Oggi Davide Giacalone commenta la notizia che aveva riportato ieri : il Tribunale di Milano che ha assolto dal reato di evasione fiscale una ditta che effettivamente non aveva pagato circa 200.000 euro di IVA, con la motivazione della mancanza di DOLO. Il mancato versamento era stato determinato dall'impossibilità, a sua volta generata dall'inadempienza dell'Ente pubblico - una ASL nella fattispecie - debitore insolvente della Azienda imputata. Il mio post , volendo, lo potete leggere su http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/01/il-giudice-che-assolve-l-evasore-causa.html .
Giustamente Giacalone osserva come la sentenza sia giusta ma la strada resta sbagliata. Vale a dire la normativa fiscale. E quindi deve cambiare.
Anche perché ricordiamo che se è stato dichiarato insussistente il reato, non certo il debito, che non è compensabile con il proprio credito ( Monti disse che era vergognoso solo proporlo....forse sono vergognose queste sue parole...) , e poi come la mettiamo con i danni ? L'erario sul debito applica sanzioni e tassi di mora che lasciano sbalorditi per una misura in odore di usura legale. Lo Stato e i suoi Enti , se e quando finalmente pagheranno i loro debiti, NON saranno soggetti a simili gravami. E dunque ?
Tornando alle positive decisioni dei giudici in materia, c'è da registrare anche la sentenza della Cassazione citata dal bravo opinionista, assolutamente importante e significativa :
" il discostamento dai parametri prestabiliti, quindi la non congruità del reddito dichiarato, non costituisce affatto una prova, né si può imporre al contribuente che dimostri la propria regolarità, ma è solo un modo per sapere dove avviare accertamenti reali, ai quali spetta dimostrare l’eventuale infedeltà fiscale." Questo vuol dire una Caporetto per il Fisco , che sulle presunzioni ci ha molto marciato (e continua a farlo, guardate il redditometro ! ).
E' un po' come le intercettazioni, che da strumento per cercare reati e rei , dovrebbero essere le prove degli stessi ! Però, per arrivare in Cassazione, il contribuente ha dovuto versare intanto il 30% del preteso, se non ha ottenuto la sospensione della parziale esecutorietà della cartella (altra norma abnorme, se non altro in primo grado ! ) , ha sostenuto i costi di professionisti per la difesa...
Insomma, mi pare evidente che se esiste un contenzioso nel quale lo Stato perde quasi una volta su due, qualcosa non va.
E quindi bisogna correggerla. La via giudiziaria non può essere la REGOLA !!
Buona Lettura
Fisco togato
E’ la resa della politica a
generare lo Stato giudiziario. E’ avvenuto con il terrorismo, con la mafia e
con la corruzione. Ora tocca al fisco. Ma anche quando le sentenze sono giuste,
come quelle che qui prendo in esame, non possono risolvere il problema di uno
Stato che pretende troppo, sperpera quel che incassa e non rispetta le proprie
regole. Non è la prima volta che i tribunali colpiscono il dispotismo fiscale,
tutelando il contribuente (Libero ha dato conto delle precedenti sentenze), ma
quello strumento, legittimo e opportuno, può essere usato per demolire, non per
costruire. Senza contare che consegnare alle toghe anche la politica fiscale è
l’ultima delle cose di cui si sente il bisogno.
I giudici di Milano, da
ultimo con due sentenze, hanno stabilito che non sussiste il reato di evasione
fiscale se il cittadino e l’impresa che non pagano vantano crediti dalla
pubblica amministrazione, non essendo pagati i quali pongono il contribuente
nella condizione di non avere soldi per adempiere ai suoi doveri. Giusto?
