giovedì 1 settembre 2011

NESI VINCE IL PREMIO STREGA E SI CONSOLA DELLA SUA PRATO FALLITA

Finito di leggere il libro di Edoardo Nesi , "Storia della mia gente". Ha vinto il premio strega, e personalmente mi allineo con tutti quelli che criticano questi premi letterari...Forse solo "Canale Mussolini", di Pennacchi, lo definirei un libro DA LEGGERE.
Non che questo di Nesi non si possa farlo. Scritto bene, poi è breve, scorre, e tratta un problema reale : la crisi economica determinata dalla globalizzazione.
Però niente di imperdibile, né nella forma né nel contenuto. Cose che si sanno, scritte in modo si chiaro ma non emozionante. O almeno a me non è accaduto. Quindi mi viene da sperare che siano stati scritti libri migliori pur senza essere premiati.
Il titolo poi è fuorviante , perché si tratta di una parziale autobiografia. Nesi parla di sé, ancorché limitatamente alla parte della sua vita legata all'attività dell'impresa di famiglia : una delle tante della manifattura tessile prosperate a Prato e ora debellate dalla concorrenza cinese.  I Nesi e ancor più i Pratesi servono da contorno al parlare di Edoardo Nesi, della sua giovinezza tra studi, estati in america, la facoltà di Giurisprudenza presa sull'onda di una suggestione cinematografica ( a Legge sono pochi quelli che finiscono per il Diritto in sé....un motivo ci sarà...) e poi mollata per iniziare l'apprendistato in fabbrica prima di sedere ai gradini alti.
Qui Nesi è piacevolmente sincero  nell'ironizzare su questa usanza falsamente formativa : il figlio del "padrone" che lavora accanto agli operai per imparare dalla base....come se i "capi" non sapessero di chi si tratta e non si comportassero con innaturale ma inevitabile riguardo ...."operaio Nesi si dovrebbe fare questo o quello..." e se lo fai male " benissimo ! solo piccole cosette da correggere,.ma va bene anche così...".
Sempre con la stessa sincerità Nesi ammette come il fenomeno Pratese nasce grazie non solo all'intrapresa dei fervidi lavoratori della ridente cittadina, ma anche da alcune particolarità del capitalismo italiano del dopoguerra .
Nesi le descrive così :
" le loro aziende (quelle appunto sorte durante la ricostruzione post '45) erano potute nascere e prosperare solo nell'humus prezioso nate e prosperate : al riparo dell'occhio della legge e del fisco, in un mondo perfetto e chiuso, protetto dai muri e dai missili nucleari , dai dazi e dalle tariffe."
E continua :
" Che si facevano chiamare industriali ma industriali non erano e non erano mai stati. Erano artigiani , straordinari e fragilissimi artigiani, lontani pronipoti dei maestri di bottega medievali, e ciononostante rappresentavano l'ossatura di un sistema economico che incredibilmente si reggeva su di loro e , lungi dall'essere perfetto, funzionava..." .
Da questa analisi, corretta, l'attacco alla miopia politica, di un'Italia che ritiene di non poter perdere il treno della globalizzazione e sottoscrive trattati internazionali che di fatto uccidono l'industria manifatturiera, e con essa la realtà di Prato. Controcorrente, Nesi dice cose che ormai sono in tanti a pensare : ma era così necessario entrare nell'Euro? Svezia e Danimarca non lo hanno fatto e non ci pensano, idem la Gran Bretagna che non ha firmato nemmeno l'accordo di Schengen. Non parliamo della Svizzera che di non far parte della UE certo non si straccia le vesti. Senza contare le cautele che i Francesi (nazionalisti come sono nell'anima) assumono a tutela delle loro aziende.
Si parla di mercato, di concorrenza, ma come si fa a competere con gente che lavora a un costo infinitamente inferiore ? Senza diritti e tutele? La risposta immancabile è "fare prodotti migliori".... e i nostri lo sono ma NON abbastanza da reggere una concorrenza di quel tipo. Si fa l'esempio di cose INIMITABILI, tipo Ferrari, Armani....ma infatti quelle cose sono famose in tutto il mondo perché uniche . Tutti geni dobbiamo diventare per competere ? Sarebbe bello ma mica tanto probabile !. Allora già sarebbe buono competere ma ad armi pari, o almeno quasi. E con i cinesi NON si può.  Altro che articolo 18 dello Statuto dei LAvoratori e altre menate della Camusso e di Landini....Le aziende chiudono proprio e TUTTI a spasso.
Non si può far nulla contro tutto questo ? Pensiamo di essere furbi e comprare a 1 quello che prima costava 10 ? E questo 1 come lo guadagniamo se stiamo tutti a casa ?.
Badate, non si tratta di discorsi protezionistici, di antiluddismo (la distruzione delle macchine nel primo ottocento perché toglievano il lavoro alle persone), si tratta di giocare la partita su un campo REGOLARE. Allora, o tutti senza regole (e lo Statuto lo diamo alle fiamme !!! ma anche tutta la legislazione previdenziale e  di anti infortunistica...insomma una pazzia!!) oppure le regole devono essere le stesse.
Perché mica che i cinesi si sono inventati la macchina che va ad acqua, e noi ci ostiniamo a voler difendere il motore a scoppio. No, loro COPIANO quello fatto da noi, ad un prezzo dieci volte inferiore perché non dormono , non mangiano, prendono 100 euro al mese....
Da noi gli ispettori del lavoro entrano nei bar e fanno una multa perché la moglie del titolare non è segnata....com'è possibile che ci siano realtà come quelle descritte da Saviano e da Nesi, con decine e decine di lavoratori sfruttati, costretti a vivere in condizioni disumane, per più di una settimana?
L'è tutto da rifare, diceva il buon Bartali....ed erano anni d'oro i suoi.....


