Trovo assolutamente corrette e degne di riflessione le considerazioni fatta da Davide Giacalone che, prendendo spunto dalla positiva soluzione del rapimento dell'imprenditore Andrea Calevo, torna sul delicato problema delle intercettazioni e del loro uso corretto. E' stato evidenziato infatti il prezioso, anzi fondamentale ruolo che questo strumento di indagine ha avuto per il felice esito e la liberazione del sequestrato. Bene. Ma nessuno mette in dubbio questo. Il problema è dato dalla pubblicità che sempre viene data alle stesse, con sputtanamento di persone che non c'entrano nulla, e comunque divulgazione di cose personali e private del tutto avulse dall'oggetto dell' indagine. La chiamano libertà di stampa, ma questa le inchieste se le facesse da sola , prendendosi i suoi rischi, invece di saccheggiare quelle della procura.
Resta che in altri, più civili paesi, le normative sono diverse e Giacalone suggerisce di "copiare", spiegando bene il perché.
Buona Lettura
Buon ascolto
Un imprenditore rapito
(Andrea Calevo) è stato liberato dalle forze dell’ordine, dopo indagini durate
due settimane. Decisive, a quel che si legge, sarebbero state le
intercettazioni telefoniche. Dopo avere manifestato agli inquirenti
l’apprezzamento per il lavoro che hanno svolto, poniamoci questa domanda: le
intercettazioni telefoniche sono state e saranno al centro di mille polemiche,
coinvolgendo anche la presidenza della Repubblica, ma c’è una sola persona
sensata, o anche insensata, che pensi si sarebbero dovute limitare, anche in
questo caso? Ovviamente no. Chi se ne frega delle garanzie, della privacy e di
altre cose simili: un cittadino è in pericolo, a opera di criminali, e
intercettare è giusto per cerare di liberarlo. Vale la stessa cosa per i traffici
illeciti, per la sicurezza collettiva e per ogni faccenda nella quale si possa
prevenire o stroncare un crimine. La liberazione dell’ostaggio, però, conferma
quanto fosse giusta la nostra tesi, che esponemmo, del tutto inascoltati, nel
mentre infuriavano (e infurieranno) baruffe inconcludenti.
Scrissi allora che mi
sembrava ben funzionante il sistema inglese: la polizia intercetta a
(sostanziale) piacimento, ma né le registrazioni, né le trascrizioni, salvo
rare e precise eccezioni, entrano mai fra le carte processuali, non vanno agli
atti e, quindi, non vengono pubblicate, perché se un crimine è stato scoperto,
come in questo caso, si processano i responsabili per quello, non per quel che
dicono. Tale sistema accende un faro proprio su una stortura del nostro
ordinamento: le indagini le fa la polizia, non la magistratura. Da noi, con la
mania che tutto debba essere messo nelle mani della procura, si è combinato un
bel guaio. Fu un’idea nata per garantire i cittadini, giacché si ritenne che la
polizia giudiziaria agisse senza offrirne, mentre il magistrato ne era il
depositario, ma ci ritroviamo con il risultato opposto: anche l’innocente,
anche il non indagato può essere liberamente svillaneggiato e sputtanato, a
cura del signor magistrato.
Allora, seguiamo i buoni
esempi. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, come anche le telecamere
di sorveglianza, sono ottimi strumenti d’indagine, da usarsi. La garanzia, per
i cittadini onesti, sta nel fatto che quelle risultanze non finiscono in alcun
fascicolo processuale e se non si scopre un reato finiscono nel nulla e nel
silenzio tombale. Se, invece, il reato si scopre, comunque le intercettazioni
non sono prove, ma solo lo strumento con cui si è giunti all’accertamento.
Quindi spariscono. Funziona.
Prendete il caso di questo
rapimento. Gli arrestati possono essere comodamente processati e condannati,
perché scoperti con l’ostaggio fra le mani. Buona galera, nella misura che il
codice prevede e che un regolare processo comminerà. Sapere che uno di questi criminali
volesse picchiare l’ostaggio, o tagliargli un dito, invece, è irrilevante,
perché quello specifico reato non è stato commesso. E noi tutti neanche
dovremmo saperlo, i giornali non dovrebbero pubblicarlo e quelle
intercettazioni non si dovrebbero conoscere. Perché non serve e perché
pubblicando si persevera nel guardonismo giudiziario, perversione in cui il
sistema informativo italiano s’è specializzato. Non si tratta, all’evidenza, di
tutelare la privacy dei criminali, ma di tutelare il processo dalle cose
inutili. Questi sono rapitori, punto e basta, si passi alla condanna. Leggere
le intercettazione per dileggiarli, disprezzarli o sollecitare la pubblica
riprovazione non è giustizia, è barbarie.
Una simile riforma si fa in
due settimane, se si discute fra persone normali e non fra manettari assatanati
e giustizialisti compulsivi. Più complicato, ma fattibile, rivedere
profondamente il ruolo della procura, il che comporta il più generale discorso
della separazione delle carriere. Eppure sono certo che gli italiani
appoggerebbero in massa una simile scontata evidenza, una così elementare
misura di civiltà, se solo li si liberasse dall’incubo che la giustizia sia un
modo per risolvere i contrasti politici. O un modo per fare carriera politica.
In tal senso si devono ringraziare i magistrati fin qui eletti in Parlamento,
come quelli che si accingono a candidarsi, perché testimonianza vivente di come
un Paese possa degradare e la giustizia essere violentata a fini di godimento
personale.
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