Tempo fa, un lettore affezionato nonché parente , nell'apprezzare una nota critica di uno dei commentatori più riportati sul Camerlengo, Davide Giacalone, chiedeva perché non venisse dato spazio ad altri opinionisti pure autorevoli , e fece il nome di LUCA RICOLFI.
In quell'occasione risposi che non posso evidentemente leggere tutto, e che tra l'altro Ricolfi è autore da me estremamente stimato, per averne letto due interessantissimi libri , la Repubblica delle Tasse e un altro sulla Questione del Nord. Leggo volentieri, quando mi capita sotto gli occhi, qualche suo articolo sulla Stampa, quotidiano che però non acquisto regolarmente, in considerazione che l'unica firma che apprezzo veramente è appunto la sua.
Oggi l'ispirazione mi ha colto e ho acquistato il quotidiano di Torino e fortuna ha voluto non solo che trovassi un articolo di Ricolfi ma che nello stesso il professore e commentatore esprimesse mirabilmente il pensiero mio ( e sono certo di molti altri ) sulla situazione politica italiana e il non fausto futuro elettorale che si approssima.
Da quel che ho letto , ritengo che Ricolfi , esattamente come il Camerlengo, abbia guardato con favore la possibile unione di due nuovi movimenti di ispirazione liberaldemocratica, Fermare il Declino di Giannino e Italia Futura di Montezemolo, o che Monti potesse , nel decidere la sua "ascesa" in campo, porsi alla guida di una offerta politica di questo tipo ( a dire il vero io su questo ci ho creduto meno...). Anche Renzi, nel PD, aveva costituito una speranza di novità e di modernità. Sappiamo com'è finita, e incidentalmente, trovo opportuna e condivisibile la lettera inviata e pubblicata sul Corsera da parte di alcuni ex esponenti PD che , come Ichino, hanno lasciato quel partito, ma non per questo accettano l'appellativo di transfughi. Osservano, giustamente, che è il Partito Democratico ad essere diventato ALTRO da quello costituito da Veltroni nel 2007, con la fusione di Margherita e Democratici di sinistra, diventando un puro e semplice partito di sinistra, che racchiude anime socialdemocratiche e più di sinistra radicale, ma nulla di Liberal o di Liberalismo-Democratico Così, tornando al pensiero di Ricolfi, ora non resta che la prospettiva assai triste e preoccupante del ritorno desolante alla peggiore Prima Repubblica, quella fondata su un centro sinistra consociativo e antico, "immoderno". I tavoli, le concertazioni, le ammucchiate e i compromessi al ribasso. E se mancano soldi, si tassa .
Una pacchia...E ci tocca pure assistere alla manfrina delle finte liti tra Bersani e Casini...Una vera pantomima.
Da Leggere
VERSO LA PRIMA REPUBBLICA
Come sarà il 2013? Ce lo
chiediamo in molti, perché un anno come quello che ci lasciamo alle spalle non
vorremmo si ripetesse mai più.
Un dato riassume bene quel
che è cambiato: le famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, e
quindi sono costrette a fare debiti o ad attingere ai risparmi, sono
raddoppiate. Erano circa 3 milioni e mezzo un anno fa, oggi sono 7 milioni: quasi
una famiglia su tre.
In questa situazione, la
politica si prepara allegramente al voto del 24 febbraio. E anche noi elettori
ci prepariamo perché, comunque la pensiamo, dovremo fare una scelta, foss’anche
quella di non andare a votare. Per quanto mi riguarda, il sentimento che meglio
descrive il mio stato d’animo è un misto di sconforto e solitudine. Un
sentimento che non sento come mio personale, ma come largamente diffuso fra la
gente, ovvero in tante delle persone con cui mi capita di parlare.
Lo sconforto è facile da
raccontare. Quello cui siamo costretti ad assistere è un film già visto e
stravisto. Andremo a votare con il «porcellum», senza poter scegliere i
candidati. Eleggeremo un migliaio di parlamentari, come sempre. La sinistra
ripropone il governo dell’Unione, già miseramente fallito con Prodi nel
2006-2008. La destra ripropone Berlusconi, il demagogo che ha occupato la scena
degli ultimi 20 anni. Il centro, come giustamente paventa Eugenio Scalfari nel
suo editoriale di ieri, ripropone una piccola Dc, nobilitata e abbellita dal
marchio Monti. Spiace doverlo ammettere (perché anch’io per un attimo mi ero
illuso), ma la lista Monti – partita con le più alte intenzioni – questo è
diventata alla fine: una formazione che di liberaldemocratico ha quasi nulla e
di vecchia politica ha molto, se non quasi tutto. Per me, come per altri, è
stato un piccolo shock, una doccia fredda. Nel giro di pochi mesi, e poi sempre
più velocemente nelle ultime settimane, negli ultimi giorni, nelle ultime ore,
fino alla decisiva «riunione in convento» di venerdì scorso, sono cadute tutte
le ipotesi più coraggiose e innovative di cui si è parlato negli ultimi tempi.
