Dal 4 marzo è trascorso più di un mese, e, passata l'euforia comprensibile di chi ha avuto successo (vinto, non direi, visto che nessuno è in grado di avere una maggioranza in solitaria) e l'afflizione di chi è andato a sbattere (PD, ma la sinistra tutta ) , lo spettacolo in scena dei vari capi politici è piuttosto desolante.
Del resto, Di Maio è quello che è e gli altri non è che siano poi più brillanti.
La cosa che mi colpisce un po' è leggere come, secondo le ricostruzioni dei cd. retroscena giornalistici, i 5 Stelle, ma anche i leghisti, provano a realizzare una maggioranza di governo.
Non è il problema della politica dei due forni a perplimere, è evidente che in un sistema tripolare, dove nessuno può fare da solo, si cerca di vedere se è possibile allearsi con uno degli altri due.
Quindi che il M5Stelle cerchi la quadra sia con Salvini che con i piddini, ci sta ( da mo' il Cavaliere si era alleato con gli ortotteri, se questi ultimi non lo ostracizzassero).
Il problema è il modo, sempre a credere alle indiscrezioni dei cronisti di palazzo. Il PD non verrebbe tentato sulla base di compromessi programmatici che avvicinino le posizioni delle due forze, quanto su concessioni di poltrone governative allettanti...
Tra Di Maio e Salvini idem, ognuno vuole essere premier (più deciso in questo senso il grillino, ma ci sta anche questo, lui è il capo del 32%, Salvini, da solo, pesa poco più della metà con la sua Lega, senza il centro destra), e per convincere l'altro offre, anche qui, il ministero degli interni (l'età giolittiana iniziò così, con capo del governo Zanardelli e Giolitti ministro degli interni..) .
Eppure delle differenze programmatiche non di poco momento, da affrontare per vedere il compromesso possibile, ce ne sono, tra tutti.
Luca Ricolfi affronta il problema, immaginando alla fine un'alleanza tra Lega e grillini, sul presupposto che l'altro forno resti chiuso, causa ostracismo renziano (chi di ostracismo ferisce...).
Certo, i punti di contatto tra le due forze sono quelle che preoccupano oltremodo Bruxelles, ma fosse solo questo, uno potrebbe anche provare a fregarsene, in fondo il mito europeo è piuttosto appannato, ad esser buoni.
Il problema, con centinaia di miliardi di prestiti da rinnovare ogni mese, sono i mercati . Draghi nel 2019 andrà via dalla BCE e già quest'anno la pioggia di euro volti a tenere a bada spread e speculazioni possibili (non a caso Ricolfi butta lì il ricordo del 2011) diminuirà.
Possiamo fare a meno dell'Europa ? Chissà. Ma dei soldi in prestito no davvero ! E come li restituiamo 1300 miliardi ???
Buona Lettura
Lega e Cinque Stelle, programmi incompatibili?
1 aprile 2018 - di Luca Ricolfi
Buio totale. È passato quasi un mese dal voto e nessuno è in
grado di dire se avremo un nuovo governo, o invece si tornerà alle urne. Quel
che si comincia a intravedere, tuttavia, è che potrebbe, e il condizionale è
d’obbligo, nascere un governo Cinque Stelle-Lega. Questa alternativa pare meno
inverosimile delle altre.
Le ragioni per cui questa appare l’eventualità meno
improbabile sono diverse. La prima è che, a quanto pare, il Centro-destra non
ha alcuna volontà di restare unito, e di cercare in Parlamento i voti di cui ha
bisogno, che sono molti di meno di quelli che occorrono ai Cinque Stelle. Se
davvero avesse intenzione di restare unito, farebbe valere il fatto di essere
risultato la coalizione con il maggior numero di voti (37.5% contro il 32.2%
dei Cinque Stelle), e si presenterebbe con una delegazione unica al colloquio
con il Presidente della Repubblica. Invece pare di no, andranno separati.
Misteri della politica (almeno per me).
C’è anche un’altra ragione per cui un governo Di
Maio-Salvini è meno improbabile di altre soluzioni. Ed è che l’unica
alternativa numericamente possibile, ossia un governo Cinque Stelle-Partito
democratico, pur essendo vagheggiata da molti (compresi Franceschini e Orlando,
secondo i rumors dei giorni scorsi), sarebbe profondamente divisivo per il Pd.
