Ovviamente sulla vicenda FIAT, inerente ai 19 operai per cui è stata attivata la messa in mobilità (l'Azienda ha teso a precisare che non c'è una richiesta d'urgenza in questo senso, e che si terrà d'occhio l'andamento del mercato e un'eventuale ripresa della domanda per evitare il provvedimento ) si sono interessati sia la Fornero che Passera che non sono contenti. Va bene, nemmeno noi. Però, come ho provato a dire in qualche post, al di là delle caratterialità e delle strategie di più breve momento , il problema è di fondo ed è quello per il quale l'Europa che conta, nelle sue istituzioni principali (leggi BCE ) reclamava in Italia una riforma del Lavoro che interessasse : la fiscalità (meno tasse sul Lavoro ) e la flessibilità (più facilità di entrata e uscita). La riforma del ministro Fornero è andata in questa direzione ? Non pare.
In Italia, da sempre, lo Statuto dei Lavoratori, norma già di per sé sufficientemente iper garantista, è diventato,tramite la magistratura della materia, uno strumento in base al quale per un'azienda assumere un lavoratore a tempo indeterminato ha significato l'unico contratto a vita esistente al mondo. Un tempo si diceva che assumere un lavoratore era come sposarlo, ma il paragone non vale più perché divorziare ormai è fattibile, piuttosto semplice e tutto sommato nemmeno troppo dispendioso economicamente. Questo non avviene con l'assunzione a tempo indeterminato. Sarà per questo che non se ne vedono più contratti così ?
Io comprendo il problema rappresentato da un lavoro precario, dove non sai se potrai contare su quello che guadagni nel mese futuro. Lo vivono costantemente gli otto milioni di lavoratori autonomi esistenti in Italia a cui non mi sembra si pensi un granché quando si parla di ammortizzatori sociali, tutele, corsi di formazione e ricollocamento al lavoro. Quando un professionista, un commerciante, un artigiano non guadagnano più abbastanza perché non sono abbastanza bravi o anche , capita anche questo, i clienti non hanno più soldi per permettersi i loro servizi, da chi vanno ? Ovviamente questo discorso vale anche per le imprese, specie le PMI (le piccole e medie ). Questo solo per dire che , ahinoi, il diritto al lavoro, di cui parla la nostra Costituzione, è una promessa piuttosto demagogica, se intesa come qualcosa che prescinda dall'economia, il suo andamento, le sue leggi e gli scenari che di volta in volta prospetta.
Leggevo l'altro giorno di una dottoressa in lettere, l'ennesima, che si ribellava, anche lei indignata, contro la ministro Fornero per l'ennesima esortazione verso i giovani a essere più duttili nell'approccio, almeno iniziale , al mondo del lavoro. A non essere "schizzinosi" (si è beccata pure una querela per questo. Ok, carta straccia, però intanto c'è chi l'ha fatta ) . Nel raccontare la sua storia, fatta di contratti a progetto, prima di co.co.co, il precariato e altro, ha fatto però una premessa che mostra poi di non ricordare : al momento dell'iscrizione all'Università, TUTTI i suoi , familiari e conoscenti, la scongiurarono di non prendere lettere, facoltà ormai nota per le sue scarse prospettive di lavoro. Lei, forte della promessa costituzionale, è andata per la sua strada, e questo è il risultato.
Questo per dire che un po' più di realismo sarebbe opportuno anche nella scelta degli studi per provare a darsi qualche chance in più.
Tornando alla vicenda FIAT, come ricorda anche Davide Giacalone nell'articolo che posto di seguito, il segnale ad un mondo sordo e pervicace nel non voler cambiare è chiaro : non c'è magistratura o politica che tengano laddove i numeri economici NON tornano. Abbiamo fatto finta che questo non valesse tramite i soldi presi a debito, fornendo indennizzi, pagando casse integrazioni, tenendo in piedi aziende decotte. Tutto questo non è più possibile. E alzare all'infinito le tasse per sostituire e recuperare quei soldi che nessuno ci presta più, come si vede dalla recessione e dal debito pubblico che con Monti è salito ulteriormente, è una soluzione semplicemente suicida.
Buona Lettura ( ah, credo ci sia un refuso nell'articolo. Tecnicamente quelle della Fiat non sono reintegrazioni, per licenziamenti giudicati illeciti. Ma vere e proprie assunzioni, di personale posto in mobilità al momento della costituzione della nuova società a Pomigliano d'Arco).