Ancora due mesi fa, sembrava possibile una lista liberaldemocratica, che
saldasse «Italia Futura» e «Fermare il declino», i movimenti di Montezemolo e
Giannino. Poi, caduta quell’ipotesi, pareva rimasta in piedi quella di una
lista Monti «unica» (senza apparentamenti), molto aperta alle forze esterne,
molto selettiva verso la vecchia politica, molto severa con i politici
condannati. Era questa la missione affidata al ministro Passera, era questo –
credo – ciò che aveva attirato nell’area montiana politici di grande valore
come Pietro Ichino. Anche questa ipotesi è caduta: alla Camera chi sceglierà
Monti dovrà tenersi Casini e Fini, con tutto il seguito di vecchie glorie della
seconda Repubblica. E chi avesse qualche simpatia per «Fermare il declino», il
movimento liberaldemocratico di Oscar Giannino, non ne troverebbe traccia nella
lista Monti. Strano: Monti ha voluto presentare la sua agenda come aperta, ma
non ha ritenuto di rispondere alla lettera aperta che Giannino e i fondatori di
«Fermare il declino» gli hanno indirizzato dieci giorni fa. Comportamento
legittimo, ma in totale dissonanza con le ripetute dichiarazioni di attenzione
alla società civile e ai suoi movimenti.
Piccole cose, piccole beghe,
dettagli irrilevanti, diranno i paladini di Monti e della sua agenda. E in
effetti la si può pensare così. Se si è preparati ad assistere, 40 anni dopo,
all’edizione aggiornata del compromesso storico fra comunisti e democristiani,
sognato da Enrico Berlinguer nel 1973, la via è tracciata e ci si può
accomodare serenamente in prima fila, in attesa che inizi lo spettacolo. Certo,
non sappiamo ancora chi, fra Bersani e Monti, farà il presidente del Consiglio,
ma è estremamente probabile che – dopo il 24 febbraio – a governarci sia
comunque la santissima trinità Monti-BersaniVendola. Perché, contrariamente a
quanto qualcuno vorrebbe farci credere, le distanze fra Bersani e Monti sono
minime. Lo dicono innanzi tutto coloro che vedono con simpatia le rispettive
agende: «l’agenda Monti ha il merito di mostrare che l’imposizione sui
patrimoni non è soltanto una mania delle sinistre», molto lucidamente osservava
ieri Stefano Lepri su questo giornale. E ancora più esplicitamente, nel già
citato editoriale di ieri, scriveva Eugenio Scalfari: «C’è anche un’agenda
Bersani. (…) Tra l’agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze,
anzi non ne vedo quasi nessuna». Il giudizio mi sembra sostanzialmente
corretto, anche se qualche differenza non del tutto marginale io invece la
vedrei. Appena concluso il patto con Monti, Casini ha subito enunciato il punto
fondamentale del suo programma: il quoziente familiare. Per chi non conoscesse
il senso di questa oscura espressione, traduco così: se ci sono risorse per
abbassare le tasse, le usiamo per alleggerire la pressione fiscale sulle
famiglie in cui la donna non lavora e accudisce i figli. L’esatto contrario di
quel che i politici e gli studiosi di matrice liberale raccomandano: aiutare le
donne inoccupate a trovare un lavoro, detassando il lavoro femminile. Per non
parlare di un’altra differenza, forse ancora più importante: in materia di
federalismo, nonostante tutto, il partito di Bersani è più sensibile (meglio:
meno insensibile) alle istanze del Nord di quantolo siano i partiti del Terzo
polo, profondamente radicati nel Mezzogiorno e perennemente tentati da logiche
assistenziali.
Il fatto è che,
nell’arcipelago Monti, il peso del mondo laico e liberale è ormai al minimo,
mentre quello del moderatismo cattolico è massimo, specie dopo che il ministro
Passera è stato costretto al passo indietro, e la rappresentanza della
cosiddetta società civile è stata interamente appaltata a Verso la terza
Repubblica, il movimento scaturito dalla confluenza fra Italia Futura e
innumerevoli sigle dell’associazionismo cattolico. Ecco perché, all’inizio,
parlavo di sconforto ma anche di solitudine.
Oggi, chi avrebbe voluto cambiare
decisamente rotta, lasciandosi alle spalle la vecchia classe politica,
imboccando risolutamente la strada delle riforme liberali – meno spesa, meno
tasse, meno Stato – è disperatamente solo. E, quel che più dispiace, è solo non
perché siamo in pochi, ma perché siamo in tanti ma senza rappresentanza. Nella
lista Monti le istanze genuinamente liberali contano poco. I radicali,
nonostante gli scioperi della fame (o a causa di essi?), sono quasi scomparsi
dalla scena politica. Giannino e il suo movimento sono sostanzialmente ignorati
dai media. Renzi è stato sconfitto e i suoi uomini sono tenuti ai margini del
Pd. Gli elettori non contano nulla, perché i giochi si faranno dopo, in
Parlamento, come ai tempi di Craxi, Forlani e Andreotti. In breve, se non
vogliamo né Grillo né il ritorno del grande demagogo, la scelta è fra Pci e Dc.
Anzi non c’è vera scelta, perché Bersani e Monti governeranno insieme. Che
dire? Buon anno, e ben tornati nella prima Repubblica.
RAFFAELE MARIN
RispondiEliminaGrande il tuo prologo e grande Ricolfi. Buon anno ... e speriamo di cavarcela ?!?!