Se anche i nemici di Renzi dovessero avere la meglio, eventualità che nel clima
restaurativo attuale non è da escludere, resterebbe, come freno, la necessità
di evitare una sanguinosa spaccatura del Pd, un partito che tutto può
permettersi tranne che di dividersi in un troncone governativo e uno di
opposizione.
Supponiamo dunque che il governo Di Maio – Salvini, magari
presieduto da un premier meno divisivo, veda la luce.
Starebbe insieme un
simile governo?
A giudicare dai programmi, si direbbe proprio di no. Flat tax
e reddito di cittadinanza sono due ricette di politica economica opposte.
La
prima punta a rilanciare la crescita, puntando su ingenti sgravi fiscali sui
produttori, prevalentemente insediati nel Centro-Nord. Il secondo punta ad
attutire le conseguenze della mancata crescita, puntando su sussidi ai poveri,
prevalentemente insediati nel Sud.
A queste difficoltà si aggiunge la
circostanza che quel che unisce Salvini e Di Maio, ovvero la ferma volontà di
sfondare la barriera del 3%, non potrà che attirarci l’ostilità delle autorità
europee e, presumibilmente, la diffidenza dei mercati. Per non parlare
dell’ostacolo più prosaico: il nuovo governo dovrà trovare subito 12 di
miliardi di euro per disinnescare l’aumento automatico dell’Iva, e forse altri
2-3 miliardi per non incorrere in una procedura di infrazione per deficit
eccessivo.
E tuttavia…
Tuttavia ci sono discrete possibilità che questi ostacoli
siano superati. Intanto perché se in qualcosa i politici non hanno rivali, è
nel manipolare il racconto che fanno ai comuni cittadini (che poi i manipolati
ci caschino, è un altro paio di maniche, e si scoprirà vivendo). Ne abbiamo già
avuto parecchie avvisaglie in questi giorni. Dopo i proclami di assoluta
incompatibilità, e dopo le promesse più avventate, verrà il tempo degli
aggiustamenti. Salvini ha già cominciato ad aprire sul reddito di cittadinanza,
purché sia “uno strumento per reintrodurre nel mondo del lavoro chi oggi ne è
uscito”. Toninelli, capogruppo Cinque Stelle al Senato, ha già aperto sulla
flat tax, purché sia “costituzionale” e “includa i poveri”. Per non parlare
della legge Fornero, sulla cui abolizione o superamento i due partiti sono
d’accordo fin da prima del voto.
Non è tutto però. A favore di un governo Cinque Stelle-Lega
militano anche fattori, per così dire, paradossali. Uno è l’irrealizzabilità
del programma. Sia per la Lega
sia per i Cinque Stelle, un governo di coalizione, che limiti il potere del
partner, è la migliore assicurazione contro il risentimento degli elettori
traditi. Quando, fra qualche tempo, si scoprirà che la flat tax al 15% era una
bufala, Salvini dirà che la colpa è di Di Maio, che ha frenato. E quando i
cittadini del Sud si renderanno conto che il reddito di cittadinanza
effettivamente attuato dal nuovo governo non vale molto di più del reddito
minimo introdotto a suo tempo da Renzi e Gentiloni, Di Maio avrà buon gioco a
dire che la colpa è di Salvini, che ha sempre remato contro.
Infine, un altro fattore paradossale che può, almeno
all’inizio, favorire la nascita di un governo Cinque Stelle – Lega è il
patriottismo anti-europeo. Proprio l’ostilità delle autorità europee a un
esecutivo “populista” potrebbe essere un forte elemento di coesione di un
governo esplicitamente schierato contro la “burocrazia di Bruxelles”. Un esito,
questo, lungamente preparato da una stagione di demagogia anti-austerity che ha
coinvolto quasi tutte le forze politiche, compreso il Pd renziano.
Poco male, se dovessimo solo incontrare le resistenze delle
sempre più deboli, e meno autorevoli, “autorità europee”. Ma malissimo se,
sull’onda dei rimproveri dell’Europa, del declassamento delle agenzie di
rating, e di un repentino deterioramento dei conti pubblici, dovessimo
incontrare l’ostilità dei mercati, che ogni anno ci prestano svariate centinaia
di miliardi per rinnovare i titoli del nostro debito pubblico.
Il 2011 magari non si ripeterà, perché la storia non si
ripete mai identica a sé stessa. Ma qualcosa dovrebbe averci insegnato.
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