Ieri avevo postato l'articolo pregevolissimo di Pierluigi Battista ( http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/09/dietro-la-comprensione-per-la-rabbia.html ), sul Corriere, nel quale , parlando delle reazione violente delle piazze arabe al filmaccio dileggiatore su Maometto uscito in qualche sala americana, il noto opinionista aveva denunciato come dietro alle parole di comprensione della rabbia islamica, e all'esortazione di atteggiamenti censori, ci fosse una umanissima e poco nobile PAURA.
Sempre ieri, Antonio Socci , su Libero, notava come la satira, la narrativa e la cinematografia potevano scatenarsi con assoluta libertà su tutti i temi cari ai credenti cattolici, senza tema non dico di censura legale (sequestro, diffida e così via), ma nemmeno di condanna per l'offesa recata ai sentimenti religiosi di milioni di persone, quegli stessi sentimenti che invece devono essere salvaguardati nei riguardi degli islamisti.
A Venezia, qualche giorno fa, c'è stato un film dove una donna faceva autoerotismo utilizzando un crocefisso... Qualche voce di protesta si è levata, ma finito lì. Non oso immaginare a parti invertite.
Parliamoci chiaro, non sono temi semplici, e comprendo che persone intellettualmente oneste possono sostenere posizioni opposte sul tema, eterno peraltro, della libertà di espressione e i suoi limiti (non esistono libertà sconfinate. MAI . E lo dice uno che mette la libertà individuale come PRIMO valore dell'esistenza umana). Però è evidente che se il problema si pone solo nei giorni dispari, metafora per dire che ce lo poniamo solo per la sensibilità islamica, allora i conti non tornano, e il pensiero che ci sia in molti viltà e non rispetto, viene. Del resto, dopo quello accaduto a Rushdie e a coloro che hanno osato appoggiarlo, è ben comprensibile. Cosa si rischia a irridere ai dogmi cristiani ? Nulla. Cosa quelli islamici ? La VITA.
E fa una bella differenza !
Vi lascio ad un altro articolo del bravo Battista, sempre su questo spinoso argomento
Buona Lettura
“Quel che insegna il
caso Rushdie”
E allora, visto che
serpeggia un'insofferenza verso i princìpi della libera espressione, visto che
davvero un filmaccio viene considerato responsabile delle violenze che stanno
incendiando l'islamismo radicale, visto che trapela qui e lì uno sconsiderato
elogio della censura, sarà il caso di aspettare l'autobiografia di Salman
Rushdie che uscirà a giorni, e di ricordare, anche grazie a una puntuale
ricostruzione di Giulio Meotti sul Foglio, che cosa accadde attorno all'autore
dei Versetti satanici, condannato a morte per blasfemia dall'ayatollah Khomeini
e costretto a vivere blindato e terrorizzato il resto dei suoi giorni. Attorno,
non solo a Rushdie personalmente. E attorno accaddero molte cose su cui
prudentemente si è fatto silenzio, ovviamente per non fomentare, non attizzare,
eccetera eccetera. Venne pugnalato a Tokyo il traduttore giapponese dei
Versetti, Hitoshi Igarashi (chi ricorda il suo nome? Nessuno). Vennero
giustiziati in Belgio l'imam Abdullah al Ahdel e il suo assistente, rei di aver
criticato la fatwa che condannava a morte Rushdie. La catena americana di
librerie Waldenbooks ritirò dal commercio il romanzo di Rushdie. In Turchia,
nel 1993, «trentasette ospiti di un albergo a Sivas vennero uccisi nei
tentativi di linciaggio del traduttore turco di Rushdie, Aziz Nesin e
nell'incendio muoiono il critico letterario Asim Bezirci e il poeta Nesimi
Cimen» (chi ricorda il loro nome? Nessuno). E' finita? No, non è finita.
L'editore norvegese di Rushdie, William Nygaard, venne raggiunto da tre colpi
di arma da fuoco alla periferia di Oslo. Ettore Capriolo, tra l'altro
traduttore italiano di Le Carré e Hemingway, nel '91 «ricevette nella sua casa
milanese di via Curtatone un sedicente iraniano» che lo colpì «a pugni e poi,
estratto dalla giacca un coltello, lo trafisse al torace, al collo, agli
avambracci e al volto». Nel 1994 il premio Nobel per la letteratura Naguib
Mahfouz scampò a un attentato, colpevole di aver difeso Rushdie. Lo sceicco
Omar Abdel Rahman, il cui nome venne fatto come quello di uno dei responsabili
della prima strage del World Trade Center, commentò: «Ci fossimo comportati
come dovevamo con Mahfouz, ora non avremmo problemi con Rushdie. Ucciso
Mahfouz, non ci sarebbe mai stato Rushdie». In tutti questi anni decine di
giornalisti, scrittori (ricordiamo mai Taslima Nasreen?), intellettuali vivono
nel terrore, colpiti da una fatwa o braccati come nemici della religione
islamica. Questo si dimentica troppo spesso, come si dimenticano i nomi delle
persone assassinate per il caso Rushdie. A giudicare da molti commenti che
sembrano tanto insofferenti per le conseguenze negative di una società che non
prevede la censura di Stato preventiva (in primis quello di Barbara Spinelli su
Repubblica), oggi probabilmente qualcuno potrebbe giudicare inopportuna e
provocatoria persino la pubblicazione dei Versetti satanici. Il terrore sa
raggiungere i suoi bersagli.
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