Devo confessare che sono un po' stanco, quindi non lucido. Posto la notizia perché mi ha colpito ma non sono in gradi di commentarla.
A Torino due giovani sono stati condannati a 11 anni di carcere per l'omicidio di un bambino travolto dall'auto sulla quale i due si trovavano. Entrambi erano sotto effetto di stupefacenti, e il conducente correva perché in crisi di astinenza. Ok, ma l'altro perché la stessa pena ? Perché era il proprietario della vettura, e quindi responsabile dell'affidamento del mezzo. Il che da un punto di vista civilistico non fa assolutamente una piega, ma da quello penale ? E con la stessa pena ?
Però qui alzo le mani , non si tratta di garantismo o no. Si tratta proprio di DIRITTO PENALE.
E a me non piace fare l'uomo del bar, quello della chiave da buttare via, 11 anni sono pochi, e via così. Ne' sostenere per partito preso posizioni "contro".
Rilevo, perché lo leggo, che è il PRIMO caso in cui un Tribunale decide in questo modo a carico del NON conducente.
Lascio ogni approfondimento ai miei cari (in diversi casi prmai non è frase di stile..) amici del gruppo della Unione Camere Penali che penso vorranno esprimersi su questa vicenda.
In attesa, questa la notizia sul Corriere On Line
TORINO, L'INCIDENTE
DEL 2011 IN
CUI MORI' ALEX SGRO', 7 ANNI
Travolsero una famiglia uccidendo un bimbo
Undici anni anche all'amico che non guidava
Stessa condanna del conducente: «Sapeva che aveva assunto
eroina, non lo ha fermato né prima né dopo»
Ha lasciato guidare la propria auto all'amico, anche se
aveva assunto eroina e andava veloce perché aveva fretta di raggiungere lo
spacciatore. L'amico ha investito una famiglia, uccidendo un bambino di 7 anni.
E ad entrambi è stata inflitta la stessa pena: 11 anni ciascuno in rito
abbreviato, quindi già scontata di un terzo. E' considerata una sentenza pilota
quella depositata dal giudice Rosanna La Rosa del tribunale di Torino. Perché,
per la prima volta nel caso di un incidente stradale mortale, il proprietario
dell'auto viene considerato colpevole e responsabile dell'omicidio quanto colui
che conduce il suo veicolo. Il fatto di non guidare non è una scusante. Si ha
comunque una responsabilità «gravissima». In Procura a Torino c'è
soddisfazione: «Nessuno ricorda una pena così elevata inflitta per un caso del
genere».
TRAVOLTI SULLE STRISCE - L'incidente che ha portato a questa
condanna è avvenuto a Torino il 3 dicembre 2011. E' quasi Natale e il piccolo
Alex Sgrò, che ha 7 anni, esce da un negozio di giocattoli tenendo la mano ai
genitori: la mamma Simonetta e il padre Calogero. E' tardo pomeriggio.
Attraversano corso Peschiera sulle strisce pedonali. E' questione di poche
frazioni di secondo quando tutti e tre vengono travolti da una Clio scura che
corre ai 75 chilometri
all'ora e non si ferma dopo averli investiti. Alex fa un volo di 35 metri e muore poco dopo
il ricovero in ospedale. Il padre viene sbalzato a 38 metri e riporterà
lesioni gravissime permanenti. La madre si ferma a 17 metri: si riprenderà dopo
sei mesi. «Ho visto volare in aria le persone» ammetterà dopo le prime bugie
Francesco Grauso, 26enne di Aosta impiegato all'ufficio di collocamento del
Comune, proprietario dell'auto. «Poi non ho capito più niente. Siamo arrivati
dopo mezz'ora dallo spacciatore e abbiamo acquistato altre dosi di eroina che
abbiamo assunto subito dopo. Ma non ricordo se endovena o se l'abbiamo fumata.
Siamo tornati ad Aosta. Ho messo l'auto nel garage e non l'ho più usata».
NON HA SOSTITUITO L'AMICO - La loro fu una fuga «repentina,
immediata e senza esitazione», scrive il giudice. Alessandro Cadeddu, l'amico,
ha 34 anni. Si era messo alla guida dopo essersi drogato. Secondo il giudice,
Grauso è colpevole quanto lui. Perché era «ben consapevole della quotidiana e
ripetitiva assunzione di eroina da parte del Cadeddu e pienamente conscio degli
effetti di tale assunzione». E soprattutto, perché «non ha avuto cura di
accertare le capacità dell'affidatario della sua automobile». Grauso, secondo
il giudice «poteva in ogni momento verificare la condotta di guida dell'amico.
In buona sostanza, ove avesse ritenuto tale condotta per qualsiasi motivo
imprudente o impropria, avrebbe potuto facilmente dissociarsi chiedendo al
Cadeddu di non guidare più e sostituendolo alla guida della sua auto. In realtà
non lo ha fatto – e qui sta la gravità della sua colpa secondo il magistrato -
né in quel momento, né nelle precedenti e successive occasioni, non perché lo
ritenesse capace di guidare, vista la costante e ripetitiva assunzione di
stupefacente da parte di entrambi, e le correlative crisi di astinenza, bensì
perché incurante del pericolo immanente della condotta posta in essere e perché
la scelta consapevole e condivisa di lasciare guidare Cadeddu era, almeno per
quelle che sono le notizie in merito normalmente conosciute dall'uomo della
strada, funzionale a evitare controlli di polizia».
COLPEVOLE COME IL CONDUCENTE - «In ogni caso – conclude il
giudice - come visto, a fronte dell'obbligo del proprietario del veicolo di
affidare lo stesso con cautela e cioè a persona che sai sa essere abilitata e
capace a condurlo ai sensi degli articoli 115 e 116 del Codice della strada,
deve ravvisarsi cooperazione colposa tra affidante incauto del veicolo stesso
ed affidatario che provochi un incidente stradale a seguito della sua guida, in
quanto la condotta del secondo non è sufficiente a interrompere il nesso di
causalità tra affidamento del veicolo ed evento colposo». In parole più
semplici, «Grauso non ha in alcun modo espresso il suo dissenso in modo
espresso al Cadeddu sulle modalità di guida. E nemmeno dopo l'impatto aveva
impedito all'amico di lasciare la guida del veicolo, anzi ne aveva condiviso la
scelta criminale di non fermarsi e non prestare soccorso». Per questo, anche se
non guidava, dovrà scontare undici anni di carcere come l'amico..
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