venerdì 16 novembre 2012

UNA VITA NORMALE, TRA UNA BOMBA E L'ALTRA


La questione medio-orientale, con particolare riferimento al conflitto tra Israele e i Palestinesi, è una delle più complesse in assoluto, dove la linea di male e bene, giusto e ingiusto è difficilmente definibile. Io ho letto diversi libri su questo spinoso tema, un paio di Tom Segev che è ebreo ma anche decisamente propenso al compromesso, all'esistenza dei due Stati, alla Pace cui sacrificare l'aspirazione dei conservatori sionisti. Il "Settimo Milione" in particolare mi colpì molto. Personalmente ritengo, come la maggior parte delle gente al mondo credo, che Israele abbia diritto di esistere lì dov'è, e che debba rendersi disponibile, ai fini della pace, a rinunce di buona parte dei territori colonizzati successivamente alla guerra dei Sei Giorni in favore del nuovo stato palestinese. Questo però deve essere accompagnato dall'accettazione definitiva da parte del mondo arabo, palestinesi in primis, che Israele debba continuare a vivere. Detta così....è solo banale. Me ne rendo conto e chiedo scusa a coloro che hanno familiari, amici, persone care in quella parte del mondo. 
Purtroppo in un conflitto che dura da più di 100 anni, le vittime da ambo le parti sono talmente tante che non è semplice parlare di compromessi sia pure in nome del bene supremo di una pace VERA. 
Oltre al rancore e al desiderio di vendetta, c'è la diffidenza, specie da parte di Israele, stato piccolo e circondato da sempre da paesi ostili che hanno come obiettivo la sua distruzione. 
Mentre sta scadendo il tempo per l'atomica iraniana, al confine di Israele si riaffaccia un nuovo potenziale nemico, l'Egitto, che invece, sotto Mubarak in particolare, era stato il paese arabo più pacifico con lo stato ebraico (insieme forse alla Giordania) . In un contesto così poco fausto, i missili da Gaza s'infittiscono , fino ad arrivare a Tel Aviv. La risposta non è mai mancata e si può stare certi che Israele reagirà con forza, come ha sempre fatto, fino alla rioccupazione di Gaza, almeno per il tempo necessario a far cessare l'offensiva di Hamas, che a sua volta spera che, coi Fratelli Musulmani in Egitto e l'Iran sullo sfondo che conferma la sua più assoluta ostilità allo stato ebraico, di poter riscatenare una guerra contro il nemico mortale di sempre, fino al suo annientamento. Perché, ricordiamolo, Hamas non vuole nessuna pace. .
Quando la parola passa alle armi, io sto con Israele.Si possono fare mille distinguo, provare a capire le ragioni di tutti per verificare gli spazi di un compromesso, ma se qualcuno mi spara, io mi difendo.
Bello, molto, l'articolo sulla Stampa di Elena Loewenthal.
Da leggere. E poi immaginare. . 
 
 “La banalità del terrore. Vivere sotto le bombe che cadono ogni giorno”  