4 commenti:

  1. GIULIANA SCRIVE :
    Le risorse sono sempre risorse! che vengano dalla Cina o da Taiwan o dalla Korea o dall'india avere merci a basso costo sul mercato è sempre un'opportunità, mai un problema. Il nostro problema non è certo quello. Ache se la Cina scomparisse e così l'india e gli altri paesi che ci fanno concorrenza, la nostra economia non crescerebbe di un punto, anzi, la povertà aumenterebbe perchè il vestito a 5 euro non sarebbe più disponibile sul mercato...La concorrenza non è mai un problema. Il problema nostro è la pianificazione economica centralizzata, l'enorme mole di norme (spesso stupidissime, e con il solo scopo di dar lavoro a qualcuno) che dobbiamo seguire, la faticosissima burocrazia che rallenta i tempi di reazione facendoli tendere all'infinito, l'assouta mancanza di libertà individuale imprenditriale, e non ultima la pressione fiscale spaventosa.

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  2. Quindi anche le norme USA che risalgono a fine 800 di anti trust e dumping sono vessatorie giusto ?

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  3. e infatti anche se sono affascinato dai libri della Randt (iniziato il secondo) , mentre condivido il disprezzo per la mediocrità, il finto moralismo sociale, l'invidia...non riesco MAI ad arrivare all'assoluto individualismo dei protagonisti, come fai tu. In particolare non ho simpatia per Rearden . Lo stimo, ma non mi è simpatico (anche per i suoi complessi sessuali forse ;) :) ) Per te invece quei libri sono una sorta di fulminazione sulla via di Damasco...No Giuliana, per me, forse per i miei studi, le regole esistono. Chi è più bravo vince e ci sto. Ma secondo regole condivise. Chi le fa , dirai tu ? Lo Stato democratico, che non è certo il nostro, ne convengo con te. Ma si tratta di migliorarlo, di rifarlo tiè. Ma non di abolirlo. In questo siamo diversi. Sorriso.

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