La domenica dedicata alla sensibilizzazione verso la violenza contro le donne ha avuto successo : la settimana successiva solo a Roma si sono registrati cinque nuovi casi. Ed è di pochi giorni fa l'omicidio di quella povera ragazza di Udine, Lisa Puzzoli, uccisa dall'ex che già tre volte aveva denunciata per stalking senza che venissero prese misure cautelari. Ora, piuttosto che gridare all'Ergastolo , come assurdamente fa la Bongiorno che pure fa l'avvocato, che punisce a tragedia compiuta, sarà bene chiedersi come prevenirlo. E l'inasprimento delle pene - che già c'è stato, con l'introduzione del 609 bis del codice penale in materia di violenza sessuale - da solo non è mai un vero deterrente, specie in un paese dove la certezza della pena è sogno lontano.
Riporto di seguito l'intervista di Fiorenza Sarzanini (una giornalista di giudiziaria del Corriere, in odore , peraltro più o meno ben celato, di giustizialismo ) ad un funzionario di Polizia, esperta di questo triste campo.
Si parte subito invocando l'adozione più frequente del carcere come misura cautelare. Detto così....Forse era il caso di specificare meglio...che so...auspicare interventi più drastici nel caso di denunce non di mero stalking...ma di minacce ripetute e credibili di violenza Anche perché ricordiamoci che accanto al gravissimo problema della violenza contro le donne, c'è anche quello preoccupante delle false denunce, che a loro volta non sono poche. I rapporti uomo e donna sono peggiorati , la conflittualità cresciuta, e se si parla solo della violenza contro le donne (fatto sciagurato), esiste anche una sottaciuta violenza al contrario (chi vuole, può leggere qualche dato qui : http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/11/maschi-violentati-sembra-una.html ).
Il carcere resta (dovrebbe...) misura estrema. Sono d'accordo che ci dovrebbero essere magistrati dedicati ed esperti, e soprattutto veloci nel prendere decisioni. Ecco, secondo me più che la durezza degli interventi, la chiave è la velocità. Se si è tempestivi, si può essere molto più efficaci e uscire dal dualismo tra misure sbrigative e dure (come il carcere cautelare) e nessun provvedimento.
Lo stesso funzionario dice due cose importanti : 1) le leggi CI SONO. Non c'è bisogno di farne altre 2) c'è una serie di interventi graduati - allontanamento del familiare, divieto di avvicinarsi alla dimora, procedibilità d'ufficio dopo la prima querela - che hanno la loro efficacia, basta adottarli, e rapidamente.
Sono d'accordo con le ultime considerazioni, non con il titolo e la premessa.
L'intervista va letta.
«Troppi interventi in ritardo dei giudici Servono più
arresti»
di Fiorenza Sarzanini
«Il vero problema riguarda quello che accade tra il momento
della denuncia e l’intervento del magistrato. Perché spesso i giudici non
prendono provvedimenti oppure lo fanno con un ritardo che a volte può essere
fatale». Mariacarla Bocchino è il direttore della Divisione Analisi del
Servizio centrale operativo della polizia. Le procedure e i percorsi
dell’indagine sugli atti persecutori le conosce perfettamente. E non può negare
quanto gravi siano le carenze nella risposta, quando una donna implora aiuto.
Proprio come è accaduto a Lisa Puzzoli, la giovane uccisa ad appena 22 anni.
Aveva presentato tre denunce contro il suo ex fidanzato. Ma non era successo
nulla. Non è l’unica.
Dottoressa, come è possibile?
«Purtroppo anche se le denunce sono precise e
circostanziate, la scelta di intervento è affidata alla discrezionalità del
magistrato. Il numero di casi da esaminare è molto alto, per questo stiamo
sollecitando i responsabili dei distretti a nominare pool di pubblici ministeri
“dedicati”».
Invece adesso che cosa accade?
«Ci si affida al pubblico ministero di turno che spesso si
occupa di altre specializzazioni e tratta il caso allo stesso modo di una
rapina o un incidente stradale. Abbiamo chiesto al ministero della Giustizia di
intervenire affinché non sia vanificato il nostro lavoro».
Avete ottenuto risultati?
«Il percorso è avviato, non sarà breve. Invece bisognerebbe
sfruttare al massimo gli strumenti della legge che possono essere molto
efficaci. E soprattutto bisognerebbe intervenire con maggior decisione».
Per esempio facendo scattare la custodia cautelare in
carcere per il persecutore?
«Esatto. Invece per questo tipo di reati avviene raramente.
Quando addirittura non si arriva al paradosso di concedere gli arresti
domiciliari. In alcuni casi siamo stati costretti ad allontanare la vittima e i
figli perché il giudice aveva disposto l’arresto nell’abitazione familiare».
Esistono uffici giudiziari «affidabili»?
«A Roma il pool è stato costituito. In generale posso dire
che le città più piccole sono quelle più sprovvedute. Sicuramente al
Centro-Nord c’è maggiore difficoltà ad ottenere l’arresto degli autori,
probabilmente perché si tratta di aree più tranquille dove c’è una maggiore
percezione di sicurezza».
Però lo stalker è uguale in ogni parte dell’Italia.
«Nelle Procure del Sud, a Napoli in particolare, c’è molta
rispondenza tra l’attività delle forze dell’ordine e quella della magistratura.
Sono vicende sempre molto delicate, il fatto che la vittima ottenga risposte è
fondamentale. È importante che non si scoraggi».
C’è ancora molta paura di denunciare, soprattutto quando il
persecutore è il marito oppure il convivente. Lei crede che la legge offra
davvero protezione alle donne?
«Le norme sono buone, bisogna applicarle. Per esempio
l’ammonimento. È un atto amministrativo che viene emesso dal questore al
termine di una veloce istruttoria e può essere molto efficace perché non ha le
conseguenze della querela, ma si è rivelato un ottimo deterrente».
Quali conseguenze ha?
«Nel caso di recidiva, la denuncia scatta automaticamente.
Se la vittima chiede aiuto ma poi rifiuta di presentare la querela si procede
d’ufficio. Posso dire che soltanto nel 18 per cento dei casi siamo intervenuti
per la seconda volta».
Che cos’altro manca?
«È fondamentale che i magistrati dispongano tutti quei provvedimenti —
divieto di contatto, obbligo di allontanamento dalla casa familiare, divieto di
avvicinarsi al luogo di lavoro — che servono davvero a proteggere le vittime».
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