martedì 9 ottobre 2012

INVESTE E UCCIDE CON L'AUTO. 11 ANNI. AL PROPRIETARIO ACCANTO A LUI, STESSA PENA. E' GIUSTO ?



Devo confessare che sono un po' stanco, quindi non lucido. Posto la notizia perché mi ha colpito ma non sono in gradi di commentarla.
A Torino due giovani sono stati condannati a 11 anni di carcere per l'omicidio di un bambino travolto dall'auto sulla quale i due si trovavano. Entrambi erano sotto effetto di stupefacenti, e il conducente correva perché in crisi di astinenza. Ok, ma l'altro perché la stessa pena ? Perché era il proprietario della vettura, e quindi responsabile dell'affidamento del mezzo. Il che da un punto di vista civilistico non fa assolutamente una piega, ma da quello penale ? E con la stessa pena ?
Però qui alzo le mani , non si tratta di garantismo o no. Si tratta proprio di DIRITTO PENALE.
E a me non piace fare l'uomo del bar, quello della chiave da buttare via, 11 anni sono pochi, e via così. Ne' sostenere per partito preso posizioni "contro".
Rilevo, perché lo leggo, che è il PRIMO caso in cui un Tribunale decide in questo modo a carico del NON conducente.
Lascio ogni approfondimento ai miei cari (in diversi casi prmai non è frase di stile..) amici del gruppo della Unione Camere Penali che penso vorranno esprimersi su questa vicenda.
In attesa, questa la notizia sul Corriere On Line

 

 TORINO, L'INCIDENTE DEL 2011 IN CUI MORI' ALEX SGRO', 7 ANNI
Travolsero una famiglia uccidendo un bimbo
Undici anni anche all'amico che non guidava
Stessa condanna del conducente: «Sapeva che aveva assunto eroina, non lo ha fermato né prima né dopo»

L'arresto dei due responsabili (Fotogramma)

Ha lasciato guidare la propria auto all'amico, anche se aveva assunto eroina e andava veloce perché aveva fretta di raggiungere lo spacciatore. L'amico ha investito una famiglia, uccidendo un bambino di 7 anni. E ad entrambi è stata inflitta la stessa pena: 11 anni ciascuno in rito abbreviato, quindi già scontata di un terzo. E' considerata una sentenza pilota quella depositata dal giudice Rosanna La Rosa del tribunale di Torino. Perché, per la prima volta nel caso di un incidente stradale mortale, il proprietario dell'auto viene considerato colpevole e responsabile dell'omicidio quanto colui che conduce il suo veicolo. Il fatto di non guidare non è una scusante. Si ha comunque una responsabilità «gravissima». In Procura a Torino c'è soddisfazione: «Nessuno ricorda una pena così elevata inflitta per un caso del genere».
TRAVOLTI SULLE STRISCE - L'incidente che ha portato a questa condanna è avvenuto a Torino il 3 dicembre 2011. E' quasi Natale e il piccolo Alex Sgrò, che ha 7 anni, esce da un negozio di giocattoli tenendo la mano ai genitori: la mamma Simonetta e il padre Calogero. E' tardo pomeriggio. Attraversano corso Peschiera sulle strisce pedonali. E' questione di poche frazioni di secondo quando tutti e tre vengono travolti da una Clio scura che corre ai 75 chilometri all'ora e non si ferma dopo averli investiti. Alex fa un volo di 35 metri e muore poco dopo il ricovero in ospedale. Il padre viene sbalzato a 38 metri e riporterà lesioni gravissime permanenti. La madre si ferma a 17 metri: si riprenderà dopo sei mesi. «Ho visto volare in aria le persone» ammetterà dopo le prime bugie Francesco Grauso, 26enne di Aosta impiegato all'ufficio di collocamento del Comune, proprietario dell'auto. «Poi non ho capito più niente. Siamo arrivati dopo mezz'ora dallo spacciatore e abbiamo acquistato altre dosi di eroina che abbiamo assunto subito dopo. Ma non ricordo se endovena o se l'abbiamo fumata. Siamo tornati ad Aosta. Ho messo l'auto nel garage e non l'ho più usata».

