sabato 17 marzo 2012

E SE LADY FORNERO RADDRIZZASSE LA SCHIENA E METTESSE LE DIMISSIONI SUL TAVOLO?

Il Prof Giavazzi, bocconiano, esperto di economia e storico editorialista del Corriere della Sera, ha da subito, insieme al collega Alesina (frequenti i loro articoli a quattro mani), manifestato le sue perplessità e, diciamolo , la sua pacata delusione per la linea Montiana. Troppe tasse, poco coraggio. Non è che si sia mai espresso esattamente così, ma ogni volta era evidente l'auspicio e l'esortazione a fare anche ALTRO.
In realtà, diciamocelo, sono due le cose che vengono generalmente accreditate al nuovo governo:
1) l'ultimazione della riforma pensionistica, con il definitivo approdo al sistema contributivo e l'elevazione dell'età pensionabile
2) il credito di cui gode internazionalmente Monti.
Fine.
Sul resto molta ammuina ma poca sostanza. E' stato così  con le cosiddette liberalizzazioni, che in realtà hanno toccato solo alcuni settori, più emblematici che economicamente significativi, con una impostazione assai più dirigista e statalista che liberale, e oltretutto molto annacquati (fino allo svuotamento) in sede di approvazione parlamentare.
La stessa cosa sembra debba toccare alla "epocale" riforma del mercato del lavoro, dove i sindacati, CGIL in testa, stanno dando il peggio di sé (semmai fosse possibile ) , dove si assistono alle tavolate di SEMPRE, con gli ESCLUSI di sempre (piccole aziende, lavoratori autonomi, partite IVA vere e finte ).
Giavazzi lancia un monito secondo me molto acuto : signori, lo spread è diminuito anche grazie a Monti (molto di più a mio avviso grazie alla trilionata di euro che Draghi ha praticamente regalato a banche e quindi Stati...) ma NON per quello che ha FATTO, ma per quello che ha PROMESSO.
E quindi, il pareggio di bilancio nel 2013 e varare riforme vere che cambiassero il sistema paese Italia.
Europa (leggi Germania) e Mercati gli hanno creduto e per il momento non danno troppo peso ai numeri: disoccupazione in crescita, recessione seria, debito pubblico pure in aumento. Se questi numeri non cambiano, e francamente non si vede all'orizzonte motivo di un cambiamento, i nostri creditori torneranno a pensare A) che i conti non tornano B) che la pausa del governo tecnico non ha prodotto i risultati sperati C) che comunque sta per finire. Come reagiranno allora?
Buona Lettura


L’emergenza non è finita

Nell’audizione alla Camera sulle liberalizzazioni, il presidente del Consiglio ha giustamente ricordato ai deputati della Lega Nord che la riduzione dello spread fra Italia e Germania, ieri sceso a quota 282, non è solo merito della Bce: una parte non piccola riflette la fiducia di cui gode il governo nei mercati finanziari internazionali. Paradossalmente è proprio questa fiducia il nostro maggior fattore di rischio. Innanzitutto perché ha fatto venire meno l’urgenza. In dicembre il decreto salva Italia fu varato dal governo e approvato dal Parlamento in due settimane. Pochi giorni dopo, il 29 dicembre, il presidente del Consiglio annunciò che liberalizzazioni e riforma del mercato del lavoro sarebbero state varate entro gennaio.
Siamo a metà marzo: il decreto sulle liberalizzazioni attende ancora la definitiva approvazione da parte del Parlamento e le norme sul mercato del lavoro non sono state ancora portate in Consiglio dei ministri. Non è solo una questione di calendario. Più i tempi si dilatano, più le corporazioni che con queste norme si vorrebbero colpire riescono a organizzarsi per evitarle. Il decreto cresci Italia ne è l’esempio. Il provvedimento che verrà approvato è un’immagine molto sbiadita dell’afflato liberista che ispirò il primo testo del governo. Valga per tutti il compromesso sulla separazione della rete di distribuzione dal gas dall’Eni: dovrà avvenire non prima del settembre 2013, quando questo governo non ci sarà più. Al prossimo sarà sufficiente un decreto di poche righe per cancellare tutto. Come fa un investitore che deve scommettere su un cambio di passo dell’Italia a fidarsi? La fiducia sta creando le condizioni per la sua stessa dissoluzione.
Il risveglio potrebbe essere brusco. Mentre il governo continua a costruire i propri programmi sull’ipotesi che l’economia nel 2012 si contragga dell’ 1 per cento, il Fondo monetario internazionale prevede un -2,2% e i maggiori investitori internazionali una forchetta fra -2%, nell’ipotesi più favorevole, e -4% in quella meno favorevole, con una mediana di -3%. Con questi numeri il deficit rimarrà sopra il 4% del Pil e il debito ricomincerà a crescere. Come lo spieghiamo a quegli stessi investitori e ai nostri partner tedeschi, ai quali abbiamo ripetutamente promesso il pareggio di bilancio nel 2013? C’è un solo modo per uscire da questo guaio. Convincerli che la recessione del 2012, per quanto grave, è un fatto transitorio e che le norme che stiamo approvando segneranno davvero un cambio di passo. Bruciata, purtroppo, la carta delle liberalizzazioni, rimane solo la riforma del mercato del lavoro.
Il ministro Fornero ha pronto un testo incisivo, che prevede da subito interventi volti a eliminare la segmentazione tra precari e lavoratori a tempo indeterminato, e che modifica immediatamente l’articolo 18 per i nuovi assunti. Su queste norme si gioca il futuro del governo e del Paese. Se le pressioni corporative o i suoi colleghi ministri dovessero chiederle un passo indietro, Elsa Fornero dovrebbe, con lo stile e la determinazione che la caratterizzano, abbandonarli al loro destino.

Nessun commento:

Posta un commento