domenica 28 ottobre 2012

L'ARTICOLO DELL'UNITA' CHE NON TI ASPETTI


 


Io sono un liberale, e dovrei provare dissenso preventivo da qualsiasi cosa provenisse dal giornale L’Unità. Grazie a Giovanni Taurasi, e al suo Blog ben fatto, QUINTO STATO, alla sua selezione degli articoli del giorno, ho l’opportunità invece di leggere articoli interessanti come questo che intanto riporta notizie e informazioni utili e condivisibili (la formazione del debito per garantire la crescita dei consumi senza passare per quella delle retribuzioni ) e che propone delle riflessioni. E' sulle ricette accennate (non è che ci sia un approfondimento delle stesse ) che resta la divisione. Andriani suggerisce il controllo della politica, Zingales, per citare una soluzione diversa, una vera concorrenza anche nel settore finanziario e SENZA protezioni della politica ( cioè senza salvataggi delle banche marce. Spezzando il famoso adagio per cui i guadagni sono privati e i debiti pubblici ).
Io lo riporto e aspetto di sentite i miei amici del TPI, decisamente più esperti di me...
Buona Lettura

 

Sono in molti a sostenere che quella in atto sia sostanzialmente una crisi finanziaria e che l’irresistibile ascesa della finanza sia la sua causa determinante. Ma la finanza non è il barone di Munchausen, quello che riusciva a venir via dalle sabbie mobili tirandosi su per i capelli. soprattutto un tipo di sviluppo che ha avuto per motore l’indebitamento. Una crescita trainata dai consumi privati, mentre non crescevano le retribuzioni, è potuta avvenire solo attraverso l’indebitamento delle famiglie. Questa storia è durata alcuni decenni ed è avvenuta in tutti i Paesi avanzati, ma in alcuni di essi, Usa in testa, con maggiore intensità. Tali Paesi sono vissuti al di sopra dei propri mezzi indebitandosi pesantemente verso altri Paesi. In quell’enorme e crescente mare di debiti la finanza ha nuotato come un pesce. Se si considerano le principali «innovazioni » della finanza – la titolarizzazione dei crediti e i derivati sui rischi di credito – il loro scopo era quello di ridistribuire su scala mondiale l’enorme massa di rischi di credito che si andava accumulando. Si è delineata così una tendenziale separazione tra i soggetti che valutano e prendono i rischi e quelli che poi li tengono in portafoglio senza avere la competenza per gestirli. Spesso debitore e creditore non sanno più chi sia la propria controparte. L’attività bancaria ha cambiato natura, diventava meno importante seguire quotidianamente la clientela, imprese e famiglie, e più importante gestire la tesoreria facendo attività di trading sui mercati. In questo nuovo modo di fare finanza, detto originate and distribuite model, si è stabilita una gerarchia: in testa alcune grandi banche d’investimento, soprattutto americane ed inglesi, che generano i prodotti finanziari che vengono poi valutati da agenzie di rating talvolta ad esse collegate e gli altri soggetti finanziari che quei prodotti comprano. Le prime hanno tratto i maggiori vantaggi. Dati della Banca centrale d’Inghilterra ci dicono che il tasso di profitto medio delle banche inglesi, che era nel 1970 del 10%, pari alla media del sistema, nel 2007 era del 30%, mentre il valore degli asset delle banche che equivaleva nel 1970 al 50% del Pil era diventato nel 2007 cinque volte il valore del Pil. Nessuna meraviglia che in quel contesto si sia affermata potentemente la tendenza ad usare in modo speculativo i prodotti finanziari il cui valore di mercato si è enormemente dilatato e che sia nato un sistema bancario ombra, tendente ad operare al di fuori delle regole, del quale gli hedge fund sono la punta di diamante. Coloro che ancora adesso sostengono che l’innovazione finanziaria sia troppo veloce per essere conosciuta e controllata efficacemente fingono di ignorare che il processo di degenerazione della finanza è stato analizzato e denunciato in tempo reale da grandi personaggi della finanza tipo Buffet, Soros, Bebear. E coloro che sostengono che debbano essere i mercati finanziari a disciplinare i governi fanno finta di ignorare che la crisi è nata in quanto i governi non hanno voluto disciplinare i mercati e hanno delegato alle banche centrali la politica economica. Poiché la crisi finanziaria è profondamente collegata alla crisi del passato modello di sviluppo, la nuova regolazione della finanza andrebbe orientata a sostenere il passaggio ad un nuovo tipo di sviluppo. Importanti questioni sono sul tappeto: come mettere i sistemi bancari in grado di ricominciare a finanziare l’economia reale; come gestire le crisi e gli eventuali default delle istituzioni finanziarie; la separazione delle attività di banca di investimento da quelle di banca commerciale; la regolazione dei mercati dei derivati e della titolarizzazione dei rischi. Ma la vera riforma strutturale da realizzare per la finanza è il suo passaggio da un ruolo orientato a sostenere l’aumento dei consumi attraverso l’indebitamento a quello di favorire l’aumento del risparmio e la sua efficiente allocazione in una strategia di rilancio degli investimenti. Ma non è quello che sta avvenendo: le nuove regole di Basel III e di Solvency II, come tutte le regole che hanno come effetto di accentuare le tendenze negative del ciclo economico, sono un potente ostacolo al finanziamento di investimenti di lungo periodo. Per rilanciare gli investimenti e rinnovare il welfare in corrispondenza di nuovi bisogni, nell’attuale situazione di stress dei bilanci pubblici, il ruolo della finanza e il suo riorientamento sono di importanza cruciale. Spetta alla politica elaborare una nuova visione dello sviluppo, entro il quale il riorientamento della finanza debba essere realizzato, e definirne le regole. Perciò sorprende che il dibattito e le decisioni sulle nuove regole della finanza siano sostanzialmente delegate agli addetti ai lavori, anche ad istituzioni che portano la responsabilità del processo degenerativo. Ad esempio, alla questione dell’unificazione del controllo sulle banche in Europa, che oggi è aperta di nuovo, era stata già data una risposta negativa, un paio di anni fa, ma non se ne era mai veramente discusso ed anche oggi il tema dell’unificazione bancaria di importanza determinante cade sostanzialmente al di fuori del dibattito politico. In società complesse le decisioni politiche implicano crescenti conoscenze tecniche, il che ne rende difficile la comunicazione. Ma spetta proprio alle forze politiche far comprendere ai cittadini il contenuto politico di scelte apparentemente tecniche. Altrimenti governi tecnici, formali od informali che siano, prevarranno sempre.

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