Più o meno è così. Da oltre il confine, potrebbe essere il Colle del Monginevro o la lacustre Chiasso o Mentone in riviera, sparano dei razzi. Quattro, cinque, anche più al giorno. I razzi hanno una gittata limitata. Forse. Arrivano a Chiomonte, Bussoleno. Oppure a Como, a Monza. Danneggiano case e lungomare di Ventimiglia, si vedono distintamente da Imperia. Qualcuno punta più in là, arriva fino all’hinterland milanese. Oppure Susa, dove la valle si apre verso la Pianura Padana, le città. O Savona, Sanremo. Lo stillicidio, che a volte ha proprio l’aspetto di un bombardamento, va avanti per mesi. Di fatto, con qualche interruzione, per anni e anni. I missili fanno ormai parte di una quotidianità sbalestrata per tutti gli abitanti della Valle di Susa, per la popolosa Brianza. Ovviamente il turismo è scomparso da quel tratto di Liguria dove i fuochi d’artificio sono all’ordine del giorno. Ma l’abitudine non significa rassegnazione, significa piuttosto una rabbia e una paura costanti. La convinzione che non si può andare avanti così.
Nel Sud d’Israele questa è la vita. Né più né meno. Beer Sheva, Ofakim, Sderot, Ashkelon e tanti altri luoghi popolosi, kibbutz, cittadine vivono così da anni. Negli ultimi due mesi i lanci di missili da Gaza si sono intensificati: ne sono arrivati a centinaia, in continuazione. Guardando a quello che succede ora non ci si può esimere dal provare a mettersi in questi panni, a cercare di capire come si vive.
E non si tratta di coloni agguerriti: i missili di Gaza, che gli israeliani hanno sgomberato da anni ritirandosi da quella porzione di Territori Occupati, colpiscono una porzione di Israele che rientra nei confini del 1948.
Abitata da gente «normale», proprio come noi. In Israele la prendono così. Anche con le battute di spirito (amare). Come questa: quando da queste parti si sente l’ululato di una sirena, non state a guardarvi alle spalle per vedere da dove arriva l’ambulanza. Correte a gambe levate verso il rifugio, piuttosto, perché altrimenti dell’ambulanza dovreste aver bisogno voi entro pochi minuti. In questo piccolo paese – tutto Israele equivale più o meno alla Lombardia – con il più alto tasso di luoghi sacri e start up del mondo, ogni stabile, grande o piccolo che sia, deve infatti per legge avere il suo rifugio antimissili. Le norme prevedono che contenga kit di sussistenza e pronto soccorso adeguati. Nei tempi relativamente tranquilli viene adibito a deposito, anche se non si dovrebbe. Ma è sempre lì, il rifugio: bene indicato per non perdere tempo a cercarlo, correndo quando la sirena suona.
Nel Sud d’Israele la strada per il rifugio di casa la conoscono tutti a memoria, perché ormai da mesi le sirene suonano in continuazione. Le scuole aprono a singhiozzo, a dire il vero sono più chiuse che aperte. Il fatto che sino a ieri non ci fossero state vittime non dipende dalla volontà di chi manda quei razzi. Non partono da Gaza per fare il solletico, movimentare il cielo mediorientale. E nemmeno soltanto per intimidire. Fosse per loro e chi li manda, quei razzi ucciderebbero più civili possibile. I civili israeliani questo lo sanno bene. Anzi, se lo sentono addosso. Il fatto che uccidano di rado dipende dal sistema di avvistamento, dalle sirene, dai rifugi, dalla loro gittata limitata, ma sempre più lunga e minacciosa, grazie ai tunnel attraverso i quali le armi arrivano clandestinamente a Gaza.
Quando suona la sirena si molla tutto e si corre. Qualcuno magari si è stufato e resta dov’è, a suo rischio e pericolo. Da dentro i rifugi non sai che cosa sta succedendo. Cessato l’allarme, esci fuori e chissà che cosa trovi. Sotto la luce del sole o nel buio della notte per prima cosa ti guardi intorno, per cercare la nuvola di fumo. Il missile, infatti, casca a terra, devasta in modi diversi ma produce sempre un nuvolone di fumo scuro e lento che sale. Lo cerchi, e capisci subito quanto lontano – o vicino – è caduto da te. Il che può anche significare che è finito dentro casa tua e te l’ha sfasciata. Capita spesso. E speriamo che la vecchietta del terzo piano fosse andata a trovare sua figlia a Gerusalemme, perché nel rifugio non c’era e se è rimasta a casa, povera lei. E neanche oggi, neanche domani si può pensare a una vita normale, di banali spostamenti da un quartiere all’altro della città per fare la spesa, andare in posta, dal dottore.
Oggi si parla di venti di guerra, ci si spaventa davanti alle due parole «raid israeliano», si contemplano bocche spalancate nel terrore e si piangono i morti: perché Israele si complica così la vita? Perché si accanisce sui palestinesi? Ah certo, è iniziata la campagna elettorale nel Paese… Reazioni e giudizi più che leciti. A patto, però, di provare a mettersi nei panni di chi vive nel Sud d’Israele, territorio non conteso della causa palestinese, e immaginare come ti sentiresti se la stessa «normalità» ti toccasse a Como, Bordighera, Ivrea e tanti altri posti sotto il tiro di un fuoco nemico e non sai il perché.

1 commento:

  1. DOMENICO BATTISTA

    Bravo Camerlengo e bellissimo l'articolo della Stampa

    RispondiElimina