Giustissimo. Ma, attenzione: non sussiste il reato, però rimane il debito, che
dovrà essere pagato con aggravio di sanzioni e interessi. Giusto? Neanche per
idea, perché allora anche il debito dello Stato dovrebbe essere pagato con
sanzioni e interessi veri, in questo modo compensando il danno. Il che non
avviene. Mettiamo che, in futuro, le sentenze vadano avanti e stabiliscano il
diritto di compensare debiti e crediti (la legge non lo consente, sicché
sarebbero sentenze autolegiferanti, che, nel nostro sistema, sono patologia),
ciò risolverebbe il problema? No, farebbe saltare le casse dello Stato. Basti
pensare che le partite Iva pagano le tasse con un anno d’anticipo e lo Stato
paga con un anno di ritardo, se si compensano quelle cifre svanisce il relativo
gettito. Una bomba.
La cassazione, nel mese di
dicembre, ha sentenziato anche sugli accertamenti presuntivi: il discostamento
dai parametri prestabiliti, quindi la non congruità del reddito dichiarato, non
costituisce affatto una prova, né si può imporre al contribuente che dimostri
la propria regolarità, ma è solo un modo per sapere dove avviare accertamenti
reali, ai quali spetta dimostrare l’eventuale infedeltà fiscale. Messa così, il
redditometro è già morto prima di nascere, nel senso che è incamminato su un
binario al cui capolinea c’è l’illegittimità. O l’inutilità. Non c’è nulla da
festeggiare, perché quando un contribuente arriva in cassazione è segno che ha
già subito un danno grave. E quando la sentenza disarma il fisco resta
impregiudicata l’evasione fiscale vera. Cui si aggiunge un dettaglio, niente affatto
irrilevante: se il redditometro stabilisce, con l’autorità che gli deriva
dall’essere stato compitato al ministero dell’economia, che il costo della vita
è diverso da città a città, da zona a zona, come può, poi, il medesimo Stato
pagare allo stesso modo il lavoro svolto dai propri dipendenti, ovunque si
trovino? Il ragionamento che sta dietro il redditometro dovrebbe funzionare
anche per le gabbie salariali. Invece no, dimostrando totale illogicità.
Non saranno le sentenze a
risolvere la questione, anche perché l’adattamento a un sistema fiscale
satanico e demenziale non si pratica con i ricorsi alla giustizia, ma con
l’evasione e la chiusura delle attività. Bisogna che ci ficchiamo in testa che
il satanismo fiscale genera, ad un tempo, recessione e inflazione, avvelenando
i pozzi. Rispetto a questo l’offerta politica più quotata è sconfortante. Il
Pdl, anche nei suoi lanci propagandistici, senza curarsi di mettere in coerenza
le sparate odierne con la condotta pregressa, parla di 75% del gettito da tenere
nelle regioni del nord, ma, a parte il fatto che alcune di quelle già ricevono
di più, a parte che il federalismo fiscale l’hanno fatto loro, il problema è
quello di far calare la pressione fiscale, non di destinarne il frutto al
governatore anziché al governante. Il Pd propone apertamente di far crescere le
tasse, sebbene con la bischerata moralistica di volere colpire ricchi che o non
esistono (si veda la distribuzione redditi ai fini Irpef) o non sono ricchi (si
vedano le famiglie con più di una casa). Anche volendo accantonare le vendolate
il resto non ha senso. Il centro montista-montato, non meno che finiano e
casinista (o casinato e finito), si riconosce in un governo che ha fatto e
messo per iscritto il contrario di quel che oggi dicono, il tutto andando verso
maggiore pressione fiscale. Non a caso nei documenti del governo i numeri ci
sono, mentre nei programmi elettorali si va di prosa.
Non saranno le toghe a
liberarci da questo incubo, semmai potranno a loro volta popolarlo. La via
d’uscita passa dal taglio netto della spesa pubblica. Che in molti casi
favorirebbe migliori servizi pubblici.
sergio de prisco
RispondiEliminaChiarissimo e godibile pezzo.
Non tutti i programmi, però, "vanno di prosa", quello di FARE ha tutti i numeri al posto giusto.