Sergio Marchionne lo
ha osservato con amarezza: in Italia mi chiamano l’americano, negli Stati Uniti
l’italiano. In entrambe i casi in senso negativo. Nel primo con riferimento ad
una logica del profitto che vorrebbe prevalere su ogni altra considerazione,
nel secondo per la prontezza nell’approfittare dei fondi pubblici, grazie ai
quali privatizzare i guadagni e socializzare le perdite. Eppure, a dispetto di
tante critiche, il successo di Marchionne ha un riflesso sociale in Italia,
perché mantenere gli stabilimenti storici non si limita a salvare quei posti di
lavoro, ma a tenere in vita un settore nel quale abbiamo eccellenze da far
crescere, e ha, quel successo, anche un rilievo sociale negli Usa, perché
chiudere quelle fabbriche avrebbe significato smantellare non solo un pezzo
della storia industriale americana, ma anche una tessera della loro potenza
economica. E, infine, il suo essere americano e italiano significa anche sapere
interpretare, senza timori reverenziali, la sfida dei mercati globali,
portandovi quel che più vale nell’immagine, ma anche nella realtà del nostro
Paese: la qualità.
E’ ovvio che il successo è e sarà un merito suo e della
squadra con la quale lavora, così come, del resto, un insuccesso sarebbe da
ascriversi a sua e loro responsabilità, ma non è poi così ovvio, quindi da
sottolineare, che a noi tutti conviene siano i successi a prevalere sugli
insuccessi. Gli americani se ne rendeno conto e la rivista Automotive Magazine
che lo nomina “uomo dell’anno 2013” .
Nella nostra comunità nazionale siamo più freddini, giacché non cedere troppo
alle esaltazioni è uno dei tratti ammirevoli del carattere nazionale, laddove,
all’opposto, l’eccedere nelle demolizioni e nelle autodemolizioni ne è uno
degli aspetti meno gradevoli.
Marchionne è (ri)finito nel mirino delle critiche per la
decisione di mettere in mobilità 19 operai, nello stesso momento in cui il
giudice ha imposto a Fiat di riassumere, nello stabilimento di Pomigliano, 19
licenziati. Anche il ministro delle attività produttive, Corrado Passera, ha
voluto aggiungere il proprio giudizio negativo: quella mossa non mi è piaciuta,
ha detto. Ma è del tutto logica. Anzi, sarebbe stato strano il contrario. Il
numero di lavoratori necessario, in una determinata attività produttiva, non
può essere né una variabile indipendente (ci volle il coraggio di Luciano Lama,
in drammatico e colpevole ritardo, per ammettere che non lo era neanche il
salario) né un tema amministrato dai tribunali. Come neanche dalla politica o
dai giornali. Quanta gente serve lo decide l’impresa. La cui decisione va
rispettata per la semplice ragione che se sbagliano in difetto perdono quote di
mercato e se sbagliano in eccesso perdono quattrini. Il guaio italiano è
proprio quello di avere troppo a lungo preservato sia il lavoro che l’impresa
dai propri errori, finendo con allevare non pochi irresponsabili. Il ministro
Passera dovrebbe preoccuparsi che non si torni a quel passato (ancora
presente), piuttosto del contrario.
Ebbene, se il giudice impone di riassumere 19 persone, a suo
tempo licenziate, è evidente che il loro ritrovato posto si traduce in un posto
mancante per altri. Ove così non fosse (e così a lungo non è stato) diventa
troppo facile per i giudici optare sempre per le riassunzioni, in questo modo facendo
felici molti e scontentando pochissimi (come, infatti, hanno preso, da lungo
tempo, a fare). Peccato che, in questo modo, falliscono le aziende e il posto
lo perdono tutti. Per evitare la fame scattano gli ammortizzatori sociali, i
quali vanno a pesare sulla spesa pubblica, alimentandone la perversione
improduttiva. Un capolavoro che genera miseria. Rompendo anche questo tabù
Marchionne si ascrive un merito.
So benissimo che quanto ho appena scritto m’inserisce
d’ufficio nel novero di quanti sono considerati al servizio del “padrone” e
contro i “lavoratori”. Me ne cruccio poco, perché trattasi di sesquipedale
minchioneria: tralasciando il linguaggio ottocentesco, che tradisce un pensiero
di pari data, la convenienza pubblica è che l’impresa non sia tutelata dal
fallimento, mentre la convenienza del lavoratore è che prosperi e assuma
ancora, altrimenti cessa d’essere tale.
Ho letto con piacere che Marchionne considera un errore
l’avere dato l’annuncio di “Fabbrica Italia”. E’ quanto osservammo allora (mai
fidarsi dei servitori, tendono a fregare in dispensa e sputare nel brodo!).
L’assenza di dettagli credibili rese quelle parole propagandistiche. Ammetterlo
è un bene.
Concludo con quel che non c’entra niente: non mi piacciono
le divise. Vale per i jeans degli informatici straricchi come per il
maglioncino di Marchionne. Sono sempre un cedimento all’immagine di sé. Che è
un elemento di debolezza.
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