono oggi
mantenere un rapporto di amicizia e di collaborazione con la Russia. Ma alcune
vorrebbero di più: vorrebbero sostituire la Russia agli Stati Uniti come grande potenza di
riferimento dell’Italia. Insomma, la più vistosa somiglianza fra il ‘48 e oggi
è che in entrambi i casi sono presenti formazioni antisistema che hanno una
forte presa su una parte ampia dell’opinione pubblica.
Poi, come è ovvio, ci sono le differenze. La più importante
di tutte naturalmente riguarda il fatto che le elezioni del ‘48 si verificarono
in un’arena internazionale spaccata politicamente in due: di là il comunismo a
guida sovietica, di qua la democrazia e l’economia di mercato a guida
americana. Per conseguenza le elezioni italiane avvennero in un clima di
polarizzazione (nel senso di una divisione fra due soli campi): la scelta,
netta e chiara, era fra Mosca e Washington. La polarizzazione interna,
italiana, era un riflesso della polarizzazione internazionale.
Oggi non c’è polarizzazione all’interno del Paese perché non
c’è polarizzazione ma piuttosto confusione — una pluralità di fratture che si
intersecano in vari modi — nell’arena internazionale. Questa confusione è
responsabile del fatto che, a differenza di quanto accadde nel 1948, fatta
eccezione per qualche appello pro o contro l’Europa, la politica internazionale
sia stata assente in questa campagna elettorale. Una «assenza ingiustificata»,
potremmo dire, se si considera che la democrazia in Italia è stata garantita
per un settantennio proprio dal suo ancoraggio internazionale. Non parlare di
politica internazionale e della collocazione internazionale dell’Italia
significa quindi non parlare delle condizioni da cui dipende, in larga misura,
la stabilità della democrazia.
Coloro che respingono l’idea che le imminenti elezioni
italiane siano accostabili (sia pure con i limiti indicati) a quelle del ‘48
usano l’una o l’altra di due argomentazioni. La prima è plausibile, la seconda
molto meno. L’argomentazione plausibile è che se diamo retta ai sondaggi,
dobbiamo pensare che le elezioni, non registrando né vincitori né vinti,
potrebbero aprire una fase confusa, interlocutoria. L’idea è che si susseguano
per un po’ governi deboli e instabili. In attesa delle elezioni successive,
nelle quali, forse, ci saranno infine vincitori e vinti, dalle quali usciranno
le future forze egemoni. Può essere che sia così.
Il secondo argomento è meno plausibile. È quello di chi
pensa che sia possibile normalizzare, addomesticare, le formazioni antisistema.
Basta portarle in area di governo — pensano i fautori di questa tesi — e il
gioco è fatto. Noto che anche in altre epoche c’è stato chi ha tentato tale
opera di normalizzazione ma per lo più senza successo.
Al momento, certe rilevazioni demoscopiche indicano la
possibilità di un’Italia divisa politicamente in tre tronconi: centrodestra al
Nord (ma ammesso che sia così, chi ne sarebbe il leader: Berlusconi o Salvini?
), Partito democratico al Centro, Cinque Stelle al Sud. È il ritratto di una
democrazia a rischio di usura. Grazie al cielo, i pronostici, con una certa
frequenza, non colgono nel segno.
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