  La vettura che ha travolto la famiglia Sgrò (Fotogramma)
NON HA SOSTITUITO L'AMICO - La loro fu una fuga «repentina, immediata e senza esitazione», scrive il giudice. Alessandro Cadeddu, l'amico, ha 34 anni. Si era messo alla guida dopo essersi drogato. Secondo il giudice, Grauso è colpevole quanto lui. Perché era «ben consapevole della quotidiana e ripetitiva assunzione di eroina da parte del Cadeddu e pienamente conscio degli effetti di tale assunzione». E soprattutto, perché «non ha avuto cura di accertare le capacità dell'affidatario della sua automobile». Grauso, secondo il giudice «poteva in ogni momento verificare la condotta di guida dell'amico. In buona sostanza, ove avesse ritenuto tale condotta per qualsiasi motivo imprudente o impropria, avrebbe potuto facilmente dissociarsi chiedendo al Cadeddu di non guidare più e sostituendolo alla guida della sua auto. In realtà non lo ha fatto – e qui sta la gravità della sua colpa secondo il magistrato - né in quel momento, né nelle precedenti e successive occasioni, non perché lo ritenesse capace di guidare, vista la costante e ripetitiva assunzione di stupefacente da parte di entrambi, e le correlative crisi di astinenza, bensì perché incurante del pericolo immanente della condotta posta in essere e perché la scelta consapevole e condivisa di lasciare guidare Cadeddu era, almeno per quelle che sono le notizie in merito normalmente conosciute dall'uomo della strada, funzionale a evitare controlli di polizia».

Alex Sgrò, 7 anni, il bimbo travolto e ucciso (Ansa) LE INDAGINI - Dopo la tragedia scattarono le ricerche dei vigili urbani e l'inchiesta fu chiusa poi in tempi record dalla dottoressa Gabriella Viglione della procura di Torino. Quasi mille uomini sono stati impegnati nella ricerca dei testimoni. Gli appelli erano circolati per giorni su tutti i media nazionali. Eppure, Cadeddu e Grauso non hanno parlato. Non solo. Dal giorno dopo l'incidente sono tornati a Torino, «per 14 giorni successivi» per comprare droga. «Grauso nei 40 giorni successivi l'incidente – precisa il giudice La Rosa - non ha avuto alcun cedimento, e pur avendo appreso di aver cagionato la morte di un bambino e il grave ferimento dei suoi genitori, incurante di ogni scrupolo di coscienza o delle sacrosante aspettative di giustizia ed anche di ristoro patrimoniale delle persone offese, ha continuato vigliaccamente a nascondere l'auto e a non costituirsi». Per il giudice, mentre Cadeddu è «drogato e imperito», Grauso è «pavido e menzognero, sempre alla ricerca di una scusa pronta in caso di guai e di un soggetto a cui addossare le colpe, ben contento della disponibilità alla guida del Cadeddu, elemento che gli permetteva di giungere velocemente a Torino e acquistare la droga, che non metteva a rischio al sua patente né la sua macchina e che gli dava sempre la possibilità di dissociarsi dall'amico in caso di incidente».
COLPEVOLE COME IL CONDUCENTE - «In ogni caso – conclude il giudice - come visto, a fronte dell'obbligo del proprietario del veicolo di affidare lo stesso con cautela e cioè a persona che sai sa essere abilitata e capace a condurlo ai sensi degli articoli 115 e 116 del Codice della strada, deve ravvisarsi cooperazione colposa tra affidante incauto del veicolo stesso ed affidatario che provochi un incidente stradale a seguito della sua guida, in quanto la condotta del secondo non è sufficiente a interrompere il nesso di causalità tra affidamento del veicolo ed evento colposo». In parole più semplici, «Grauso non ha in alcun modo espresso il suo dissenso in modo espresso al Cadeddu sulle modalità di guida. E nemmeno dopo l'impatto aveva impedito all'amico di lasciare la guida del veicolo, anzi ne aveva condiviso la scelta criminale di non fermarsi e non prestare soccorso». Per questo, anche se non guidava, dovrà scontare undici anni di carcere come l'amico.. 

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